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G IUSEPPE U NGARETTI , LEZIONI LEOPARDIANE D ’ OLTRALPE

Di fondamentale importanza per la fortuna novecentesca di Leopardi è la mediazione di Giuseppe Ungaretti, un “italiano di Parigi”, fautore di una riscoperta della tradizione italiana in Francia grazie a numerosissimi studi critici e scelte antologiche di testi da lui stesso tradotti.

La sua linea interpretativa valorizza particolarmente lo Zibaldone, solo di recente interamente tradotto in lingua francese, che viene accostato alle Pensées di Pascal, proponendo così una rilettura del Recanatese in chiave cristiana.

Gli scritti ungarettiani ispireranno tanti letterati francesi, alcuni dei quali diverranno traduttori delle opere di Leopardi.

Si fa riferimento a René Char, Yves Bonnefoy e soprattutto, a Philippe Jaccottet, che è curatore e traduttore anche dei testi ungarettiani sull’argomento.84

Se infatti i primi scritti sul poeta di Recanati pubblicati da Ungaretti si datano al primo trentennio del Novecento questi stessi contributi avranno più ampia diffusione solo nel 1969 nell’edizione curata da Jaccottet che comprende anche altri saggi su Leopardi tradotti dal poeta svizzero.

Per ben tre volte Ungaretti propone, con qualche modifica, il suo saggio Innocenza e memoria, apparso per la prima volta ne «Il mattino» (maggio 1926), poi ne «L’italiano» (ottobre 1926), quindi ripubblicato nel mese di novembre in «La Nouvelle Revue Française» e, infine, nel 1969 in una versione rivista da Jaccottet.

84 Si fa espressamente riferimento all’importante scritto: Giuseppe Ungaretti, Innocence et mémoire,

traduit de l’italien par Ph. Jaccottet, Paris, Gallimard, 1969, già apparso in Ungaretti, Innocence et

L’insistenza su un articolo che punta tutto sulla polarità «innocenza»/«memoria» è rivelatrice della centralità di questi termini nell’intera produzione ungarettiana; il testo francese presenta alcune variazioni tra cui la principale è l’inserzione di un raffronto tra Leopardi e Mallarmé, solo accennato negli studi critici italiani.85

L’immagine di Leopardi che trapela dagli scritti ungarettiani, ancora più profondamente comprensibili se letti in strettissima correlazione con la sua produzione poetica, è quella di un autore caratterizzato da un’«aspirazione all’infinito» strettamente connessa a due campi semantici ruotanti, nell’interpretazione di Ungaretti, attorno alle parole-chiave «innocenza» e «memoria» come recita il titolo di un suo celebre saggio.

Anche l’autore dell’Allegria tende a immettere la produzione leopardiana entro un contesto più ampio, invitando a rileggerlo in una prospettiva europea che lo porta, ad esempio, a stabilire una connessione con Pascal e poi con Mallarmé o, ancora, a valorizzare quei componimenti, come la canzone Alla primavera, o delle favole antiche, che con l’antico intrattengono un rapporto molto saldo.

Attraverso Leopardi (e Petrarca), Ungaretti si inserisce a pieno titolo nella tradizione lirica italiana, mantenendo comunque inalterati quei suoi tratti peculiari che gli derivano dal nomadismo e dalla formazione francese entro cui, a sua volta, tenterà di immettere alcuni ‘germi’ della cultura italiana.

Dai contributi critici, fino al 1936 incentrati soprattutto sullo studio dello Zibaldone, Ungaretti passa ad una fase successiva in cui l’attenzione è riposta maggiormente sul Leopardi poeta.

Da una parte venendo a creare una linea di poetica che da Petrarca muove verso il poeta di Recanati, dall’altra accostando lo stesso Leopardi a Baudelaire, Mallarmé e soprattutto Valèry. In entrambe le linee, la prima facente capo alla più alta tradizione italiana, la seconda costituita da grandi innovatori di quella francese, è comunque palese la volontà ungarettiana di legarsi a questi illustri predecessori, abbreviando le distanze con essi.

85 Sull’influenza congiunta di Leopardi e Mallarmé nella formazione di Giuseppe Ungaretti cfr.

Luciano Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Ungaretti, prefazione di Giuseppe Prezzolini, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1962, in particolare il paragrafo Leopardi e Mallarmé, pp. 113- 158.

Come rilevabile anche dal saggio introduttivo ai «Meridiani» di Mario Diacono,86 il discorso critico di Ungaretti, critico militante e professore universitario, si annoda tutto, anche quando rimanda ad altri autori, intorno alla figura di Leopardi che, insieme ad altri pochi numi tutelari, rappresenta un costante punto di riferimento non solo della sua poesia, ma anche degli scritti saggistici.87

L’incontro tra Jaccottet e Ungaretti è quello tra un giovane scrittore e un affermato poeta. Il poeta svizzero incontra Ungaretti per la prima volta nel 1946 per divenire in seguito il suo traduttore e confidente. Da quest’esperienza avrà infatti inizio un sodalizio intellettuale intenso congiunto a una forte amicizia che porterà Jaccottet a riunire tutte le poesie ungarettiane tradotte nel volume Vie d’un homme. Poésie 1914-1970, contribuendo alla diffusione della conoscenza dell’autore italiano in Francia.

Molte le affinità tra i due letterati, a partire dal comune mestiere di traduttore. Ecco perché di particolare interesse appare la corrispondenza tra i due autori,88 da cui è possibile risalire alla genesi del volume sui Canti di Leopardi che costituisce, dopo lo scritto di Sainte-Beuve, un altro importante momento divulgativo nella storia della ricezione di Leopardi in Francia.

Il carteggio ci permette innanzitutto di addentrarci nell’officina traduttoria dei due grandi poeti, in quanto si vede come all’invio di testi tradotti da parte di Jaccottet seguano spesso altre proposte di traduzioni, diverse formulazioni o annotazioni, anche di encomio, da parte di Ungaretti.

Tutto avviene con estrema concisione, con toni essenziali che poco concedono agli stati d’animo, agli aneddoti o alle confessioni personali. Già per la traduzione del Secondo discorso su Leopardi, pubblicato presso la rivista «Paragone» nel 1950, molto fitto è lo scambio reciproco di suggerimenti e consigli durante la fase di traduzione da cui si può ricavare un vero e proprio «dossier de travail».

Il traduttore si dimostra particolarmente attento dal punto di vista dell’accuratezza stilistica («Certains passages devront encore être revus par moi pour le style: allégés ou éclaircis, en particulier»)89 e in merito al problema delle citazioni che propone di

86 Ungaretti, Vita d’un uomo. Saggi e interventi, a cura di Mario Diacono e Luciano Rebay, Milano,

Mondadori, 1997, «I Meridiani».

87 L’interesse ungarettiano per il poeta di Recanati non è sfuggito agli studiosi francesi i quali hanno,

anche in tempi recenti, riproposto organicamente il suo corpus di scritti intorno a Leopardi nel volume: Ungaretti, Sur Leopardi, Saint Clément de Rivière, Fata Morgana, 1998.

88 Jaccottet-Ungaretti, Correspondance 1946-1970, Paris, Gallimard, 2008. 89 Ivi, p. 156.

risolvere trasponendole in francese nel testo e inserendo la citazione dei brani italiani in nota.

Il problema si pone però nel caso del commento serrato da parte di Ungaretti de L’infinito in cui vi è una fitta alternanza tra commento e citazioni.

Il traduttore immagina allora un confronto sinottico tra le due versioni:

Sauf dans les cas où, comme l’analyse de «L’infini», le commentaire est si minutieux que j’ai été contraint à une traduction mot à mot, laquelle devrait être simplement imprimée au-dessus du texte original, vers par vers, dans un corps plus petit.90

Le altre questioni riguardano il titolo del saggio e la proposta di alcune modifiche e soppressioni in larga misura accettate da Ungaretti.

Di fondamentale importanza ai fini del nostro discorso è il momento in cui Roger Caillois, su sollecitazione di Ungaretti, propone a Jaccottet di curare la traduzione dei Canti di Leopardi per un’edizione da inserire nella collezione «Unesco».

A questo riguardo così il poeta francofono scrive a Ungaretti l’11 febbraio del 1961:

Je vous écris à propos du projet Leopardi de l’Unesco. À Caillois qui me demandait de traduire les Canti, j’ai proposé de vous soumettre d’abord une traduction de George Nicole (qui a publié un beau Pétrarque chez Mermod): on peut certes imaginer une version plus musicale, moins assourdie, des Canti, mais j’admire sa justesse de ton, sa modestie, sa retenue. Comme Nicole, mort il y a un an, était un de mes amis, que sa version devait paraître chez Mermod, je ne voulais pas accepter l’offre de Caillois sans que la Commission italienne eût d’abord examiné la version Nicole – que je m’offre à revoir et à compléter le cas échéant. Vous en jugerez mieux que moi.

De toutes façons, ne pensez-vous pas que l’Unesco aurait avantage à donner seulement un choix des Canti? Compte tenu de l’inévitable affaiblissement dû à la traduction, je crains que certains poèmes ne détournent le lecteur des autres, des plus beaux.91

Da questa lettera trapela qualche esitazione del giovane Jaccottet a doversi occupare di quest’importante progetto editoriale.

E soprattutto viene formulata chiaramente l’intenzione di non tradurre per intero le poesie dei Canti, servendosi delle versioni che George Nicole aveva realizzato per la «Collection du Bouquet», rimaste inedite.

90 Ivi, pp. 156-157. 91 Ivi, p. 71.

Aggiungendo a queste, quelle di Aulard, Jaccottet infatti tradurrà soltanto alcuni componimenti, sottoponendo però a un processo di revisione serrato l’intero volume che apparirà per la prima volta con prefazione di Ungaretti nel 1964 a Parigi per le edizioni del Duca, tradotta in francese proprio da Jaccottet.92

Anche in questo caso vi è una lettera a testimoniare il lavoro di traduzione compiuto dall’autore svizzero che inserisce anche una serie di domande in calce alla sua missiva, utili per comprendere il travaglio e lo scrupolo traduttorio.

Si tratta, prevalentemente, di una lista di parole italiane di dubbio significato per Jaccottet e di una serie di domande.

A sua volta l’autore dell’Allegria mostra di conferire particolare importanza alla versione in francese della sua prefazione al volume leopardiano93 laddove il poeta svizzero, sempre premuroso a desideroso di apportare al suo scritto tutte le modifiche necessarie, manifesta, nella lettera del 24 agosto 1964, qualche perplessità sulla pubblicazione di un testo non inedito come prefazione, mostrandosi al tempo stesso consapevole dell’importanza di questo progetto editoriale e del prezioso apporto critico ungarettiano destinato ad attirare, ancor di più, l’attenzione sul libro patrocinato dall’Unesco.