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IV. UOMINI, LIBRI E RICERCHE

8. IL QUATTROCENTO E L’UMANESIMO

3.6 F RANCESCO DELLA C ROCE (1391-1479).

In quest’epoca di fermenti e tentativi di riforma, una delle figure più attive in diocesi fu senza dubbio Francesco della Croce122. Ecclesiastico erudito e ben inserito negli ambienti

120 MAJO, Bartolomeo Capra, 676-677; FERRARI, Il Quattrocento, 333-344. La notizia della messa ambrosiana al concilio di Costanza è trasmessa solo da Francesco della Croce (ne fu testimone oculare?) in un marginale del codice

Par1. Un resoconto autoptico dell’incoronazione, scritto sempre da Francesco della Croce, presente alla cerimonia in

qualità di Primicerio, è conservato da Francesco Castelli nel ms. Milano, Biblioteca del Capitolo metropolitano, II.D.2.24, denominato Rubrica reverendi Casolae. Castelli dichiara di aver trovato la notizia – doveva essere autografa di Francesco della Croce come lo sono molti altri suoi marginalia noti – «in missali vetustissimo ecclesiae Mediolanensis» PETRUCCI NARDELLI, Incoronazione, 227-236. Sulla consacrazione del Duomo, si veda, ad esempio, NAVONI, Cattedrale, 137-138.

121 Oltre al vecchio ARGELATI, Bibliotheca, 1081A-1084A, per la biografia del Pizolpasso si veda la più recentissima notizia di la più recente biografia di SOMAINI, Francesco Pizolpasso, 330-333. Per i libri del Pizolpasso: PAREDI,

Biblioteca del Pizolpasso, 3-65 e PEDRALLI, Novo grande coverto e ferrato, 305-323. Per le riforme liturgiche: CATTANEO, Tentativo di riforma, 96-98, NAVONI, Francesco Pizolpasso, 391-393

122 Nato nel 1391 da Martino, di antica famiglia milanese. Avviato alla carriera ecclesiastica, conseguì il dottorato in

decretis presso l’università di Pavia. Dopo un soggiorno presso la curia romana, dal 1430 fu contemporaneamente primicerio dei decumani e ordinario sebbene la sua famiglia non facesse parte della matricula nobilium familiarum, elenco di famiglie entro il quale venivano scelti gli ordinari stessi; fu anzi per sua iniziativa che nel 1441 il primiceriato fu assorbito nel capitolo degli ordinari come terza dignità, dopo quella di arciprete e arcidiacono. Fu più volte al Concilio di Basilea come commensalis del cardinale Branda e amico del Pizolpasso, del quale rientrò a Milano come Vicario generale nel 1435 e fu poi Vicario Generale anche dell’arcivescovo Enrico Rampini. Sul contesto storico- culturale si veda FERRARI, Il Quattrocento, 335-336. Una ampia biografia di Francesco della Croce è a cura di BELLONI, Francesco della Croce. Per i suoi libri e la sua attività di bibliotecario si veda FERRARI, Bibliotecario

118 dell’umanesimo lombardo, lesse e postillò un’enorme quantità di codici. In qualità di Primicerio e vicario generale si dedicò alla riforma del clero e dei religiosi e ad opere di carità nell’assistenza ai malati e ai carcerati. Oltre alla sempre difesa delle tradizioni ambrosiane, Francesco della Croce ebbe sempre a cuore l’istruzione del clero e pensò anche all’istituzione di una scuola per chierici, sull’esempio forse di quella istituita dal cardinale Branda Castiglioni. Il progetto però, pur essendo ben avviato anche nei contatti con la corte ducale, non giunse mai a termine123. Queste intenzioni

illuminano anche la sua attività di committente, copista e postillatore di codici.

Di sua mano compilò nel 1460 il codice Milano, Biblioteca del Capitolo metropolitano, II.D.2.25, cui Francesco Castelli diede il titolo l’Expositio literalis ymnorum sancti Ambrosii archiepiscopi

Mediolanensis. Si tratta di un innario cui aggiunse una spiegazione letterale degli inni, con un

intento eminentemente didattico e di difesa delle tradizioni ambrosiane tradizionalmente intese come risalenti ad Ambrogio stesso. Così sottoscrisse il codice:

Hos hymnos beati Ambrosii quibus sua ecclesia Mediolanensis utitur cum etiam in officio et missa alius ritus et singularis sit aliaque observantia a ceteris omnibus totius orbis christiani ecclesiis decrevi ego Franciscus de Lacruce minimus decretorum doctor primicerius et ordinarius dicte ecclesie pro litterali expositione apud rudiores minusque intelligentes clericos glosulis explanare. Non ut graves tanti doctoris sententias altaque misteria videar attigisse, sed ut dumtaxat vocabula non omnibus nota et littere sensus ad omnium cognitionem planiorem reducerem pro fraterna caritate mea in omnes pro devotione quoque mea singulari ad hunc sanctum et patrem nostrum Ambrosium cuius auctoritas meliflui sermones doctrina irrefragabilis et laudes eximie florent in ecclesia dei nedum apud latinos sed etiam apud grecos ita ut miris eum laudibus extollat Pelagius, sicut refert beatus Augustinus in fine primi libri De nuptiis et concupiscentia contra nonnullos hereticos in hec verba: «Numquid iam et s. Ambrosius nuptiarum bonitatem ac non potius istorum hereticorum quamvis tunc non apparentium vanitatem sue huiusmodi sententie veritate condemnavit quod ideo commemorandum putavi quia Pelagius sic laudat Ambrosium, ut dicat “Beatus Ambrosius episcopus in cuius precipue libris Romana elucet fides, qui scriptores inter latinos flos quidam spetiosus emicuit, cuius fidem et purissimum in scripturis sensusm ne inimicus quidem ausus est reprehendere”. Peniteat ergo eum quod sensit adversus Ambrosium». Scripsi et hec omnia

manu equidem propria anno domini M CCCC LX etatis vero mee anno LXVIIII124.

Ai medesimi intenti si può ricondurre anche il suo breviario (Milano, Biblioteca del Capitolo metropolitano, II.D.3.6): a differenza dell’innario, il codice non è autografo, se non in alcuni fogli, ma è probabilmente idiografo. Riempì il codice di osservazioni e notizie di ogni genere, e in particolare i ff. 285v-298v contengono una compilazione di testi liturgici, devozionali e di diritto canonico autografa in una scrittura di una certa eleganza e corredata di annotazioni anch’esse autografe125. Questo breviario – non diversamente da molti altri breviari ambrosiani – contiene

milanese, 175-270. Più datata la voce del Dizionario biografico degli italiani PETRUCCI, Francesco della Croce, 794- 796.

123 Cfr. FERRARI, Bibliotecario milanese, 179-181 e BELLONI, Francesco della Croce, 231-233

124 Milano, Bibl. Cap. metrop. II.D.2.25, f. 27v secondo la trascrizione di FERRARI, Bibliotecario milanese, 183-184. 125 FERRARI, Bibliotecario milanese, 196-197; CALLONI, Versus de mensibus, 516-534.

119 anche alcuni formulari di messa, completi del canone: in particolare qui si trovano il Corpus

domini e il Giovedì santo. Accanto all’orazione SP di quest’ultimo formulario, scrive le sue

considerazioni – invero non illuminanti – sul testo:

Melius staret hic oratio que est infra, folio II°, super sindonem, quia illa est completior ista:

ymmo ista est pars illius et se refert ad illam si bene consideretur et ista posset ibi legi126.

Dedicò Francesco della Croce maggiore attenzione alla messa nell’Ordo missae ambrosianae quo

utitur civitas Mediolani quando celebratur cum diacono et subdiacono, il codice Par1, codicetto

nel quale non mancano qualche infelice correzione nel testo e i marginalia per difendere le tradizioni ambrosiane illustrarne le particolarità e i privilegi127.

A giudicare dalle sue annotazioni, sembra che Francesco della Croce fosse più a suo agio tra i classici e il diritto, che tra i riti e i testi liturgici, ai quali tuttavia non smise di dedicarsi. Postillò fittamente il Beroldo nuovo (Milano, Bibl. Cap. Metrop. II.D.2.28); registrò la donazione di Bianca Maria Visconti alla Cattedrale del messale Bmv; segnalò alcune varianti nel sacramentario Nar (ff. 83r-84v)128. Si spinse anche ad emanare un ordine di custodia per due breviari, uno iemale

l’altro estivo, pregevoli per antichità e legatura rinvenuti nel monastero di s. Ambrogio di Carugate129.

Postille di Francesco della Croce si ritrovano nelle più importanti biblioteche milanesi dell’epoca, ma particolare cura ebbe il primicerio della ‘sua’ biblioteca della cattedrale – ne teneva infatti le chiavi – per la quale si spese senza risparmio anche in problemi di ordine pratico: fece allestire un locale nella sacrestia meridionale del nuovo duomo dove fece incatenare i volumi dopo averli restaurati e rilegati130. Per comprendere la consistenza di questa biblioteca, finalmente giunta a

stabilità dopo il caos seguito alla demolizione della vecchia cattedrale iemale di S. Maria, restano

126 Milano, Bibl. Cap. metrop. II.D.3.6, f. 133r.

127 Il codice Par1 è illustrato a suo luogo Questo codicetto – che trascrive interamente musicato l’ordinarium della messa – ebbe grande fortuna alla fine del sec. XIX nell’epoca del revival del gregoriano di matrice solesmense. Forse perché conservato a Parigi e quindi facilmente consultabile dai monaci francesi, divenne un riferimento cardine nei loro studi. Ne trascrisse le melodie di Gloria, Credo e Sanctus POTHIER, Les mélodies, 226-231 e la melodia del Gloria fu trascritta anche nello studio introduttivo all’edizione dell’antifonale Lon Antiphonarium ambrosianum transciption, 319. Da questa linea di trasmissione Par1/Solesmes le melodie del codice entrarono – errori compresi! – nell’Antiphonale missarum, 607-614 curato da dom Gregory Maria Sunyol.

128 Sui libri e i marginalia di Francesco della Croce, si vedano: FERRARI, Bibliotecario milanese, 193-197; PEDRALLI,

Novo, grande, coverto e ferrato, 468-469; CALLONI, Versus de mensibus, 524-535. 129 BELLONI, Francesco della Croce, 102 nota 240; 243.

130 FERRARI, Bibliotecario milanese, 193. Sui libri di Francesco della Croce e i suoi rapporti con le biblioteche milanesi si veda il fondamentale FERRARI, Bibliotecario milanese, 175-270. Poi anche PEDRALLI, Novo grande coverto e ferrato, 466-469 e passim.

120 – ancora da studiare a fondo – alcuni inventari. Ne conosco due di sec. XV, ai quali mise mano proprio Francesco della Croce: uno del 1442 e uno del 1445131.

9. LA STAMPA

Tra 1469 e 1470 l’arte della stampa si introdusse anche a Milano e si sviluppò tanto rapidamente e intensamente che la città divenne terza in Italia per importanza nella produzione d’incunaboli. Il clima culturale milanese era favorevole alla diffusione della nuova arte tipografica e alla ricezione dei suoi prodotti, ricco di potenziali committenti, finanziatori, editori. L’ambiente ecclesiastico accolse inoltre favorevolmente la novità fin da subito e proprio membri del clero cittadino si fecero editori di opere non solo sacre, ma anche profane132. Ben presto la nuova arte si rivolse anche alla

produzione di libri liturgici e proprio a Milano, per i torchi di Antonio Zarotto, fu stampata nel 1474 quella che, allo stato attuale delle ricerche, è ritenuta l’editio princeps del messale secondo l’uso della Curia romana133. L’editio princeps del messale ambrosiano venne l’anno successivo,

stampata sempre da Zarotto. Finanziatore dell’impresa fu il laico Marco Roma, ma fondamentale fu il ruolo di promotore di Daniele, forse frate agostiniano e vescovo titolare di Roso in Cilicia, ausiliare dell’arcivescovo di Milano Stefano Nardini134.

Il laico Roma investiva e rischiava denaro indubbiamente, ma la garanzia che un buon numero di copie sarebbero state senz’altro smerciate veniva dalle sottoscrizioni che il vescovo Daniele aveva raccolto, o continuava a raccogliere, visitando capitoli, prevosture, parrocchie,

monasteri femminili, oratori privati, podesterie e civiche comunità del contado milanese135.

Raccolse infatti prenotazioni per 44 messali, di cui 21 in pergamena, eppure, a sei mesi dalla stampa dei nuovi libri, i sottoscrittori non avevano ancora ritirato e pagato i messali prenotati. Fu mosso il vescovo Daniele da un intento speculativo in accordo con lo stampatore o fu la sua partenza da Milano, unita all’inerzia del clero pievano – che probabilmente aveva anche poco denaro da spendere – a far naufragare l’impresa? Dalla lettera con la quale il vicario generale Romano Barni tentò di costringere i prevosti a tener fede alle loro promesse si ricava che il vescovo Daniele agì «cognoscens vos et ecclesias ac monasteria vestra missalibus indigere» e che propose

131 MELLERA, Inventario, 113 segnala però altri inventari di sacrestia per questo secolo, i quali potrebbero contenere anche l’inventario dei libri. L’inventario del 1442 è conservato in Milano, Archivio del Capitolo metropolitano, Fondo sagrestia meridionale, Cartella III, fasc. 1; ringrazio il dott. Lorenzo Colombo che me ne ha gentilmente segnalato l’esistenza e me ne ha anche fornito una trascrizione parziale. L’inventario del 1445 è invece conservato in Milano, Biblioteca Trivulziana e Archivio Storico Civico, Sola Busca, Lualdi, cart. 7, f 18v; ed è stato pubblicato da da MAGISTRETTI, Due inventari, 347 n°235 e PEDRALLI, Novo grande coverto e ferrato, 335 n°10.

132 In generale sulla storia della stampa a Milano nel Quattrocento si veda ROGLEDI MANNI, La tipografia a Milano, 17-98; sugli editori ecclesiastici si veda: GANDA, Editori e stampatori ecclesiastici a Milano, 149-171. Sull’ambiente culturale FERRARI, Il Quattrocento, 345-346.

133 GANDA, Primordi, 133 n° 28.

134 Su Marco Roma e la sua attività di editore: GANDA, Marco Roma, 97-129. Su Daniele, vescovo di Roso cfr. GANDA,

Prima edizione, 97-98.

121 di far ricorso alla stampa «pro minori impensa», rispetto alla più onerosa copia di messali manoscritti136. Non dovettero mancare dunque intenti riformatori sul piano disciplinare e liturgico:

«l’edizione tipografica del messale, rivista e corretta, era un mezzo potente e veloce per stimolare, correggere e uniformare la celebrazione della messa secondo il rito ambrosiano»137. Altre due

ipotesi del Ganda, lette alla luce della storia tradizione manoscritta, possono essere maggiormente illuminanti: egli nota come il vescovo Daniele visitò specialmente le pievi più periferiche della diocesi, non inserite nelle reti di commercio librario, e constatò in esse la carenza di libri. Tra queste, la pieve di Travaglia comandò un messale a stampa in pergamena138. Possediamo

attualmente diversi monumenti liturgici di questa pieve e in particolare il manuale R ed il messale D hanno nei loro fogli di guardia numerose note obituarie databili ai secoli XIV-XV. Una ulteriore ipotesi può dunque integrare quelle di Ganda: non si tratta forse solo di scarsità di libri liturgici, ma anche della loro vetustà; il vescovo visitatore Daniele, specialmente se davvero era religioso, doveva poi essere avvezzo alla più moderna tipologia libraria del messale plenario, tanto poco diffusa nella diocesi milanese, dove ancora imperava la più conservativa tipologia del sacramentario-lezionario.

Stampatore Curatore Bibliografia

1475 Antonio Zarotto WEALE –BOHATTA, Catalogus, 5 n° 26

IGI, 6542

ROGLEDI MANNI, Tipografia a Milano, 168 n°

660

GANDA, Primordi, 136 n° 38

AMIET, Missels et bréviaires, 4 n° 26

BONOMELLI, Valori stilistici, 102

1482 Christoph Valdarfer WEALE –BOHATTA, Catalogus, 5 n° 27

IGI 6543

ROGLEDI MANNI, Tipografia a Milano, 168 n°

661

AMIET, Missels et bréviaires, 4 n° 27

BONOMELLI, Valori stilistici, 103-106

1486 Leonhard Pachel Ulrich Scinzenzeler

WEALE –BOHATTA, Catalogus, 5-6 n° 28 IGI 6544

ROGLEDI MANNI, Tipografia a Milano, 168 n° 663

AMIET, Missels et bréviaires, 4 n° 28

136 Milano, Archivio di stato, Notaio Ciocca Gian Pietro q. Andrea, filza 1330, ed.: GANDA, Prima edizione, 109-111 di cui il regesto: «Romano Barni, vicario generale della diocesi di Milano, scrive a coloro che, in occasione della visita pastorale compiuta dal vescovo ausiliare Daniele, titolare di Roso in Cilicia, avevano prenotato copie di messali a stampa, dato che le loro chiese ne risultavano sprovviste. Il vicario generale rimprovera con questa lettera i sottoscrittori per il loro comportamento: infatti, nonostante che la stampa del libro liturgico sia stata ultimata da parecchi mesi e nonostante un primo sollecito, i messali prenotati sono ancora presso il tipografo Antonio Zarotto e l’importo, a suo tempo convenuto con il vescovo Daniele, non è stato ancora versato. Per non danneggiare lo stampatore e per attuare le riforme promosse dal visitatore, viene ordinato agli acquirenti di ritirare i messali entro quindici giorni, per non incorrere in sanzioni canoniche e pecuniarie».

137 GANDA, Prima edizione, 103.

122

BONOMELLI, Valori stilistici, 106

1486 Non pervenuta139 WEALE BOHATTA, Catalogus, 6 n° 29

ROGLEDI MANNI, Tipografia a Milano, 168 n° 662

1488 Antonio Zarotto Andrea de Bosiis WEALE –BOHATTA, Catalogus, 6 n° 30

IGI, 6545

ROGLEDI MANNI, Tipografia a Milano, 168 n°

664

GANDA, Primordi, 171 n 145

AMIET, Missels et bréviaires, 4 n° 30

BONOMELLI, Valori stilistici, 106-107

1490 (Antonio Zarotto)

Non pervenuta140 WROGLEDI EALE –BMOHATTAANNI, Tipografia a Milano, 168 n° , Catalogus, 6 n° 31

668

1494 Giovanni Antonio

d’Onate

WEALE –BOHATTA, Catalogus, 6 n° 32 IGI, 6546

ROGLEDI MANNI, Tipografia a Milano, 168 n° 666

AMIET, Missels et bréviaires, 4 n° 32

BONOMELLI, Valori stilistici, 108.

1499 Leonhard Pachel Niccolò Gorgonzola WEALE –BOHATTA, Catalogus, 6-7 n° 33

IGI, 6547

ROGLEDI MANNI, Tipografia a Milano, 168 n°

667

GANDA, Niccolò Gorgonzola, 155, 2

AMIET, Missels et bréviaires, 4-5 n° 33

BONOMELLI, Valori stilistici, 109

Tabella 1. Prospetto delle edizioni del messale ambrosiano in incunabolo.

La produzione di un libro liturgico complesso come il messale dovette costituire una sfida per gli stampatori, che si attennero molto fedelmente ai modelli manoscritti:

Fin da subito va precisato che, in ragione del suo uso rituale, destinato alla lettura discontinua del solo celebrante, il messale assume una forma tipografica del tutto autonoma: strumento di comunicazione che nella sua unitarietà usa la parola, la musica e l’immagine. In effetti, a prescindere da indicazioni bibliologiche intrinseche alla produzione di ognuno di questi tipografi, queste edizioni presentano elementi comuni sui quali vale la pena soffermarsi. Il formato è in folio, a eccezione della stampa del 1494, che è in 4°. Le dimensioni di oltre 30 centimetri richiedevano l’uso di un leggio sul quale veniva appoggiato il volume. La mise en page è su due colonne, e sono impiegati i caratteri gotici. I moduli di scrittura sono due, uno maggiore per i testi che dovevano essere letti o proclamati – il formulario eucologico e l’Ordo missae – l’altro, minore, per i testi da cantare. Si associa l’impiego di due colori di stampa: in inchiostro nero sono stampati i testi e i neumi, mentre l’inchiostro rosso è usato per i titoli delle feste, delle prefazioni, di rubriche e letture, e i tetragrammi. Le note musicali, che secondo la tradizione neumatica ambrosiana si caratterizzano per la forma romboidale, sono stampate o sul rigo musicale o nello spazio interlineare al di sotto dei canti veri e propri. (…) Infine è l’illustrazione che, come è stato detto, continua la tradizione iconografica del messale manoscritto, dove particolare importanza viene data alle due pagine affrontate del Canone, che

139 «Edizione non pervenuta (…) Gli esemplari di questo messale che sarebbero conservati alla Vaticana e all’Angelica di Roma (…) risultano inesistenti. Queste biblioteche possiedono solo esemplari del missale ambrosianum del 1488» GANDA, Primordi, 169 n 138; coerentemente con quest’indicazione AMIET, Missels et bréviaires, 4 omette quest’edizione nel catalogo.

140 «Non pervenuta (…) Manca la collazione e non si ha notizia di esemplari» GANDA, Primordi, 177 n 164. AMIET,

123

mostrano l’una, a sinistra, la tradizionale immagine della Crocifissione, e l’altra, a destra, la

prima parte della preghiera eucaristica141.

Prima che la nuova arte si fosse totalmente imposta, libri manoscritti e a stampa convissero per diversi decenni: l’imposizione totale della stampa avvenne forse solo con le edizioni postridentine poiché esse avevano carattere d’ufficialità, a differenza delle edizioni precedenti che invece si affidavano alla buona fama del curatore142. La convivenza di manoscritti e libri a stampa generò

influenze reciproche, fino al caso limite di Arcc, forse il più noto messale ambrosiano manoscritto a motivo della sua sontuosa decorazione, interamente copiato da un incunabolo: il messale ambrosiano stampato nel da Zarotto nel 1488143.

Tra i curatori – di pochi è noto il nome e Pietro Casola nell’epistola dedicatoria alla sua edizione del breviario ambrosiano del 1490 lamenta che molti di questi anonimi non furono nemmeno chierici – si ricordano Andrea Bossi, prevosto di S. Tecla, il quale curò un’edizione del messale ambrosiano (1488) per la prima volta provvista di un corpus di rubriche; l’ordinario e prevosto di Bruzzano Gentilino del Maino, che curò l’edizione del breviario ambrosiano del 1487; il prete Niccolò Gorgonzola, attivissimo editore, che pubblicò messali ambrosiani nel 1499, post 1504 e 1515 oltre a molti altri libri liturgici, di scuola e di classici144.

141 BONOMELLI, Valori stilistici, 101-102.

142 Ciò per quanto riguarda i messali. Come attesta BAROFFIO, Iter ambrosianum, passim, il libro liturgico manoscritto sopravvisse con buona diffusione fino almeno al secolo XVIII, specialmente per i libri di canto. L’uso della cattedrale produsse libri manoscritti addirittura fino al secolo XX.

143 AMIET, 29. Come attesta BAROFFIO, Iter ambrosianum, passim, il libro liturgico manoscritto sopravvisse con buona diffusione fino almeno al secolo XVIII, specialmente per quanto riguarda i libri di canto. Non mancano rari esempi anche più recenti – anche del sec. XX – specialmente nell’uso della cattedrale.

144 Su Andrea Bossi cfr. PERUZZO, Pietro Casola editore, 192-193. Su Gentilino del Maino cfr. NAVONI, Zentilino del

Maino, 307-308. Su Niccolò Gorgonzola si veda GANDA, Niccolò Gorgonzola. Nel corso della sua carriera di libraio, Niccolò Gorgonzola si rivolse ad una quindicina di tipografi e anche a vari umanisti per l’edizione delle opere letterarie e di scuola; dovette invece dedicarsi in prima persona all’edizione dei libri liturgici: nel 1502 si impegnò con a correggere le bozze del Breviarium Ambrosianum che sarebbero uscite dai torchi di Andrea Pelizzoni. Cfr. GANDA,

Niccolò Gorgonzola, 83-84. Preoccupazione per la correttezza del testo si può ricavare dal colophon del missale ambrosianum del 1499 (WEALE-BOHATTA 33; IGI IV,6547; ISTC im644600; GW M24198):

Hoc castigatas, correcto codice, Missas Ambrosii cernas, quo reparata fides.

Hinc mores legesque pios, hinc scandere celum Condiscat populus religione sacer.

Nicoleos minimo constabunt, credite, dixit Presbyteri ut spargat talia per populos. Thesauros igitur cupiens haurire salutis perpetue: hoc dignum sepe retractet opus.

124 3.7 PIETRO CASOLA (CIRCA 1427-1507)

La maggiore notorietà di Pietro Casola deriva senza dubbio dal diario del suo viaggio in Terrasanta avvenuto nell’anno 1494145. Dietro a quest’opera di maggiore fama si cela però «uno dei migliori

liturgisti del sec. XVI, la cui attività fu nota e studiata già dai dotti del Seicento»146.

La fama del canonico è legata ad un impegno nel campo editoriale unico nel suo genere,