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La narratio: il ciclo dell’usurpazione

Come abbiamo visto la “molteplice censura” del vescovo mira a persuadere il lettore del fatto che la chiamata da parte dei proceres di un nuovo re perché usurpi un trono già occupato sempre nasconda un altro vero obiettivo: l’accrescimento del potere personale dei proceres, da essi perseguito anche a costo della propria dannazione, in un’interminabile rincorsa alla vanagloria mondana che spinge i potentes fino al folle desiderio di diventare gli unici padroni di un regno di fatto senza re. Attone vuole dimostrare che un simile piano non può andare a buon fine a causa della sua stessa empietà. L’inversione di valori, la ricerca della vanagloria in questo mondo invece che di quella vera del mondo futuro è generatrice di uno squilibrio che è il chaos e porta con sé conseguenze spirituali e materiali inevitabili per chi se ne renda colpevole e per il regno nel suo insieme.

La forza dell’analisi di Attone sta proprio nell’inquadrare in questa cornice escatologica e necessaria gli avvenimenti di cui tratta; per comprendere la prima parte della sua opera è necessario tenere conto di questo triplice piano: lo scopo dello scritto è dissuadere il lettore dalla chiamata di un nuovo usurpatore, per farlo egli analizza le inevitabili conseguenze che ogni usurpazione porta con sé, per costruire questo “modello generale dell’usurpazione” egli racconta in modo analitico i funzionamenti di un regno in cui il potere regio sia messo nelle sacrileghe mani di un usurpatore, modellando questo racconto sugli anni di Ugo di Provenza.

5.1. L’usurpazione: cronaca, paradigma, prefigurazione.

Ribaltando l’ordine di questi tre piani si può dire che questa prima parte del

Perpendiculum consiste nell’analisi storica degli anni 924-955, tesa alla

costruzione di un paradigma assoluto della tirannide che nasce dall’usurpazione e finalizzata alla persuasione del lettore che i meccanismi descritti si ripeteranno inevitabilmente con la vittoria di Ottone. L’occhio del vescovo seziona gli avvenimenti passati, li riordina mettendone in luce la logica, li porta sul piano atemporale dell’eterno errore umano della brama di vanagloria mondana, così da farne un modello assoluto, per poi proiettarli in termini quasi profetici nel futuro della politica del regno. L’abilità di Attone consiste nel passare indiscriminatamente e impercettibilmente da un piano all’altro, cosicché l’argomentazione storica rafforzi quella teorica e viceversa e la persuasione sui disastrosi esiti futuri tragga vantaggio da entrambe. In quest’ottica non fa alcuna differenza se in un dato punto si stia trattando dell’operato di Ugo, di quello di ogni possibile usurpatore, o di quello che c’è da aspettarsi dal tiranno futuro, perché tutti è tre si comporteranno necessariamente ed escatologicamente nella medesima maniera. Perciò chi pensa che dalla prossima usurpazione e dalle proprie macchinazioni potrà ottenere qualche vantaggio dovrà inevitabilmente e amaramente ricredersi: egli non potrà che essere spazzato via così come accadde ai vecchi proceres che si illudevano di tenere Ugo in pugno.

La tecnica retorica del vescovo consiste nello slittamento graduale del discorso inizialmente generico che si incarna, in maniera sempre più evidente con il progredire della narratio, nel racconto delle gesta di Ugo, sino allo svelamento finale. Quando inizia a illustrare le conseguenze dell’usurpazione egli lo fa con il tono di chi stia raccontando un meccanismo inevitabile e ciclicamente riscontrabile nel mondo, anzi

destinato fatalmente a ripetersi finché i proceres commetteranno lo stesso errore. Quindi tratteggia il modello dell’usurpatore, applicabile a ogni re illegittimo e in particolare all’incombente tiranno futuro: lungo tutta la sezione del testo che narra l’ascesa dell’usurpatore, Attone per indicarlo usa sempre il termine duces o principes, al plurale, secondo l’uso indeterminativo comune all’italiano e al latino, e unito a verbi coniugati al futuro, sottintendendo “i re che sono messi sul trono in maniera illegittima

si comporteranno (necessariamente) così”; salvo che il racconto di quella

ascesa, ancorché modellato su una logica interna stringente, descrive, nei particolari che riusciamo a cogliere, la storia di Ugo. Quando arriva all’apoteosi, nella citata scena ambientata nel palazzo da lui stesso costruito, passa bruscamente al singolare, e inserisce il riferimento al palazzo pavese “Ast conditor arduae arcis...” svelando a chi non lo avesse ancora capito che il suo è sì un discorso generale ma che è riferito a un usurpatore reale, Ugo di Provenza, che anzi è preso a modello di ogni re illegittimo e, soprattutto, dell’usurpatore che potrebbe venire.

Per questo motivo per rendere in traduzione il concetto indeterminativo di “reges..” si è preferita la traduzione al singolare “un re...” piuttosto che un fraintendibile plurale italiano che trarrebbe in inganno rispetto ai soggetti storici reali sottintesi; per questo motivo nella lettura va sempre tenuto presente che “un qualunque usurpatore” vale anche “quell’usurpatore” e cioè Ugo e prefigura insieme il tiranno futuro Ottone.

A noi lettori il compito di sciogliere la triplice trama del discorso attoniano separando per quanto possibile la cronaca di un’usurpazione storica, quella di Ugo di Provenza secondo la ricostruzione del vescovo, dal paradigma

assoluto del potere nato dall’usurpazione, su quella modellato, dalla prefigurazione del tiranno, ovvero dal prevedibile operato futuro di Ottone.

5.2. Le conseguenze dell’usurpazione: il regno di Ugo di Provenza.

Vediamo dunque nello specifico quali siano le dinamiche di un potere nato dall’usurpazione secondo la rappresentazione che Attone modella sul regno di Ugo di Provenza, o viceversa quale sia la narrazione attoniana del potere Ugo caratterizzato come modello assoluto di usurpatore.