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Nonostante la vicinanza tra Sainte-Beuve e Leopardi si colga maggiormente attraverso l’esercizio delle traduzioni che implicano un dialogo ravvicinato tra i due autori, è indubbio che quell’adesione, più o meno dissimulata, manifestata dall’autore francese nei confronti del poeta di Recanati si riveli anche in alcuni luoghi della sua produzione letteraria.

Le opere che maggiormente presentano echi leopardiani sono Volupté e soprattutto Vie, Poésie et Pensées de Joseph Delorme.53

Quest’ultimo testo presenta una struttura articolata in generi distinti e insieme fortemente irrelati: biografia, poesia, frammenti di prosa. Ognuna di queste parti, pur essendo frutto di un’intertestualità fittissima, disvela molti punti di contatto con la produzione letteraria leopardiana che non possono certo essere tutti casuali.

La Vie de Joseph Delorme ricalca nella forma fittizia di una biografia molte tappe della vita di Giacomo, già studiata anni prima per la stesura del Portrait, intrecciandosi con tante biografie romantiche reali o di invenzione, incentrate sul motivo dell’angoscia e dell’insoddisfazione del giovane artista dotato di una sensibilità non comune e naturalmente tanti tratti autobiografici, costituiti prevalentemente da ricordi infantili e altre memorie personali dell’autore che riemergono proprio grazie alle suggestioni letterarie.

Narratari di quest’opera sono infatti coloro che hanno il gusto della rêverie frammisto a «une conformité douloureuse d’existence»54.

Come Leopardi, Joseph Delorme nasce in un borgo e sin da piccolo si vota agli studi in modo pressoché esclusivo, dedicando molto tempo alle «sudate carte», schivando i giochi dei suoi coetanei e coltivando una sua «idée vague de femme et de beauté», resa più reale dalla vista dal balcone di qualche fanciulla:

53Si tiene presente la seguente edizione: Sainte-Beuve, Joseph Delorme, Les consolations, Pensées d’Août, Paris, Charpentier, 1890.

De bonne heure imbu de préceptes moraux, et formé aux habitudes laborieuses, il se fit remarquer par son application à l’étude et par des succès soutenus. […] combien de longues heures il passait à l’écart, loin des jeux de son âge.55

La stessa attitudine meditativa trova una delle sue realizzazioni proprio nelle riflessioni all’aria aperta, contemplando il paesaggio, come aveva ricordato Giacomo nel suo Infinito:

Là, il s’asseyait contre un arbre, les coudes sur les genoux et le front dans les mains, tout entier à ses pensées, à ses souvenirs, et aux innombrables voix intérieures, plaintes sourdes et confuses, vagissements mystérieux d’une âme qui s’éveille à la vie; on aurait dit le sauvage couché sur le sable, prêtant l’oreille tout le jour au murmure immense et incompréhensible des mers; - et, quand on le cherchait le soir, à l’heure du repas (car il l’oubliait souvent), on le trouvait immobile à la même place qu’au matin, et le visage noyé de pleurs.56

Il passo riportato condensa infatti molti elementi della poesia leopardiana, presenti, tra l’altro, nei testi tradotti da Sainte-Beuve. Alcuni termini richiamano proprio la celebre lirica leopardiana: il sedersi che rimanda ad un atteggiamento riflessivo, la «voix», il mare, così come il prosieguo della meditazione in un contesto notturno, «poeticissimo» nella teorizzazione leopardiana.

Un altro dato degno di rilievo è che, a differenza delle parole della traduzione L’infini, qui abbondano i termini indefiniti che costituiscono una delle peculiarità principali della bellissima poesia del 1819: «innombrables», «immense», «incompréhrensible», «immobile», ovvero Sainte-Beuve si serve di quelle parole che recano in sé un significato ed il suo contrario, in base all’aggiunta o soppressione del prefisso –in.

Questa scelta lessicale risponde inoltre all’esigenza di motivare le pagine successive, tese a tratteggiare le illusioni, prevalentemente di gloria, del protagonista, di cui viene messo in evidenza anche l’allontanamento dalla fede cristiana, nonostante la formazione ricevuta, che tanto aveva colpito Sainte-Beuve nel suo Portrait leopardiano.

Comune al Recanatese è anche la difficoltà di procurarsi i libri (si confronti a tal riguardo lo sfogo leopardiano «Con tutta la libreria io manco spessissimo di libri»

55 Ivi, pp. 6-7. 56 Ivi, p. 7.

con la situazione di Joseph «privé de livres qu’il ne pouvait acheter»),57 il desiderio di «fortes vertus», il temperamento «excessivement timide» caratterizzato dal «peu parler» e dall’essere «triste».58

Tantissimi altri gli echi leopardiani, scorrendo le pagine dell’opera saintebeuviana: dai notturni con la contemplazione della luna, ai suoni «qui vibraient à son oreille»,59 al vivere una vita distaccata come quella di un prigioniero che osserva gli altri «à travers des barreaux»60 sino alla suggestioni di fermenti patriottici e alla morte prematura.

Nella poesia inserita entro la biografia vi si trovano inoltre riferimenti al sogno, alla gloria e soprattutto ad un «tronc lentement consumé»61 che richiamano l’autodefinizione leopardiana di «tronco che soffre e pena», tra l’altro tradotta da Sainte-Beuve nella sua biografia del poeta italiano («je suis un tronc qui sente et qui pâtit», p. 59).

Le altre poesie inserite nella sezione successiva alla breve Vie, hanno in comune con Leopardi alcuni tratti, a partire da molti titoli (Premier Amour, Rêverie, Le songe, Le soir de ma jeunesse) per arrivare allo sviluppo di tematiche simili, sia pur espresse con scelte stilistiche assai differenti.

Premier Amour è il titolo della prima poesia della silloge: oltre al titolo condivide con i versi leopardiani altri tratti specifici, mutuati però non tanto dalla poesia Il primo amore, simile per l’argomento, ma non per lo svolgersi del tessuto lirico, quanto da Alla Primavera, o delle favole antiche e soprattutto da A Silvia.

Il componimento si apre con una successione di tre interrogativi alla primavera da cui il poeta si sente in qualche modo ingannato, dal momento che le promesse di felicità suggerite da questa bella stagione non sono poi state mantenute:

Printemps, que me veux-tu? Pourquoi ce doux sourire, Ces fleurs dans tes cheveux et ces boutons naissants? Pourquoi dans les bosquets cette voix qui soupire, Et du soleil d’avril ces rayons caressants?

Printemps si beau, ta vue attriste ma jeunesse; De biens évanouis tu parles à mon cœur;

57 Leopardi, lettera a Pietro Giordani, 30 aprile 1817, in Id., Lettere, cit., p. 60 e Sainte-Beuve, Joseph Delorme, Les consolations, Pensées d’Août, cit., p. 12.

58 Ibidem. 59 Ivi, p. 16. 60 Ivi, p. 17. 61 Ivi, p. 23.

Et d’un bonheur prochain ta riante promesse

M’apporte un long regret de mon premier bonheur.62

Viene così stabilita un’equivalenza tra la primavera e il primo amore, accomunati dalla loro rievocazione nostalgica, compiuta ormai sotto il segno della disillusione.

Così come era avvenuto con le traduzioni, Sainte-Beuve intensifica i tratti patetici del suo discorso, nei versi successivi anche attraverso il ricorso a molte proposizioni esclamative, e si avvale di riferimenti uditivi per evocare il rigoglio della natura in primavera.

Con «cette voix qui soupire» (e nel v. 11 descriverà il «musical accent de sa voix calme et pure») sembra voler richiamare anch’egli quel «suon della materna voce» evocato da Leopardi in Alla Primavera per riferirsi alla natura, nella fase in cui, essendo ancora intatte le illusioni, è possibile considerarla come una madre benevola. Leopardi insiste molto sulla perdita di capacità di ascolto della natura, sul «dissueto orecchio» degli uomini adulti che ormai hanno perso ogni capacità di dialogo con essa.

La seconda parte del componimento, con la descrizione della fanciulla che ha suscitato nel poeta i primi sentimenti d’amore, Sainte-Beuve si accosta invece maggiormente ad A Silvia, attribuendo alla giovane quella capacità di canto destinata ad essere sempre ricordata anche nelle imitazioni successive, che sostituisce dunque alla voce della primavera quella di una melodia muliebre, espressione dell’addio alla giovinezza, nella poesia leopardiana con la morte della fanciulla, qui con l’allontanamento dalla casa dei genitori per dare inizio alla sua nuova vita di sposa, ma suggellando comunque la fine della speranza del poeta («sa voix se fondait toute en pleurs mélodieux, / qui, tombés en mon cœur, éteignaient l’espérance!»).

Le ultime strofe presentano anche un «rayon de lune», a cui, come in Alla luna, si volgono i pianti del poeta il cui destino è di trascorrere dei giorni di «faiblesse» e d’«ennui», termine già spesso usato nelle traduzioni.

I due poli dell’eudemonismo leopardiano sono racchiusi nel primo distico della poesia successiva Sonnet («Quand l’avenir pour moi n’a pas une espérance, / quand pour moi le passé n’a pas un souvenir») per cui la felicità si può raggiungere solo nell’attesa futura o nel ricordo di eventi del passato.

In forma diversa vi sono espresse le medesime teorie già formulate nel Premier Amour: la disillusione nel veder cadere le speranze della giovinezza (qui

personificate nelle importanti illusioni dell’Amore e della Gloria) che portano alla manifestazione di un cupio dissolvi («Pourquoi ne pas mourir?»).

E ancora le liriche Rêverie e Le songe propongono dei notturni intrecciati alla tematica onirica.

Nel primo caso «la lune s’élance / sur un trône mystérieux» (v. 1) e la descrizione del cielo stellato appare omogenea alle scelte effettuate dall’autore francese nelle traduzioni dei Canti con la selezione di termini riconducibili alla poetica dell’infinito: «silence», «immobile», «immense» che, come appunto ne L’infini in cui era ampliata la metafora marina del componimento del 1819, favoriscono «les ondes de la pensée».

Il leopardismo di Sainte-Beuve è chiaramente ravvisabile nella sua lirica Les rayons jaunes che riportiamo per intero:

Les rayons jaunes

Les dimanches d'été, le soir, vers les six heures, Quand le peuple empressé déserte ses demeures Et va s'ébattre aux champs,

Ma persienne fermée, assis à ma fenêtre, Je regarde d'en haut passer et disparaître Joyeux bourgeois, marchands,

Ouvriers en habits de fête, au coeur plein d'aise; Un livre est entr'ouvert près de moi, sur ma chaise: Je lis ou fais semblant;

Et les jaunes rayons que le couchant ramène, Plus jaunes ce soir-là que pendant la semaine, Teignent mon rideau blanc.

J'aime à les voir percer vitres et jalousie; Chaque oblique sillon trace à ma fantaisie Un flot d'atomes d'or;

Puis, m'arrivant dans l'âme à travers la prunelle, Ils redorent aussi mille pensers en elle,

Mille atomes encore.

Ce sont des jours confus dont reparaît la trame, Des souvenirs d'enfance, aussi doux à notre âme Qu'un rêve d'avenir:

C'était à pareille heure (oh! je me le rappelle) Qu'après vêpres, enfants, au choeur de la chapelle, On nous faisait venir.

La lampe brûlait jaune, et jaune aussi les cierges ; Et la lueur glissant aux fronts voilés des vierges Jaunissait leur blancheur;

Courbait un front jauni, comme un épi qui penche Sous la faux du faucheur.

Oh! qui dans une église à genoux sur la pierre, N'a bien souvent, le soir, déposé sa prière, Comme un grain pur de sel ?

Qui n'a du crucifix baisé le jaune ivoire? Qui n'a de l'Homme-Dieu lu la sublime histoire Dans un jaune missel?

Mais où la retrouver, quand elle s'est perdue, Cette humble foi du coeur, qu'un ange a suspendue En palme à nos berceaux;

Qu'une mère a nourrie en nous d'un zèle immense; Dont chaque jour un prêtre arrosait la semence Aux bords des saints ruisseaux?

Peut-elle refleurir lorsqu'a soufflé l'orage,

Et qu'en nos coeurs l'orgueil debout, a dans sa rage Mis le pied sur l'autel?

On est bien faible alors, quand le malheur arrive Et la mort... faut-il donc que l'idée en survive Au voeu d'être immortel!

J'ai vu mourir, hélas! ma bonne vieille tante, L'an dernier ; sur son lit, sans voix et haletante, Elle resta trois jours,

Et trépassa. J'étais près d'elle dans l'alcôve; J'étais près d'elle encor, quand sur sa tête chauve Le linceul fit trois tours.

Le cercueil arriva, qu'on mesura de l'aune;

J'étais là... puis, autour, des cierges brûlaient jaune, Des prêtres priaient bas;

Mais en vain je voulais dire l'hymne dernière; Mon oeil était sans larme et ma voix sans prière, Car je ne croyais pas.

Elle m'aimait pourtant... ; et ma mère aussi m'aime, Et ma mère à son tour mourra; bientôt moi-même Dans le jaune linceul

Je l'ensevelirai; je clouerai sous la lame

Ce corps flétri, mais cher, ce reste de mon âme; Alors je serai seul;

Seul, sans mère, sans soeur, sans frère et sans épouse; Car qui voudrait m'aimer, et quelle main jalouse S'unirait à ma main?...

Mais déjà le soleil recule devant l'ombre,

Et les rayons qu'il lance à mon rideau plus sombre S'éteignent en chemin...

Non, jamais à mon nom ma jeune fiancée Ne rougira d'amour, rêvant dans sa pensée Au jeune époux absent;

Jamais deux enfants purs, deux anges de promesse Ne tiendront suspendu sur moi, durant la messe, Le poêle jaunissant.

Non, jamais, quand la mort m'étendra sur ma couche, Mon front ne sentira le baiser d'une bouche,

Ni mon oeil obscurci

N'entreverra l'adieu d'une lèvre mi-close! Jamais sur mon tombeau ne jaunira la rose, Ni le jaune souci!

Ainsi va ma pensée, et la nuit est venue; Je descends, et bientôt dans la foule inconnue J'ai noyé mon chagrin:

Plus d'un bras me coudoie ; on entre à la guinguette, On sort du cabaret; l'invalide en goguette

Chevrotte un gai refrain.

Ce ne sont que chansons, clameurs, rixes d'ivrogne, Ou qu'amours en plein air, et baisers sans vergogne, Et publiques faveurs;

Je rentre: sur ma route on se presse, on se rue; Toute la nuit j'entends se traîner dans ma rue Et hurler les buveurs.

Sin dalle prime strofe sono percepibili evidenti richiami a noti passi della poesia di Leopardi. L’atmosfera è quella dei cosiddetti “idilli del borgo”, in particolare del Sabato del villaggio: identico è infatti il fermento della gente «en habits de fête» nella riscrittura francese durante le domeniche estive e identico è il punto di vista straniante dell’io lirico che guarda, ma non partecipa della gioia collettiva.

Centrale appare, come in Leopardi, la finestra come diaframma fra sé e la realtà esterna e, in qualche modo, la stessa insistenza su note cromatiche «jaunes» che costituisce il fil rouge dell’intera poesia trova un suo corrispettivo nelle vie «dorate» leopardiane, riflesso di un paesaggio assolato, ma ancor di più motivate dalla particolare tonalità delle costruzioni architettoniche di molte città marchigiane che indorano appunto palazzi e luoghi.

In Sainte-Beuve il giorno festivo è comunque solo un pretesto e non costituisce la motivazione del componimento che segue un suo personale percorso per poi ritornare, solo sul finale a toni leopardiani, in particolare da La sera del dì di festa (la cui traduzione è forse fra le più riuscite del biografo francese), con la conclusione che rimanda alla sfera uditiva con canti però di ubriachi al ritorno dalla festa («Toute la nuit j’entends se trainer dans ma rue / et hurler les buveurs») diversamente dal cantare dell’artigiano recanatese che rientra a casa dopo una giornata di lavoro.

A conclusione delle poesie che contengono anche traduzioni di Mosco, autore caro a Leopardi insieme a Teocrito a cui l’autore francese dedica uno dei suoi Portrait, vi sono i Pensées, genere su cui si era cimentato, tra gli altri, lo stesso Recanatese. Questi pochi esempi permettono di suffragare l’ipotesi dell’autobiografia che si proietta nella biografia: la suggestione del triste poeta italiano raggiunge Sainte-Beuve che tiene presente gli scritti leopardiani anche nella sua produzione creativa.