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PROFILO BIOBLIOGRAFICO DI Y VES B ONNEFOY

Nato nel 1923 a Tours, Yves Bonnefoy è unanimemente considerato uno dei più grandi poeti contemporanei e ha pubblicato numerose raccolte dei suoi versi nell’arco di oltre cinquant’anni, affiancando l’attività poetica a quella di critico letterario e di traduttore.

175 Bonnefoy, La civiltà delle immagini. Pittori e poeti d’Italia, Roma, Donzelli, 2005, p. 4. 176 Id., L’enseignement et l’exemple de Leopardi, Périgueux, William Blake, 2001.

Della sua infanzia ricorderà sovente i soggiorni passati con i suoi familiari, con nonni e cugini, a Toirac; durante la sua carriera scolastica si delineano già alcuni tratti distintivi e quindi caratteristici del suo essere poeta. Già in cinquième (seconda media), nel 1935, si rivela, ad esempio, la sua propensione verso lo studio della lingua latina, di cui ammira soprattutto la sintassi e le parole che per lui hanno una qualità misteriosa e decisiva per la sua formazione poetica. Più avanti, infatti, emergerà la sua predilezione verso la poesia di alcuni poeti, primo tra tutti Virgilio.

Nella sua formazione letteraria molto importante è anche la lettura della poesia del surrealismo che inizia a conoscere nel 1941, quando già la Seconda guerra mondiale è cominciata, grazie al libro la Petite antologie poétique du surréalisme di Georges Hugnet.

Nel 1942 ottiene il diploma in Matematica generale presso l’Università di Poitiers, iniziando a partire dall’anno successivo, a frequentare alcuni circoli letterari parallelamente alla frequentazione dei corsi di Meccanica generale e Analisi matematica alla Sorbonne. I libri di Bachelard associati a quelli di André Breton lo stimolano a delineare la sua riflessione sull’«oggetto» e a cimentarsi nella scrittura surrealista.

Dal 1943 si lega sentimentalmente a Ėliane Catoni che sposerà, e con cui condividerà alcuni progetti di studio e di viaggio. Nel 1949 si diploma in Studi Letterari classici, Morale, Sociologia e Storia morale della filosofia.

La prima visita in Italia è databile al 1950 e ha inizio a Livorno per poi proseguire per Firenze e Venezia: il viaggio è determinante per la sua vocazione artistica, in quanto lo scrittore non è solamente affascinato dal paesaggio mediterraneo, quanto soprattutto dall’arte italiana, a cominciare dalla già ricordata visione del campanile di Santa Maria Novella a Firenze. Affascinato da questa città ottiene una borsa di studio che gli permette di riflettere sulla «bellezza formale» e «l’intuizione della finitudine»177 che vedeva incarnati nei grandi Fiorentini (Botticelli, Michelangelo, la Cappella medicea), continuando, anche nell’anno successivo, il suo tour lungo Napoli, la Sicilia, Roma, l’Umbria, Ravenna. In particolare scopre Piero della Francesca cui dedicherà degli importanti saggi di critica d’arte e inizia a comporre le

177 Fabio Scotto, La poesia di Bonnefoy: voci dalla materia del mondo, in Bonnefoy, L’opera poetica,

a cura e con un saggio introduttivo di Fabio Scotto, traduzioni poetiche di Diana Grange Fiori e Fabio Scotto, Milano, Mondadori, «I Meridiani», 2010, p. LXXXV.

poesie che nel 1953 confluiranno nella sua prima raccolta Du mouvement et de l’immobilité de Douve che incontra subito il favore della critica.

Nel 1954 è invece Roma ad essere oggetto dell’attenzione particolare dell’autore, soprattutto in riferimento alle chiese romaniche e alla sua straordinaria arte barocca che gli ispirerà lo scritto prosastico Roma 1630. Della capitale italiana Bonnefoy mostra di ammirare il barocco, l’opulenza, la grandiosità, colti però, come sottolinea Scotto178 in uno slancio unitario che ne comporta il sacrificio, intravedendo in certe opere, in filigrana, una «seconda semplicità». In parallelo si delinea anche la sua attività di traduttore: sono del 1957 le prime traduzioni shakespeariane e dello stesso anno è il viaggio in Grecia.

Nel 1958 esce Hier régnant désert con cui riceve il premio della Nouvelle Vague e nel 1959 la sua prima raccolta di saggi L’improbable dove sono riuniti i testi critici sull’arte e la poesia tra cui un’importante introduzione alle Fleurs du mal di Baudelaire, chiara esemplificazione del delinearsi della sua poetica.

Nel 1961 si separa dalla moglie Ėliane; conosce poi Lucy Vines, pittrice di origine americana, che sposa in seconde nozze nel 1968 e da cui avrà nel 1972 una figlia, Mathilde. Insieme, nel 1963, acquistano una parte dell’antica abbazia del comune di Valsaintes nelle Alpi meridionali, abbandonata fin dai tempi della Rivoluzione francese. Questo luogo sarà fonte di ispirazione per gli anni successivi.

Nel 1965 Bonnefoy pubblica la silloge poetica Pierre écrite e avviene l’incontro con Alberto Giacometti, anch’egli oggetto di studio del letterato francese. Due anni dopo Bonnefoy, insieme ad altri intellettuali, fonda la rivista «L’Ėphémère» dedicata all’arte e alla poesia e che uscirà fino al 1972.

Primo obiettivo di questa iniziativa editoriale è interrogarsi sui limiti del linguaggio, alla maniera di Plotino che si chiedeva «quel discours est possible lorsqu’il s’agit de ce qui est absolument simple». Segue un periodo intenso di viaggi in Grecia, India Giappone, Stati Uniti in cui lo scrittore tiene dei seminari e delle lezioni in molte università francesi e straniere. Nel 1969 esce in Italia, per i tipi einaudiani, la prima traduzione in volume di sue poesie, Movimento e immobilità di Douve, tradotto dall’amica Diana Grange Fiori e introdotto da Stefano Agosti.

Un anno particolarmente importante è il 1972, segnato dalla nascita della figlia Matilde, dalla morte della madre e dalla pubblicazione de L’arrière-pays, scritto autobiografico che ripercorre le tappe del suo denso percorso intellettuale.

Nel 1975 esce Dans le leurre du seuil in cui Bonnefoy evoca il periodo trascorso nell’abbazia di Valsainte, ormai del tutto restaurata e intraprende il lavoro preparatorio del Dizionario delle mitologie e delle religioni di cui ha la direzione.

Nel 1977 pubblica la raccolta di saggi intitolata Le nuage rouge in cui approfondisce la questione del linguaggio concettuale e delle parole semplici («le pain, le ciel, la pierre…») che gli permettono di accostarsi alla Presenza attraverso il ricordo e il pensiero speculativo.

Nel 1981 sino al 1993, anno del suo pensionamento l’autore è eletto docente alla cattedra di “Ėtudes comparées de la fonction poétique” del Collège de France in sostituzione di Roland Barthes, iniziando le sue lezioni con un corso sulla «Poétique de Giacometti», integrata da approfondite riflessioni sul metodo critico.

Nel 1984 le sue lezioni vertono sul Sonetto I, Giulietta e Romeo e Giulio Cesare di Shakespeare. I suoi corsi sono stati riuniti nella raccolta Lieux et destins de l’image del 1999. Durante questi anni è insignito di numerosi riconoscimenti fra cui alcune lauree honoris causa e continuano le pubblicazioni di traduzioni, saggi e raccolte poetiche.

Nel 1987 esce il volume Ce qui fut sans lumière in linea con Dans le leurre du seuil, ma segnato dalla fine del suo soggiorno a Valsaintes; nel 1990 molto importante è il volume Entretiens sur la poésie (1972-1990) che diverrà un testo classico di riferimento per gli studi poetologici. Nel 1991 pubblica Début e fin de la neige, silloge di poesie incentrate sulla sua infanzia.

Nel 1993 Bonnefoy e la moglie decidono di costituire un «Comitato di vigilanza» al fine di reagire al modo in cui alcuni esponenenti dell’estrema destra s’infiltrano tra gli intellettuali di sinistra cercando di comprometterli. Preparano una dichiarazione, insieme ad alcuni amici, che apparirà, con il titolo Appel à la vigilance su «Le Monde» il 13 luglio; fra i firmatari una decina di professori del Collège de France, quattro premi Nobel e altre celebri personalità tra cui Umberto Eco, Jacques Deridda, Jacques Dupin. Bonnefoy parla di «preoccupazione poetica», interrogandosi a proposito del rapporto tra libertà e verità. In quell’anno esce anche La vie errante e la traduzione delle Poesie di Shakespeare.

Anche nell’anno successivo Yves continua a venire spesso in Italia con tappe a Parma, Bologna, Perugia. Dal 1996, su esortazione della figlia, l’autore comincia a scrivere al computer, cambiando così il suo metodo di lavoro.

Nel 1998, anno in cui si commemorano i duecento anni dalla nascita di Giacomo Leopardi, Bonnefoy tiene numerose conferenze sul poeta di Recanati all’Unesco a Parigi, alla Sorbonne, al Consiglio d’Europa di Bruxelles. Nell’anno successivo Yves partecipa a Bologna a una giornata dedicata alle varie traduzioni de L’infinito di Leopardi, per poi proseguire altri incontri universitari a Ferrara, Torino e Milano.

Nel 2000 riceve al Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati il Premio Leopardi e pronuncia il discorso L’enseignement et l’exemple de Leopardi. In quell’occasione manifesta la sua ritrosia a tradurre Leopardi, anche se già nel 1972 si era cimentato con cinque delle poesie leopardiane apparse in Keats et Leopardi cui in seguito aggiunge la traduzione di A Silvia. In questo periodo si data l’incontro con il poeta-traduttore e docente universitario Fabio Scotto, con il quale aveva già corrisposto e che è il curatore della recente edizione delle poesie di Yves Bonnefoy uscita per «I Meridiani».

Numerose sono le successive occasioni che il poeta ha di partecipare a eventi culturali organizzati in Italia. Ad esempio nel 2003 ad Arezzo è organizzato un convegno dall’Ateneo di Siena dal titolo «Tradurre, tradursi, tradurre insieme, tradurre Bonnefoy» in cui si confronteranno alcuni dei suoi traduttori italiani (Gabriella Caramore, Chiara Elefante, Fabio Scotto…) presentati da Antonio Prete che lo inviterà anche nell’anno successivo per degli incontri con i suoi studenti all’università senese.

Anche negli anni successivi gli vengono dedicati numeri monografici su riviste e atti di convegno e si precisano i suoi interventi teorici sulla traduzione.

A partire dal 2005 la raccolta Les planches courbes è inserita per due anni nel programma delle classi terminali dei licei letterari francesi.

Nel 2006 Bonnefoy partecipa a Parigi a una giornata di studi leopardiana al Collège de France; nel 2007 legge alcune sue traduzioni di Leopardi al «Printemps du livre de Grenoble».

Nel 2009 precisa alcuni suoi principi di poetica nell’ambito della sua partecipazione a un convegno al Collège de France in cui, prendendo spunto da un sonetto petrarchesco, parla del modo in cui l’opera d’arte non può invecchiare e a un altro convegno indaga sul metodo critico dello storico dell’arte e dello scrittore.

Presenta anche una comunicazione a un convegno dantesco a Parigi dal titolo «Dante et les mots» in cui si sofferma sul ruolo della parola nella Divina Commedia.

Segue un lungo periodo di convalescenza dopo una caduta e la frattura del femore. Nel 2010 partecipa a una serata su «Yves Bonnefoy et l’Italie» organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e in quest’occasione legge sue traduzioni di poesie di Leopardi; il 15 maggio a Torino riceve il Premio Alassio Internazionale e tiene una lectio magistralis su «Leopardi e la memoria delle parole».

Nel 2011 è insignito del premio Viareggio.

Da questi pochi dati informativi emerge chiaramente come l’opera di Bonnefoy si sia andata sempre più proponendo quale riflessione sulla poesia e sul suo significato nel mondo; nell’ambito critico-letterario è ormai unanimemente considerato un punto di riferimento imprescindibile per chi si dedica a ricerche in questo settore e il suo nome è costantemente citato e discusso. Egli è insomma, per riprendere la felice formula di Fabio Scotto,179 un «“classico” contemporaneo».

In un periodo in cui la parola tende a essere intransitiva e chiusa nella sua autoreferenzialità, Bonnefoy si ricollega a un filone di «neo-lirismo» che assegna al poetare una funzione ‘ontologica’, al fine di proporre un’idea «transitiva» di poesia che segni un approdo al vissuto esperenziale con il mondo, sancendo così l’avvento dell’essere attraverso la parola.180

La poesia di Bonnefoy è densa, concettualmente complessa, spesso criptica e si pone al punto di intersezione di diversi saperi: filosofia, antropologia, psicoanalisi, teologia, matematica e naturalmente, letteratura e storia dell’arte, in una fittissima e dinamica intertestualità.

Molti i maestri di Bonnefoy: la sua scrittura procede dalla lezione dei classici latini (Ovidio, Lucrezio, Virgilio) a Dante e a Shakespeare sino all’influsso di tante ascendenze ottocentesche al cospetto di autori come Nerval, Vigny, Keats, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Leopardi; tra i novecenteschi, oltre ai surrealisti, fitto è il dialogo con Yeats di cui è traduttore, con Giacometti, Lely, traduttore di Ovidio e studioso di Sade, col neogreco Seferis, con Borges e infine con Jaccottet per l’attenzione al paesaggio, ai luoghi dell’origine, al frammentismo epigrammatico secondo la tradizione giapponese dell’haiku.

179 Ivi, p. XI. 180 Ivi, p. XII.

Tra gli elementi tematici dominanti costanti sono l’infanzia, la donna, il fuoco, la voce, la pietra, il tema della nominazione e quello dell’immagine, la morte, la religiosità, il mito, spesso metamorfico.

Il tenue autobiografismo si sposa con la concettualizzazione dei temi trattati in un fitto gioco di prossimità e lontananza e con tecnica, come sottolinea Antonio Prete, analogista, in senso forte, in senso baudelairiano, in un processo di «vaporisation et concentration du moi».181

All’analogia, come anche alla metafora, fa da pendant la sintassi ossimorica caratteristica della poesia di Bonnefoy.

Se, ad esempio, il fuoco, elemento presocratico mirabilmente interpretato da Bachelard, si collega spesso topicamente alla donna e alla passione amorosa, sono altrettanto numerose le immagini incentrate sull’elemento del gelo invernale, culminante nell’incanto della neve, oggetto dell’attenzione, tra gli altri, di Jaccottet e, nei versi di Bonnefoy, spesso collegata alla pittura di paesaggio.

Una delle figure più ricorrenti di questo singolare processo di evocazione è la pierre écrite,182 voce del mondo ctonio emblema di elementi che si stagliano dal nulla e “vengono alla presenza” attraverso la parola.

Insieme alla «voce», la pietra viene a costituire uno degli elementi portanti delle sillogi dell’autore francese in quanto l’uno riconduce all’aspetto evidente, tangibile dell’essere, spesso inteso in chiave ecfrastica, e l’altro al suono.

Il tema della nominazione è spesso associato all’infanzia e a Dio, laddove molte prose liriche svelano l’iniziale rifiuto del narrativo da parte di Bonnefoy e permettono, tra l’altro, di comporre quei récits en rêve fondati su un’analogia tra la simbolizzazione onirica (in cui si attua una rottura dei principi causali) da una parte e la pratica poetica dall’altra.

181 Antonio Prete, Yves Bonnefoy: la poesia e il pensiero dell’immagine, in Bonnefoy, Poesia e università, Lecce, Manni, 2006, pp. 64-65. Così esemplifica Prete nella sua postfazione: «L’albero e il

vento che diventano destino. Questo è il movimento proprio della poesia e della scrittura in prosa di Bonnefoy: un’insorgenza dell’essere, uno spazio e un tempo interiorizzati, quasi aboliti, e l’insorgenza, per immagini, per figure, delle cose, ritrovate in una prossimità che è la stessa che bagna il destino creaturale» (Ivi, p. 65).

182 Come ha notato Piero Bigongiari (La metamorfosi di Bonnefoy in ID., Poesia francese del 900,

Firenze, Vallecchi, 1968, p. 237) «la “pietra” risulta “scritta” da un’avventura, da una costrizione che ne rende intuitiva la forza raddoppiata di intima coesione: al di là di questa direzione verso la morte, non vi è morte, ma il senso di una durata, l’apertura, a dir così, verso una concezione molecolare della materia vivente, verso il suo “silenzio”. La passione ha raggiunto il suo stato molecolare: dura allo stato solido».

Per Bonnefoy si ha insomma poesia quando un essere o un luogo affiora e si fa presente, emergendo quindi in una condizione di finitudine e di immanenza.

Al ‘concetto’ concepito come rappresentazione parziale e frammentaria della cosa (così come inteso anche dal pensiero surrealista) si oppone la parola vista come incarnazione dell’esperienza nell’immediatezza sensibile.183

In coerenza con questa idea della poesia, anche la poetica traduttoria di Yves Bonnefoy si configura come ricerca di una parola essenziale che sia anche «presenza», «immediatezza», «atto di poesia».