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IV. UOMINI, LIBRI E RICERCHE

5. TESTIMONIANZE DI UNO SCONTRO.

Una così radicata vulgata storiografica è basata però – almeno per quanto riguarda l’ambiente milanese – sostanzialmente su di una sola fonte: il Sermo beati Thome episcopi Mediolani. Questo testo, che si configura come un discorso dell’arcivescovo Tommaso, pur avendo avuto circolazione indipendente, è parte della Historia Mediolanensis di Landolfo seniore e proprio all’opera di Landolfo si deve probabilmente la compilazione e la fusione, non sempre perfetta, di più fonti precedenti32. Il Sermo trasmette il ricordo di un evento traumatico e miracolosamente risolto:

Karuli primi tempore, cum idem apud Romam imperii magnifice et inenarrabili militum exercitu stipatus frueretur, et papa resideret Adrianus, synodus inmensa multis diversarum terrarum episcopis congregatis celebrata est, in qua cum de multis atque diversis tractassent negotiis, indiscrete erga mysterium Dei et beati doctoris et confessoris Ambrosii sese intulerunt, parum aut nichil quantae reverentiae quantique amoris beatus Gregorius olim ecclesiae Ambrosianae per affectum contulisset, reminiscentes; propterea quasi caecati et ementati, et absque ullo iudicio, quod inclytum et per multa tempora firmum atque sancitum, quodammodo decolorare et obnubilare, et plus dicam, omnino delere aggressi sunt. Edoctus itaque Karolus imperator a quampluribus episcopis, ut per totam linguam proficisceretur Latinam, et quicquid diversum in cantu et ministerio divino inveniret a Romano, totum deleret, et ad unitatem mysterii Romani uniret. Unde factum est, veniens imperator Mediolanum [...] omnes libros Ambrosiano titulo sigillatos, quos vel pretio vel dono vel vi habere potuit, alios comburens, alios trans montes quasi in exilio secum detulit. Sed religiosi viri tales et tantos libros videntes, religiose tenuerunt. At Deus qui omnia videt cunctaque cognoscit, et cordium occulta investigare et aperire praenovit animos et intentionem cunctorum praevidens, quod ad laudem et honorem nominis sui per Spiritum sanctum sancto Ambrosio episcopo dictante

ordinatum noverat, violari aut a malis dilacerari non passus est33.

In difesa del mysterium Ambrosianum intervenne però Eugenio, «transmontanus episcopus, amator et quasi pater Ambrosiani mysterii nec non et protector, pater spiritualis Karlonis»34: così

i partecipanti al concilio, che nel frattempo avevano lasciato Roma, vennero richiamati in tutta fretta e decisero di risolvere la questione con uno iudicium Dei: vennero disposti «librum Ambrosianum et beati Gregorii librum ambos super beati Petri altare optime sigillatos»35 e così,

dopo tre giorni di digiuno, di fronte a tutto il clero congregato, «libri ligaturas per se rumpentes,

31 Si vedano, per esempio, BORELLA, Rito ambrosiano, 121-122; CATTANEO, Terra di sant’Ambrogio, 149-151; NAVONI, Dai Longobardi ai Carolingi, 97.

32 Si vedano CATTANEO, Sant’Eugenio, 36-43; MILANI, Osservazioni linguistiche, 87-129; ALZATI, Eugenio, 201; TOMEA, Tradizione apostolica, 48-49. Il testo, oltre che nella tradizione di Landolfo Seniore, è stato trasmesso anche nelle raccolte di Beroldo, sia nel vetus (per il quale cfr. FORZATTI GOLIA, Raccolte di Beroldo, 312-313), sia, conseguentemente, nel novus (per il quale cfr. Ivi, 338).

33 BETHMANN WATTENBACH, Landulfi Historia Mediolanensis, II, 10.49, 19-33. In questa e nelle seguenti citazioni si segue l’edizione di Landolfo contenuta nei MGH. Il Sermo è stato edito anche indipendentemente nella più recente edizione di COLOMBO –COLOMBO, Serbo beati Thome, 90-95.

34 BETHMANN WATTENBACH, Landulfi Historia Mediolanensis, II, 11.49, 34-35 35 BETHMANN WATTENBACH, Landulfi Historia Mediolanensis, II, 12.49, 53-54.

96 sonum magnum atque terribilem audientibus universis dederunt, et sese digito Dei aperientes, ita ambo aperti sunt, ut aliquis unam illorum foliam non inveniret plus in unam partem quam in alteram»36 e così fu stabilito «ut sedes Ambrosiana in quo mysterio ordinata est et a beato

Ambrosio exaltata est, illo solo contenta permaneat»37. Così si sarebbe trovata Milano, oppressa

dalle sopraffazioni carolinge:

His omnibus rebus factis finitis et terminatis, Eugenius gaudio magno tripudians, quasi ad proprios filios tendens Mediolanum pervenit. De qua urbe paucis antea transactis diebus imperator iussu concilii quo Romae interfuit, omne mysterium ambrosianum desuper faciem terrae omnino delere desiderans, trucidatis multis clericis minorum et maiorum ordinum, omnes Ambrosianos libros, tam in sententiis novi quam veteris testamenti quam in musica arte secundum Ambrosium descriptos abrasit. Nichil enim praeter missale remansit, quod quidam bonus atque fidelis sacerdos absconsus in cavernis montium per sex ebdomadas fideliter reseravit. Manuale autem postea astante Eugenio episcopus fidelissimus, sapientes tam sacerdotum quam clericorum, qui multa memoriter tenebant, convenientes in unum, Deo

opitulante, ut antea integer fuit invenientes, in posteris tradiderunt38.

Senza voler entrare in una dettagliata analisi delle fonti del Sermo – che, già parzialmente intrapresa da Celestina Milani ed Enrico Cattaneo, richiederebbe tempi e spazi che valicherebbero i limiti di questa trattazione – non si può non notare come il testo nelle forme a noi note descriva, sul piano bibliologico, una situazione che non collima con le rare testimonianze della fine del sec. VIII, quanto piuttosto con quelle dei secc. X-XI.

Se messali di una certa consistenza – tali da, «ligaturas […] rumpentes», poter emettere «sonum magnum atque terribilem» – sono noti a Milano almeno dal secolo X, il manuale, al contrario, sembra essere una tipologia libraria seriore, forse risalente al sec. XI; e anche i libri «in musica arte» sembrerebbero impensabili a quest’altezza cronologica, sempre che non si intendesse parlare di libri di canto senza notazione musicale39. Anche il sintagma Ambrosiana ecclesia è attestato

con certezza solo a partire da una lettera di Giovanni VIII dell’88140. Ciò dunque impone massima

prudenza nell’uso della fonte.

La medesima critica storiografica ha poi paragonato queste pagine del Sermo beati Thomae ad un carme trasmesso nel codice Montecassino, Archivio della Badia, 318, pp. 244-245. Il carme cassinese racconta infatti la storia di uno iudicium dei nel quale si sarebbe discussa la liceità

36 BETHMANN WATTENBACH, Landulfi Historia Mediolanensis, II, 12.50, 8-10. 37 BETHMANN WATTENBACH, Landulfi Historia Mediolanensis, II, 12.50, 15-16. 38 BETHMANN WATTENBACH, Landulfi Historia Mediolanensis, II, 12.18.25.

39 Il manuale sembra apparire nel sec. XI, in un epoca di riordino dei riti sull’onda della cosiddetta riforma gregoriana, secondo l’ipotesi di CATTANEO, Vita comune, 267; si veda anche AMIET, Tradition manuel, 134-142. Le prime testimonianze di antifonari ambrosiani notati risalgono al sec. XII (ad esempio col codice Lon), per i quali – sebbene le datazioni non siano sempre attendibili – cfr. HUGO –AGUSTONI –CARDINE –MONETA CAGLIO, Fonti e paleografia, 39-46; è stata provata però – anche se in modo indiretto – l’esistenza di antifonari ambrosiani notati già nel sec. XI da KELLY, Notation, 79-95. Ga attesta l’esistenza nel sec. VIII (?) di un ingressario (?) ambrosiano non notato.

97 dell’uso del canto ambrosianus invece di quello romano. Proprio la similarità dell’episodio ha stimolato a lungo il parallelo, ma, ad uno sguardo più attento, anche questa fonte è scarsamente utile: è inverosimile che in questo testo si parli di canto ambrosiano in senso stretto, quanto piuttosto di un altro repertorio musicale non romano, forse dell’Italia settentrionale e le possibili datazioni proposte lo allontanano dal sec. VIII41.

Questi testi inoltre sembrano tutti parlare del medesimo feroce scontro d’epoca carolingia perché sono stati letti nell’ambito di una vulgata storiografica secondo la quale, durante il regno di Carlo Magno, ci fu un programma ufficiale di unificazione e uniformazione imposta e sistematica di tutti gli usi liturgici del regno: in quest’ottica, le fonti qui ricordate tramandano, seppur incrostato di leggenda, il ricordo di un duro scontro.

It seems that the neat textbook description of early Carolingian attempts to impose a form of liturgical unity through the use of Roman practices, cannot be accepted at face value anymore. Although there were indeed successful attempts at reform through the introduction of Roman books, this was not the case as far as the Frankish liturgy is concerned. Whether one looks at the Roman ordines, or the Hadrianum, it is obvius that immediate and very substantial modifications of these texts were carried out, and that local and indigenous traditions were abundantly preserved. This is not what one would expect to find, if the intention had been to Romanise.

Our failure to find any evidence for an official and systematic attempt to Romanise the Frankish liturgy highlights one of the major problem of our investigation – the nature of our sources and the relationship they bear to changing realities. For instance, none of the sources on the liturgical reforms of Pippin III is contemporary with the reform themselves. Could it be that these sources reflect something other than the reality they report upon? It is possible that our sources cast Pippin and Charlemagne as reformers, because at the time they were written reform and uniformity were already part and parcel of the prevailing political ideology? I

would argue that this is exactly the case42.

A fronte di queste considerazioni, queste testimonianze non riescono più a illuminare gli avvenimenti del sec. VIII come si è finora creduto: non sono forse totalmente false, ma richiedono di essere nuovamente prese in esame con maggiore prudenza ed acribia.

41 Pubblicò il carme, attribuito a Paolo Diacono, AMELLI, Paolo Diacono, 5-26 e poi, in edizione riveduta e accreciuta, in ID., Epigramma, 153-175. Ripubblicò il lavoro dell’Amelli, con alcune note, BORELLA, Carlo Magno, 56-63 e poi, maggiormente commentato e integrato con riflessioni in parallelo al testo del Sermo beati Thomae ID. Influssi, 76-78 e ID., Rito ambrosiano, 122-126. Ricollega il carme all’ambiente Aquileiese CUSCITO, Patriarca, 149-167. RUSCONI, Canto liturgico, 469-473 rivede totalmente – e in modo a mio avviso convincente – l’interpretazione del testo nel contesto dei repertori musicali dell’Italia settentrionale. Più puntualmente in ID., Ordalia, 5-21 l’autore non ritiene azzardato «ipotizzare che il poemetto trascritto nel codice cassinese sia stato, in origine, il prologo in versi a un Antifonario gregoriano destinato a un’area di liturgia in precedenza non romana, verosimilmente nord-italiana (forse il Patriarcato di Aquileia); la data di composizione oscillerebbe fra i limiti estremi degli anni 850 e 1000 (con preferenza verso il primo termine) ed è da attribuire verosimilmente ad ambiente monastico»

42 HEN, Paul the Deacon, 219-220: queste le conclusioni. Si vedano poi gli argomenti svolti ivi, 205-219 e poi ripresi in ID., Romanization, 111-123.

98 1.1 ALCUNI FATTI

Abbandonata la prospettiva di una forzata romanizzazione, si può meglio definire l’azione riformatrice carolingia come un’opera di ordinamento sistematico:

Spesso si parla, anche per l’ambito milanese, di una “riforma carolingia” programmaticamente romanizzante. In realtà quella che allora si attuò fu soprattutto un’opera di ordinamento sistematico che, tendendo alla completezza, dovette inevitabilmente procedere a integrazioni dell’esistente, e questo fece ricorrendo – secondo l’orientamento del tempo – ai modelli romano-franchi (peraltro adattati, di norma anche negli stilemi protocollari, alle consuetudini

milanesi)43.

Non sono noti però – allo stato attuale delle ricerche – libri liturgici ambrosiani databili tra la fine del sec. VIII e almeno la metà del sec. IX; troppo poco noti e frammentari sono quelli d’epoca precedente: non si può dunque osservare direttamente il fenomeno dell’ordinamento sistematico sulle fonti stesse; si può invece ricavare qualche informazione dalla comparazione delle fonti successive e – a livello storiografico – si possono osservare dei fatti che in qualche modo possano aver influito sull’ordinamento.

Innanzitutto, all’arcivescovo Tommaso succedette Pietro, «con ogni probabilità monaco di origine franca, che il monaco Alcuino (…) chiama suo padre spirituale»44. Quali che fossero le reali origini

di Pietro, questa familiarità con uno dei più importanti esponenti della corte carolingia è sicuro indizio di un indirizzo culturale. Per perseguire questa linea d’azione, il nuovo arcivescovo fondò nel 784 l’importante monastero accanto alla Basilica di S. Ambrogio per assicurarvi un’ufficiatura regolare: «quia eorum suffragati meritis ab adversis tuemur et regimur dignum est ante veneranda ipsorum corpora laus regi haetereo sedule decantetur a monacis ibidem consitutis (…) continuatim, indifferenter ac publice offitia et divinas laudes concellebrant»45. Pietro affidò il monastero

all’abate Benedetto, non necessariamente anche lui di origini franche, ma verosimilmente legato al medesimo ambiente culturale carolingio46. Consuetudine monastica era accettare il rito della

sede episcopale nella quale si trovava il monastero e così probabilmente avvenne anche nel monastero di S. Ambrogio: proprio le necessità dell’ufficiatura quotidiana potrebbero esser state tra i principali motivi che spinsero alla realizzazione di libri liturgici rinnovati; si aggiunga inoltre

43 ALZATI, Ambrosianum mysterium, 88-89.

44 CATTANEO, Terra di sant’Ambrogio, 150-151. Per una sintesi della questione cfr. anche TOMEA, Ambrogio e i suoi

fratelli, 179-180. Le lettere di Alcuino a Pietro sono edite in DÜMMLER, Alcuini Epistolae, 125-127 n° 83 e 317 n° 190; Pietro è ricordato anche Ivi, 313.1 n° 186.

45 NATALE, Museo diplomatico, n° 30.9-17. Si vedano anche AMBROSIONI, Per una storia, 175-177; CATTANEO, La

preghiera, 261.

99 che almeno parte dei monaci doveva essere d’origine transalpina, avvezza quindi ad altri usi liturgici47.

Pochi anni dopo la fondazione del monastero di S. Ambrogio, nel 787, anche Dateo, di nobile famiglia longobarda e arciprete della Cattedrale – primo arciprete di cui conosciamo il nome – fondò un brefotrofio nelle vicinanze della cattedrale «per il fatto che tale casa è adiacente alla chiesa ed egli [l’arciprete] possa senza fatica accorrere all’ufficiatura sacra»; stabilì inoltre che «nello stesso brefotrofio trovino ospitalità, in una sala riservata che ho intenzione di edificare, tutti quelli che, fra i presbiteri dell’ordine cardinale, lo vorranno e quanti fra di loro lo vorranno, per riposarvi, in modo che possano essere pronti, senza impedimento alcuno, all’ufficiatura notturna che si celebra in chiesa»: degna di nota è la menzione dell’ufficiatura notturna prova, secondo il Cattaneo, di un rinnovato ordine delle cerimonie48.

L’arcivescovo Odelperto († 813) – successore di Pietro – redasse, come risposta ai quesiti di Carlo Magno sull’amministrazione del battesimo, un Liber de baptismo in ventidue capitoli, nel quale commenta però un ordo di tipo romano-franco. Negli anni del suo episcopato può essere collocata anche la redazione base della Expositio missae canonicae, spiegazione della messa secondo il rito ambrosiano che conserva e commenta un testo del canon missae in uno stadio apparentemente anteriore a quello trasmesso dai messali ambrosiani manoscritti49.

Il vero culmine della rinascita carolingia fu però sotto l’arcivescovo Angilberto II: franco d’origine, resse la sede milanese per ben trentacinque anni e ne risollevò il prestigio che s’era andato smarrendo di fronte alle pretese pavesi. Rinvigorì la vita monastica fondando il monastero di S. Vincenzo in Prato e riformando il monastero di S. Ambrogio, per il quale si adoperò anche in un ambizioso programma architettonico: alla sua committenza sono attribuiti infatti il mosaico

47 CATTANEO, La preghiera, 262-263 considera una prova della ricezione del rito ambrosiano il fatto che sull’epigrafe del monumento sepolcrale dell’abate Benedetto fossero trascritte le antifone proprie del funerale secondo il rito ambrosiano. Proprio al canto il Cattaneo attribuisce notevole importanza: il repertorio non ancora notato andava appreso a memoria da maestri che lo conoscessero (suggerisce i decumani di S. Ambrogio o il primicerio dei lettori della Cattedrale); riprese poi le sue considerazioni in CATTANEO, Terra di sant’Ambrogio, 152. L’epitaffio di Benedetto è edito in CASSANELLI, Controbuto, 503-513. Dedicò un ampio studio agli influssi monastici sul messale ambrosiano BORELLA, Influssi carolingi, 73-115.

48 Il testo della fondazione di Dateo è conservato in copia cinquecentesca nel Quodlibet di Francesco Castelli, Milano, Biblioteca del Capitolo metropolitano, II.D.2.21, ff. 13-21. Gli excerpta qui citati sono nella traduzione di NAVONI, Dai Longobardi ai Carolingi, 119-121. Si veda anche Ivi, 99-100, CATTANEO, Vita comune, 247 e CATTANEO, Terra di sant’Ambrogio, 154-157, il quale Ivi, 156 intravede una velata polemica nella chartula dispositionis di Dateo: «In tutto il documento di Dateo non appare il nome dell’arcivescovo Pietro: il Longobardo ha fiducia dell’arcivescovo pro tempore perché successore di Ambrogio, ma evita ogni diretto riferimento a chi è Franco».

49 HEIMING, Aliturgische Fastenferien, 44-60 attribuisce all’episcopato di Odelperto anche una redazione del sacramentario ambrosiano-carolingio, con una risistemazione delle letture quaresimali e degli scrutini battesimali. CATTANEO, Terra di sant’Ambrogio, 157-158; NAVONI, Dai Longobardi ai Carolingi, 101; NAVONI, Odelperto, 375- 376; ALZATI, Ambrosianum mysterium, 88. Testo e commento dell’Expositio missae canonicae sono in BROVELLI, Expositio, 5-151.

100 absidale della basilica ambrosiana e la nuova sistemazione delle reliquie dei santi sotto lo splendido altare d’oro del Volvino, con inscritti dieci esametri di pregevole fattura50. Sono proprio

le le fonti epigrafiche a testimoniare, meglio dei libri, il livello culturale raggiunto in città nel sec. IX51. Ci sono inoltre buone testimonianze per affermare l’attività di una colonia irlandese in

Milano, gravitante probabilmente attorno ai monasteri benedettini52.

1.2 LIBRI E BIBLIOTECHE

La città di Milano, che pur si lascia intendere come fiorente – anche se con indubbi momenti di buio – centro culturale d’epoca tardoantica e altomedievale, è tuttavia estremamente avida di testimonianze materiali che aiutino a comprendere la storia dei libri e delle biblioteche dall’epoca tardoantica, fino alla seconda metà del sec. IX. Proprio il profondo buio di questi momenti – ad esempio si possono ricordare la distruzione operata dai Goti di Uraia nel 539 e l’esilio degli arcivescovi a Genova in epoca longobarda, senza dimenticare gli incendi che avrebbero distrutto il complesso cattedrale nel sec. XI – sembra esser stato la maggior causa di rovina di un passato che fu glorioso53. Non va meglio neppure per l’epoca carolingia, per la quale si intravede una

vigorosa ripresa culturale, eppure:

Per vicende che andranno ancora chiarite la prima metà del secolo IX è, per la città, quasi un vuoto di documenti paleografici: non so indicare con sicurezza che un codice, scritto per la cattedrale nel secondo quarto del secolo. Siamo dunque durante l’episcopato del franco Angilberto II (ca 824-859): potente innovatore della cultura nella sua diocesi, vi ospitò gli illustri fuggiaschi da Corbie Leutgario e Ildemaro (ca 840) e vi fece copiare un esemplare della fondamentale enciclopedia franca, il Liber glossarum (Ambr. B 36 inf.). Il codice è opera di una squadra di copisti; nella varietà di mani, prive di rigida e compatta educazione ad un preciso stile di scrittura, ma pure rispondenti ai requisiti canonici della carolina, si mostra al termine la fase di superamento della minuscola locale, in favore di una nuova tradizione scrittoria: come del resto il testo del Liber glossarum si pone a rimpiazzare i glossari che

avevano istruito la generazione precedente54.

Questo esemplare del Liber glossarum sembrerebbe dunque l’unica testimonianza superstite dell’esistenza della scuola cattedrale nell’epoca carolingia e della riforma degli studi in essa impartiti; dovrebbe inoltre essere anche il più antico codice attribuibile con buona probabilità al fondo librario della cattedrale, a noi totalmente ignoto a quest’altezza cronologica55.

50 CATTANEO, Terra di sant’Ambrogio, 170-176; TOMEA, Ambrogio e i suoi fratelli, 183-186; NAVONI, Dai

Longobardi ai Carolingi, 102-104. Sull’importanza culturale del monastero di s. Ambrogio cfr. ad esempio BORELLA,

Influssi carolingi, 107-108; FERRARI, Biblioteca del monastero, 107-111; GAVINELLI, Irlandesi, 350-360. Per le iscrizioni sull’altare di S. Ambrogio cfr. FERRARI, Iscrizioni, 145-155.

51 Per le quali cfr. PETOLETTI, Urbs nostra, 13-29 e PETOLETTI, Produzione epigrafica, 1-41. 52 Si vedano: GAVINELLI, Enciclopedia carolingia, 1-25 e EAD., Irlandesi, 350-360.

53 FERRARI, Centri di trasmissione, 307-308. 54 FERRARI, Libri liturgici, 277-278.

101 Accanto alla scuola cattedrale, di cui è difficile definire il livello in assenza di fonti, spicca in quest’epoca il cenobio santambrosiano. Sono testimoniati in quest’epoca testi di medicina – forse tracce di una scuola di impianto tardoantico – testi classici, un salterio greco-latino56. Nessuna

traccia però di libri strettamente liturgici.