• Non ci sono risultati.

A LTRI ESEMPI DI TRADUZIONI POETICHE OTTOCENTESCHE DEI C ANT

Le risonanze prodotte dall’articolo di Sainte-Beuve su altri letterati francesi sono facilmente ravvisabili scorrendo altri saggi di traduzione editi poco dopo.

In alcuni casi i traduttori imitano lo stesso metodo del biografo francese e scelgono, nella loro campionatura parziale dai Canti, il doppio sistema di traduzione in poesia dei componimenti trasposti integralmente e in prosa quando la citazione riguarda singoli passaggi delle poesie.

Ad esempio Eugène de Montlaur aggiunge al florilegio saintebeuviano la traduzione del Risorgimento e delle Ricordanze e Léo Joubert inserisce all’interno di un suo discorso critico la versione in prosa di alcuni passi de Il passero solitario, di Consalvo, Amore e morte e la traduzione integrale de La sera del dì di festa.

Il suo contributo appare nel 1860 presso la «Revue des Deux-Mondes» che ospiterà anche altri scritti dedicati al poeta di Recanati come quello di Charles de Mazade il quale volge in prosa una parte de Il tramonto della luna.69

67 Cfr. Gilberto Lonardi, Leopardismo: tre saggi sugli usi di Leopardi dall’Otto al Novecento, cit. 68 Edouard Rod, Giacomo Leopardi., Paris, Didier, 1888, p. 34.

69 Questi i rimandi bibliografici: Eugéne de Montlaur, Giacomo Leopardi, Moulins, Desrosiers, 1846;

Léo Joubert, Ėssai de critique et d’histoire, Paris, Didot, 1863; Charles de Mazade, Les souffrances

Simile risulta poco più avanti il tentativo di Bouché-Leclercq che traduce in prosa, tra l’altro, A un vincitore nel pallone, Per le nozze della sorella Paolina, Bruto Minore, Per l’inno al Redentore, Aspasia e A se stesso, arricchendo quindi il piccolo corpus poetico già delineatosi con i precedenti traduttori di altri componimenti sino a quel momento sconosciuti e mostrando finezza interpretativa e rigore traduttivo.70

Queste e altre prove di traduzione non potevano però naturalmente offrire che un’immagine parziale della produzione letteraria di Giacomo Leopardi.

All’esigenza di una trasposizione complessiva della sua opera poetica rispondono i lavori di Vernier, Carrè, Lacaussade.

La prima traduzione integrale dei Canti, basata sull’edizione Le Monnier del 1865, si ha con Vernier nel 1867 che include anche tre Frammenti (Ėcoute Mélisso; Errant ici alentour, Ėteint le rayon diurne), ma nella prefazione traccia un profilo biografico di Leopardi alquanto impreciso.71

Vent’anni dopo Carré cura un’altra edizione complessiva dei Canti leopardiani, servendosi delle traduzioni di Vernier, Bouché-Leclercq e Aulard, la cui tesi di dottorato conteneva alcune versioni delle poesie pubblicate, insieme alla prima traduzione delle Operette morali e dei Pensieri, nel 1880.72

Aulard, come già rilevato, decide di non inserire i Paralipomeni della Batracomiomachia, ritenendoli troppo legati al contesto italiano e valorizzando invece il contenuto filosofico della produzione leopardiana.

Complessivamente quelle di Aulard sono traduzioni fedeli, in cui è palese la conoscenza approfondita dell’autore oggetto di studi, ma risultano poco efficaci nel rendere appieno il valore poetico del testo italiano.

Il volume di Carré consolida la fortuna leopardiana anche nell’ambito lirico, di contro ad una ricezione del Recanatese legata all’ambito filosofico e trova una sua eco in molti articoli del tempo.

Uno degli ultimi lavori ottocenteschi sui Canti ripropone, non a caso, delle traduzioni poetiche a cura di Lacaussade, discepolo e amico di Sainte-Beuve.73

Come esemplificazione del suo modus traducendi riportiamo la traduzione di A se stesso:

70 Auguste Bouché-Leclercq, Giacomo Leopardi, sa vie et ses œuvres, Paris, Didier, 1874. 71 Valéry Vernier, Poésies complètes, Paris, Librairie Centrale, 1867.

72 Aulard, Poésies et œuvres morales de G. Leopardi, Paris, Lemerre, 1880, 3 voll.

Posa per sempre

Enfin et pour toujours repose-toi, mon cœur, O mon cœur fatigué! Cette suprême erreur

A qui tu t’es donné, la croyant éternelle,

Elle est morte, et bien morte! Et je sens qu’avec elle Non seulement l’espoir, mais le désir est mort. Meurs aussi, pauvre cœur! Sans regret ni remord Du Passé, rends à l’air ta flamme inassouvie. Vœux déçus, amertume, ennui, voilà la vie. Dans le renoncement est la sérénité.

Pour souffrir, n’as-tu pas trop longtemps palpité! Repose-toi, mon cœur! Il n’est rien en ce monde, A tes fiers battements il n’est rien qui réponde. La terre est vide, et vide est le ciel! Le Destin, Pouvoir lache et caché, nous mène au but certain, Le néant!

Repose-toi, mon cœur, - désespère à jamais!

Si tratta di una vera e propria riscrittura, molto diversa dal componimento leopardiano, originale e innovativo proprio per il suo stile nominale, la sintassi franta, il tono introspettivo prodotto dal colloquio con il proprio cuore che, in Italia, suggestionerà tanta poesia novecentesca, basti pensare alla lirica Taci, anima stanca di godere di Camillo Sbarbaro e al dialogo col cuore «monello e giocondo» di Gozzano.

Questi aspetti di estrema modernità della poesia del Recanatese vengono meno nella traduzione che, un po’ alla maniera di Sainte-Beuve, tende a rendere l’enfasi con un succedersi di proposizioni esclamative (per la precisione 7 in un componimento di 16 versi, con uno scarto dunque positivo nell’impiego di questo segno interpuntivo), del tutto assenti nel testo-source.

I versi 4-9 sono quelli che maggiormente si discostano dal dettato originario, così come, nella conclusione, il biblico riferimento all’«infinita vanità del tutto» viene meno, con un impoverimento dell’intertestuale lirica, per un più generico rifarsi al «néant».