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Tra i primi contributi di saggistica su Leopardi degni di rilievo merita una menzione l’Essai sur les idées philosophiques et l’inspiration poétique de Leopardi. Si tratta di un estratto da una tesi di dottorato in lettere pubblicata a Torino nel 1877.

Nella prefazione Aulard specifica di aver tradotto in prosa i Canti dall’edizione fiorentina edita da Le Monnier, espungendo quei testi «qui sont elles-mêmes des traduction italiennes d’auteurs anciens».63

Sin dall’esordio emerge chiaramente come la prospettiva adottata dallo studioso miri a valorizzare il pensiero di Leopardi: per questo infatti lo scrittore italiano è accostato a Schopenhauer e le Operette Morali vengono paragonate, per importanza, ai Promessi Sposi manzoniani.

Nel primo capitolo l’autore constata come Leopardi sia stato studiato più attraverso la sua vita che le sue opere, e cerca di confutare la légende douloureuse prodotta da alcuni suoi biografi. Considera comunque ben scritta quella di Sainte- Beuve e molti dei rilievi fatti nel corso del testo sono volti non solo a presentare e studiare Leopardi quanto a valutare il contributo del noto biografo francese, ora sostenendo le sue tesi ora confutandole.

Scrive Aulard che:

Leopardi ne fut pas aussi malheureux qu’on l’a prétendu, et, puisqu’on a insisté particulièrement sur les «rigueurs» de sa famille, nous allons tacher, sans entrer dans le récit d’une vie souvent racontée, de marquer, en décrivant cette famille un peu méconnue et presque calomniée par les biographes, quelle sorte d’influence elle put exercer sur Leopardi (p. 18)

63François-Alphonse Aulard, Poésie et œuvres morales de Leopardi. Première traduction complète précédée d’un essai sur Leopardi par F.A. Aulard, Paris, Lamerre, 1880, 3 tomi, p. 3 (tomo 1). I

Nell’interpretazione di Aulard, ad esempio, Monaldo, fervente cattolico e «trop bon Italien», non potè che rifugiarsi a vita privata dopo che vide minacciati i suoi valori dal contatto con lo straniero, cioè con la Francia. Ripiegò allora vivendo la sua stessa vita con una certa enfasi in contrasto con la semplicità dei suoi figli.

La stessa infelicità di Leopardi viene notevolmente ridimensionata attraverso un paragone con Voltaire (autore già messo in relazione a Leopardi da Sainte-Beuve) che aveva avuto vicissitudini ben più gravi senza per questo divenire il prototipo dell’intellettuale infelice.

Nel secondo capitolo intitolato Philosophie de Leopardi, l’infelicità è collegata all’unico problema che è quello del dolore in quanto tutta la poesia leopardiana è un «cri de douleur» (p. 36).

Nell’interpretazione di Aulard la presenza di Dio è totalmente esclusa. Il divino è presente solo nelle invocazioni, mentre Monaldo lo chiama in causa continuamente. Aulard affronta più volte quest’argomento, specialmente quando si sofferma sui progetti di inni cristiani che, come nota, erano stati presi in considerazione da Sainte- Beuve.

Aulard mette però in evidenza, rispetto a quanto già scritto dal noto biografo, che questi abbozzi sono paragonabili alla forma dei frammenti di Pascal e che già nel progetto degli inni è presente una certa «incrédulité incosciente».

Lo stesso Leopardi considererà questi inni come un «monument curieux de l’histoire de sa pensée» (p. 69), anche se li trascriverà in un Supplemento mandato a de Sinner in cui tra l’altro troviamo scritto: «N’a-t-il pas voulu nous montrer et se rappeler lui-même combien rapidement sa foi fut ruiné par la vue des misères humaines, au moment même ou le sentiment de ces misères allait s’exprimer en une poésie ardemment catholique?» (p. 69).

Nel suo saggio critico Aulard non smette di dialogare con Sainte Beuve e nell’elogiarlo di fatto ne mette in evidenza certe colpevoli, a suo giudizio, omissioni. Ad esempio lo accusa (p. 70) di aver passato sotto silenzio certe èbauches che sono Alla canzone sulla Grecia, L’abbozzo dell’Erminia, et Il primo delitto o la vergine guasta.

L’Erminia viene da Aulard (giustamente) svalutata, appare come uno scritto solamente imitativo nel senso deteriore del termine, composto sotto l’influsso di una infatuazione del Tasso; il secondo scritto, pure non di grande valore, testimonia la volontà di Leopardi di “chanter les Grecs” (p.70). Nel capitolo IV sulle canzoni

patriottiche: Leopardi è considerato imitatore di Petrarca per la poesia All’Italia, mentre il capitolo V è dedicato al significato dell’amore per Leopardi che occupa un posto importante nel suo sistema e nella sua poesia per sottolineare meglio la miseria umana.

Rispetto a Sainte-Beuve, Aulard valorizza, nel capitolo VII del suo contributo, le poesie satiriche, sottolineando l’importanza dei Paralipomeni, letti non tanto come testamento politico quanto come testamento filosofico del poeta di Recanati.

In accordo con il biografo francese, nelle conclusioni, Leopardi è proiettato al di fuori dei confini nazionali ed è considerato uno dei più grandi poeti del secolo la cui vera fonte di ispirazione non è data né da situazioni personali né storiche quanto invece dall’elaborazione della sua teoria dell’infelicità, lucidamente espressa nelle opere in prosa.

Per quanto riguarda le traduzioni, la scelta di trasporre in prosa i Canti, viene spiegata con la difficoltà di ben tradurre la poesia leopardiana e le traduzioni di Valèry Vernier e Sainte-Beuve sono criticate proprio perché non avrebbero tenuto adeguatamente presente gli scritti filosofici del recanatese, indispensabile chiave di accesso non solo al suo pensiero, ma anche alla sua poesia.

Così infatti scrive Aulard:

Notre traduction des Poésies aura peut-être ceci de nouveau qu’elle a été faite, pour ainsi dire, à la lumière des écrits philosophiques. La vraie source de l’inspiration de Leopardi est dans sa philosophie. […] C’est pour l’avoir oublié que M. Valery Vernier s’est mépris parfois sur le sens général de certaines odes, et, quoique très versé dans la langue italienne, a méconnu, croyons-nous, l’esprit intime des poésies. […]Sainte-Beuve n’est pas toujours aussi heureux. Partout où Leopardi est simple et vrai, il échoue. D’ailleurs, mettre en alexandrins les vers lyriques italiens, n’est-ce pas déjà commettre un premier contre-sens?64

Nel suo Avant-Propos Aulard mostra di prediligere quei traduttori che, alla maniera di Lacaussade, non sono ossessionati dalla fedeltà alla lettera del testo e, nel decidere di tradurre in versi il poeta italiano, si concedono delle libertà necessarie per far cogliere al lettore l’essenza del componimento tradotto in quanto: «c’est que traduire un poète est impossibile, si on prend ce mot à la lettre, surtout quand il s’àgit de Leopardi».65

64 Ivi, p. 8. 65 Ivi, p. 9.

Pur scegliendo quindi di tradurre le poesie del Recanatese in prosa, Aulard ritiene che il suo contributo potrà essere molto utile in primis al lettore ‘comune’ che potrà avere «le désir de lire le texte», ma soprattutto agli altri poeti, ritenendo dunque Leopardi fonte di ispirazione tematica e formale per i poeti francesi, aprendo così ufficialmente, anche in ambito accademico, la strada al leopardismo d’oltralpe. Leggiamo infatti:

Mais il nous semble qu’une telle traduction doit être principalement dédiée aux poètes français: ils y trouveront des motifs, des cadres nouveaux, une vue nouvelle de cœur humain et des objets ordinaires de la poésie.

Quant aux Œuvres morales, elles plairont à tous les lettrés, nous en sommes sûr, même dans notre pauvre français.66

Dopo quello di Sainte-Beuve anche lo studio di Aulard mira quindi a canonizzare il poeta italiano, a porlo «parmi les grands poétes de ce siècle» (p. 27), spostando l’attenzione dalle sue vicissitudini personali o dal patriottismo su cui maggiormente si era sino al quel momento concentrata l’attenzione dei conoscitori francesi della poesia leopardiana, alle sue teorie filosofiche e soprattutto a quella dell’infelicità, lucidamente esposta soprattutto nelle opere in prosa.

In una nota, posta in conclusione del suo Essai, Aulard propone un accostamento tra il pensiero di Leopardi e alcune caratteristiche delle figure rappresentate da Leonardo da Vinci, mostrando così di voler offrire un’interpretazione dell’enigmatico sorriso dei suoi ritratti, destinato ad essere analizzato anche da Freud in un suo celebre saggio.

Così leggiamo in Aulard:

Peut-être trouverait-on quelque analogie entre la pensée de Leopardi et celle qu’on lit dans les yeux et dans le sourire de cette femme reproduite partout par Léonard de Vinci, non pas seulement dans le portrait du Louvre, mais aussi dans les esquisses au crayon rouge du palais Bréra, de l’Académie des beaux-arts de Venise et des Offices. Quand tous les autres peintres célèbrent la vie ou l’espérance, il semble, si l’on compare ces dessins et si on les rapproche de la Joconde, inexplicable sans ce commentaire, que Léonard de Vinci ait voulu exprimer dans ces traits, tantôt ironiques, tantôt tristes, comme une aspiration vers le néant. Voir surtout la tête du Christ au Bréra et les dessins du musée de Venise. (p. 211)

Rispetto a Sainte-Beuve, Aulard approfondisce maggiormente l’unicità e originalità della poesia leopardiana, cercando di puntualizzare meglio analogie e

differenze rispetto ad altri grandi poeti malinconici europei come Byron e Châteaubriand e ravvisando le maggiori affinità con Alfred de Musset.

A differenza di questi letterati, comunque, Leopardi avrebbe esteso la sofferenza individuale a tutta l’umanità, non reclamando a sé il «privilège da la douleur», bensì considerando il soffrire consustanziale al destino di tutti gli uomini.

Per quanto riguarda, infine, l’apporto aulardiano nella storia delle traduzioni francesi di Leopardi, è facilmente riscontrabile come esso sia limitato all’aver offerto una trasposizione complessiva dell’opera leopardiana, traducendo comunque pedissequamente il testo senza apportarvi modifiche di rilievo e appiattendo la valenza degli sciolti leopardiani entro un tessuto prosastico.

È quanto possiamo notare, ad esempio, nella traduzione dell’Infinito:

Toujours chères me furent cette colline déserte et cette haie qui, sur un long espace, cache au regard l’extrême horizon. Mais, m’asseyant et regardant, au delà de la haie j’imagine d’interminable espaces, des silences surhumains, un profond repos où peu s’en faut que le cœur ne s’effraie. Et comme j’entends bruire le vent à travers le feuillage, je vais comparant le silence infini à cette voix: et je me souviens de l’éternité, des siècles morts, du siècle présent et vivant et du bruit qu’il fait. Ainsi dans cette immensité s’annéantit ma pensée et il m’est doux de faire naufrage dans cette mer. (p. 270)

Gli aspetti formali del tessuto poetico vengono quindi inevitabilmente meno, anche se la fedeltà alla ‘lettera’ del testo consente il rispetto di certe scelte lessicali leopardiane, come nell’uso di parole composte per veicolare l’idea di indefinito. Su questa stessa linea sono tutte le altre prove di traduzione aulardiana.

Il nome di Leopardi, grazie a questi contributi, circola quindi sempre di più in Francia, per lo meno nei centri culturali, anche attraverso altre succinte biografie e contributi saggistici. Ad esempio in un volume pubblicato a Paris che raccoglie saggi su autori di differente nazionalità del diciannovesimo secolo, Èdoard Rod dedica un capitolo a Giacomo Leopardi, sintetizzando, con rapidi tratti, il dibattito sulla ricezione in quegli anni del poeta recanatese nel contesto francese.

Il contributo non si addentra in profondità allo studio dell’autore, come era riuscito a fare Sainte-Beuve, ma merita di essere ricordato per alcune caratteristiche precipue. Intanto vi ritroviamo una delle prime occorrenze del termine «Léopardistes» usato comunque per indicare gli studiosi del poeta italiano e non, nell’accezione entrata in vigore in Italia grazie a Lonardi, autore del già ricordato

studio intitolato Leopardismo,67 per designare quegli autori nelle cui opere è forte l’influsso dell’autore dei Canti.

E soprattutto, pur insistendo molto sul peso dei condizionamenti fisici nella vita e nel pensiero leopardiano, Rod riesce a cogliere la derivazione anche letteraria del materiarsi della sua scrittura (riflesso comprensibile della temperie positivista) e si sofferma in particolare su tre influenze: quella di Dante, di Petrarca e dei neoplatonici rinascimentali. Dei tre influssi, il primo è, a ragione, considerato il meno pervasivo perché a suo dire «Leopardi n’était guère enclin au mysticisme, et une partie de Dante dut lui échapper».68

Molto importanti sono invece le derivazioni petrarchesche già evidenti negli esordi letterari leopardiani ed individuate da Aulard nel suo Essai a proposito delle Canzoni civili.

Sull’interesse, infine, di Leopardi verso i seguaci di Platone nel quindicesimo secolo, Rod si sofferma sul profondo idealismo delle loro opere ricordando il leopardiano Discorso a proposito di un’orazione greca di Gemistio Pletone.