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L EOPARDI IN SCENA : LA PIÈCE DI C AMILLE DE B AINVILLE

Già a pochi anni dalla morte del poeta di Recanati, un drammaturgo francese, Camille de Bainville, compone un dramma teatrale in un atto intitolato Le dernier jour de Leopardi (1894) che ha per protagonista proprio il Recanatese ed è pertanto

indicativa dell’interesse verso il letterato italiano anche nell’ambito di altri generi letterari.

L’opera francese, in rime baciate (come già avvenuto con le traduzioni di Sainte- Beuve), ambientata a Napoli nel 1837 è preceduta da una breve notizia bio- bibliografica su Leopardi in cui lo stato malinconico è associato soprattutto alla sua complessione fisica debole e deforme.

A conclusione della succinta nota Bainville sente l’esigenza di soffermarsi sui giudizi di valore in Italia e all’estero, ridimensionando quelli prosastici:

Les Italiens placent les œuvres de Leopardi immédiatement après celle de Dante et le regardent comme le plus grand poète moderne de leur pays. En Allemagne, le genre mélancolique et sombre de ses poésies trouva beaucoup d’enthousiastes. Ses écrits en prose, comme philosophe et penseur, sont de valeur incertaine.74

Sulla scena, oltre al poeta, significativamente raffigurato nella didascalia «vis-à- vis d’une glace», troviamo Antonio Ranieri, Paolina e Silvia, qui nelle vesti di una nobildonna fiorentina che sembra ricambiare l’amore del poeta, ma da cui viene, alla fine dell’atto, definitivamente respinta, in una scelta conclusiva che ad eros preferisce thanatos e che, leggendo il testo retroattivamente, era stata già prefigurata nell’incipit del dramma durante un monologo allo specchio di Leopardi: «C’est toi Leopardi! C’est bien là ton visage! […] S’il rêve un idéal, c’est celui de la mort» (v.1).

Nelle battute iniziali di Giacomo, infatti, viene tracciato un ritratto del poeta che ne sottolinea la scarnificazione del corpo speculare al suo canto disperato e al suo tendere verso il nulla, con un atteggiamento rassegnato, ma dignitoso.

Dei vari personaggi messi in scena è proprio Silvia ad essere sottoposta ad un processo di trasformazione più radicale rispetto ai dati biografici cui viene di solito ricondotta.

In comune con la fanciulla della celebre lirica leopardiana ha il canto, qui però non ascoltato a distanza, ma volto a musicare le parole delle poesie dell’amato. Silvia è infatti ricordata da Paolina come «celle qui tant de fois posséda la vertu / d’exalter ton talent dans des strophes sublimes / et d’unir en chantant l’harmonie à tes rimes!».75

74 Camille Bainville, Le dernier jour de Leopardi. Drame en un acte, Paris, Chaix, 1894. 75 Ivi, p. 6.

Nel testo francese la giovane donna aveva infatti accompagnato Leopardi e la sorella durante la visita della Toscana tra bellezze naturalistiche e pellegrinaggi letterari:

Chère Paolina, je fus ta confidente

Aux jours de quiétude ou de paix apparente: […] Dans la belle cité des fleurs et des charmilles, Grace à vous, Sylvia possédait deux familles: Je vous accompagnais à Fiesole, aux Colli, Respirant en commun ce bonheur accompli D’être aux lieux illustrés par Dante, par Boccace, Avec le descendent de leur sublime race.

(scène V, p. 10)

I ricordi di un tour (e si ricordino le molteplici valenze assunte dal viaggio in Italia per gli stranieri) «au parfum de l’encens» portano gradualmente a rivelare l’amore provato dalla fanciulla per l’infelice poeta di Recanati e, di fatto, capovolgono la situazione descritta nella celebre poesia A Silvia.

Se infatti i versi di Leopardi sono generati da una situazione di perdita e modulano magistralmente la caduta delle illusioni seguite alla precoce fine di un amore adolescenziale, in Bainville non è più il poeta a doversi misurare con il lutto della perdita, ma è Silvia ad accompagnare verso la «fredda morte» colui che è ormai soltanto indicato come «l’ombre de lui-même», «le dernier des humains».

Nel sistema di personaggi che si viene a creare emerge, qui come negli altri allestimenti teatrali, un rapporto privilegiato Giacomo-Paolina, nella finzione narrativa sposa di Ranieri.

L’uso, consueto anche nelle biografie letterarie, di intercalare richiami biografici con citazioni testuali, si realizza con la recita dello stesso Leopardi della canzone All’Italia tradotta in versi francesi da Bainville, precisamente in quartine, in una sorta di performance dentro la performance.

Il drammaturgo francese coglie il contraddittorio legame tra Leopardi e la sua città natale, considerando un esilio il periodo di allontanamento da essa che però gli consente di conquistare l’alloro poetico.

Un ribaltamento della denominazione di Sainte-Beuve «dernier des Anciens» sembra intravedersi quando Bainville definisce invece Leopardi «le dernier des humains»,76 ponendo quindi l’enfasi sulla sua condizione infelice e non sul suo

legame con l’antico che il drammaturgo non considera in alcun modo nel corso del suo testo teatrale.

Nel suo complesso l’opera non si contraddistingue per l’estremo valore letterario e procede rivestendo di toni galanti e patine leziose il dramma di una vita alla sua conclusione.

Dalla pièce traspare che Bainville non fosse un profondo conoscitore di Leopardi e ricreasse questo personaggio a partire da alcuni clichés, dalla conoscenza diretta solo dei Canti e da imprecise notizie sul Leopardi pensatore come rilevabile dalla nota biografica che precede l’opera teatrale.

Singolare appare anche notare come altre varianti in senso performativo di Leopardi in Italia si datino in periodi successivi e mantengano con questo scritto alcuni punti di similarità, consentendo quindi di ascrivere l’opera di Bainville al rango di prototipo, nonostante la scarsissima diffusione del dramma francese.

In un dinamico gioco di scambi, infatti, questa opera teatrale è stata riformulata, a distanza di tempo, tra gli altri, da Giuseppe Manfridi, autore della pièce Giacomo il prepotente che ha avuto molta fortuna anche in Francia grazie all’adattamento di Huguette Hatem intitolato Giacomo le Tyrannique.77

A più di un secolo dall’opera di Bainville, Manfridi attua la medesima scelta di focalizzare l’attenzione sull’ultimo segmento della vita dell’infelice poeta e di incentrare la performance su Giacomo, Antonio Ranieri, la serva Lucella, Paolina Leopardi e Paolina Ranieri (creando così un doppio della stessa figura muliebre divisa tra Recanati e Napoli).

Attraverso una lettura intelligente e per molti aspetti demistificante, Leopardi in limine mortis, costretto dai suoi stessi limiti corporei a veder negati i propri desideri, si pone come una sorta di feticcio, oggetto del desiderio incrociato degli altri personaggi (che trova la sua Spannung nel monologo dalle tinte incestuose della sorella durante il II atto) da cui dipende il dipanarsi dell’azione scenica.

Nell’allestimento italiano per la regia di Antonio Arena, l’interpretazione dei personaggi è tutta concentrata intorno all’accadimento dell’imminente morte di Giacomo, facendo deflagrare le tensioni irrisolte nelle relazioni tra i vari personaggi, laddove l’allestimento francese (che ha riscontrato enorme successo ed è stato proposto anche in versione radiofonica sino alla recente pubblicazione del testo

77 Giuseppe Manfridi, Giacomo, il prepotente, Clueb, Bologna, 2003 e Id., Giacomo le Tyrannique,

tradotto nel 2010 nelle Éditions Le Jardin d’Essai), presenta delle varianti altrettanto significative.

Infatti, con un’impostazione scenografica di tipo minimalista, è stata predisposta una scena unica con in centro un grande parallelepipedo ruotante che, nel corso della pièce, si trasforma prima in letto di Giacomo, poi in ripostiglio di ciarpame e ricordi per Paolina sino alla sua destrutturazione in un’implosione finale78.

Manfridi preferisce non soffermarsi sulla grandezza del poeta per sottolinearne, invece, come spesso accade in operazioni di questo tipo, le miserie umane, ma, per quanto delicata possa essere una simile operazione scenica, lo spaesamento non arriva mai alla demistificazione. Efficace è quindi la scelta di scarnificare le espressioni, sottratte ad ogni aulicità, talvolta con delle distorsioni espressionistiche.

In questi testi drammatici, da quello ottocentesco di Bainville alla traduzione in francese di una pièce italiana, lo studio del poeta cambia direzione e l’analisi critica si piega in affabulazione, l’infelice letterato italiano diviene un personaggio “in scena”, ora da eroicizzare ora da compatire.

78 Molte di queste informazioni derivano da un’intervista che mi è stata gentilmente concessa

Capitolo II «Al chiaror delle nevi».

L’effacement di Jaccottet (e altri) nella traduzione-ricezione dei Canti

E tu, lenta ginestra, che di selve odorate

queste campagne dispogliate adorni, anche tu presto alla crudel possanza soccomberai del sotterraneo foco. (Leopardi)

Que la poésie peut infléchir, fléchir un instant, le fer du sort. Le reste, à laisser aux loquaces.

(Jaccottet)