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IV. UOMINI, LIBRI E RICERCHE

7. EPISODI TRECENTESCHI.

Il Trecento fu un secolo di grandi rivolgimenti, sia nella vita politica sia nella vita ecclesiastica. Milano vide in questi anni l’affermarsi della signoria viscontea, specialmente con i fratelli Bernabò e Galeazzo II e poi con Gian Galeazzo. Le lotte dei Visconti per il dominio sull’Italia settentrionale portò infatti a forti contrasti coi pontefici e ne venirono ripetute scomuniche e interdetti.

Il Trecento tuttavia è un secolo ricco di libri liturgici, taluni di altissimo livello per sontuosità e ricchezza delle decorazioni. I recenti studi di Marco Rossi sui codici miniati milanesi del sec. XIII- XIV mostrano la grande importanza del complesso cattedrale e affermano che si possa proprio parlare di uno «scriptorium presso le cattedrali e supporre uno stretto legame tra la produzione di libri miniati per le chiese milanesi e il clero canonicale»110.

Nel 1386 iniziò la costruzione della nuova cattedrale:

Gloria della città e del suo duca, Gian Galeazzo, la nuova e grandiosa fabbrica rappresentò in effetti per la tradizione cultuale milanese un autentico trauma. Attorno al 1394 venne demolito il battistero di S. Giovanni, edificato da Ambrogio; analogo destino sarebbe toccato all’altro battistero di S. Stefano e, tra il 1461 e il 1462, sarebbe stata rasa al suolo la chiesa “estiva” di S. Tecla. In tal modo erano gli spazi tradizionali dell’Ambrosianum mysterium ad essere cancellati. Ci si può domandare se vi sia stata allora la percezione che una pagina nuova si veniva in tal modo aprendo nella storia della vita cultuale milanese. Forse non è un caso che proprio attorno alla metà di quel secolo XV si venga collocando una serie di nuovi codici, estremamente curati e lussuosi (conservati attualmente nella Biblioteca del Capitolo metropolitano), destinati alla proclamazione delle diverse letture nell’ambito delle celebrazioni cardinalizie. Va subito sottolineato come in questi codici la fedeltà alla tradizione sul piano testuale si presenti estremamente rigorosa: oltre a un Lezionario, un Epistolario e un Evangelistario (invernale ed estivo), sono scrupolosamente copiati i libri di Genesi, Giobbe,

Tobia ed è offerta una raccolta delle pericopi quaresimali da Esodo111.

Il grande cantiere ebbe anche altre ripercussioni negative: per far spazio alla nuova e più grande cattedrale, furono sacrificate anche le abitazioni dei canonici e il palazzo arcivescovile, con ripercussioni sulla regolarità degli uffici e anche sulla conservazione dei libri dei canonici. La situazione doveva essere comunque tutt’altro che rosea, se già nel 1304 l’arcivescovo Francesco Fontana – conosciuto anche come Francesco da Parma – fece emanare nel 1304 una

Reformatio et instauratio missae ambrosianae, in modo da chiarire e riordinare i riti della messa:

110 ROSSI, Biblioteche ecclesiastiche, 222. 111 ALZATI, Ambrosianum mysterium, 188-189.

115 ciò era «segno indubbio di un notevole disordine, causa di incertezze per il clero nella corretta prassi liturgica»112.

È comprensibile che in un siffatto contesto, dove la tradizione ambrosiana era stata ridotta a un puro ordinamento di formule e di procedure rituali, le preoccupazioni per una corretta celebrazione si rivolgesse essenzialmente alle “rubricae”, onde evitare ch’esse si presentassero “oscure, incerte, indeterminate, in qualche modo imperfette e causa di perplessità”. In tale prospettiva si muove espressamente la Reformatio et instauratio missae Ambrosianae emanata nel 1304 dall’arcivescovo Francesco da Parma. È indicativo della forza della tradizione il fatto che tale testo, preparato dal cappellano Giovanni Maridata, riprendesse chiaramente il Beroldo e riproponesse a tutta la Chiesa ambrosiana il paradigma della celebrazione arcivescovile; ma è segno eloquente dei tempi nuovi il fatto che in esso si parli di “reformatio” e si faccia riferimento a un Messale ambrosiano nel quale le apologie dell’Offertorio sono quelle del Missale secundum ususm Romanae curiae (peraltro non recepite nella maggior parte dei manoscritti ambrosiani successivi). Il documento di Francesco da Parma è significativo anche per un ulteriore aspetto. Dall’età tardo antica fino al Beroldo i libri cultuali in ambito milanese erano stati concepiti come il riflesso e la fissazione scritta di una prassi viva, fondata sulla tradizione e legata al suo evolversi; nel caso di consapevoli alterazioni dell’ordinamento tradizionale, come il Messale di San Simpliciano, si era comunque di fronte all’espressione di un programma di riforma concretamente perseguito. Nella Reformatio del 1304 si evidenzia chiaramente una dinamica inversa: è sulla base del libro che si definisce la prassi, e poiché quale base di riferimento è assunto il Messale, nonostante si delinei una celebrazione arcivescovile vengono totalmente ignorati la lettura vetero o neotestamentaria e il relativo salmello, che pure di fatto nella celebrazione arcivescovile e cardinalizia erano letti, come attesta ancora nel XV secolo il Lezionario

II.E.1.10 della biblioteca del Capitolo metropolitano113.

I grandi rivolgimenti della prima metà del Trecento emergono vigorosamente nell’operetta del prete Giovanni Bello de Guerciis da Melegnano (sec. XIV), rettore della chiesa di S. Vittore in Porta Romana, il Liber celebrationis misse ambrosiane114:

Quoniam sepe excomunicationes et interdicti diu permanentes incurrunt et sic divinum offitium per sacerdotes et clericos non potest sollempniter celebrari, cur multe consuetudines ipsius traduntur oblivioni, quo circa, ad dei gloriam et honorem gaudiumque cuiuslibet clerici et sacerdotis, ipso nos adiuvante, a quo descendunt omnes gratie, illo dicente: Sine me nichil potestis facere, placuit nobis diversas cerimonias et consuetudines diversorum presbiterorum, quas agere vidimus et alias a diversis libris extraximus, prout melius agnoscere potuimus veritatem. Et maxime que circa misse celebrationem sunt peragende, universas proposuimus

in scriptis ad memoriam revocare115.

Nel corso dell’opera – che s’interrompe, per la mutilazione del manoscritto, al capitolo «De orationibus ad munus offerendum» – l’autore non si limita a una semplice descrizione rituale, ma

112 NAVONI, Francesco Fontana, 215-216. La Reformatio di Francesco da Parma è conservata nella trascrizione di Francesco Castelli nel codice Milano, Biblioteca del Capitolo metropolitano, II.D.2.24, ff. XIIIr-XIIIIv; pubblicata da MAGISTRETTI, Beroldo, 183-185.

113 ALZATI, Ambrosianum mysterium, 186-187.

114 Questi sono gli unici dati biografici noti sull’autore, ricavati dall’incipit dell’opera stessa. L’opera è databile «tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV. Sarà dunque prudenziale ritenere il Liber redatto post 1341-ante sec. XIVex, e plausibilmente attorno al terzo quarto del XIV secolo» con riferimento al lungo interdetto che colpì Milano dal 1318 al 1341 e alla datazione del codice a fine sec. XIV. MONZIO COMPAGNONI, Trattato rituale, 96-101.

115 MONZIO COMPAGNONI, Trattato rituale, 109. Scrivo «gaudiumque» come nel manoscritto, laddove l’editore ha «audiumque» sic! forse per errore di stampa.

116 interviene a spiegare i riti con un intento di natura formativa. Cesare Alzati ritiene che l’operetta del De Guerciis possa essere anche stata una «risposta nel nome della tradizione» alla Reformatio dell’arcivescovo Francesco da Parma, laddove il Liber celebrationis rammenta che Lectio e

Psalmellus, comunemente omessi, sono sempre cantati nella chiesa maggiore, nelle chiese

pievane, nei monasteri e nelle canoniche regolari116.

Di diverso tenore è invece l’Ἔκϑεσις τοῦ τῆς ἱερουργίας μυστηρίου di Manuele Caleca, esule greco che dimorò nel monastero di S. Ambrogio dal 1401 al 1403. Essa è

Il diario di una giornata: la descrizione delle cerimonie fatta dal Caleca – certamente debitrice delle rubriche di qualche messale o sacramentario e delle conoscenze di qualche sacerdote ambrosiano – è frutto di un’esperienza personale, e incornicia una fedele traduzione delle parti

proprie della messa natalizia e dell’Ordo missae ambrosianum117.

Si tratta dunque di un genere totalmente differente dai contemporanei libri ordinari o dalle

expositiones d’epoca carolingia, finalizzato forse alla divulgazione per un pubblico greco o allo

studio personale. Non mancano nel corso del testo richiami alle ragioni teologiche, ma il commento è essenzialmente descrittivo118.