• Non ci sono risultati.

1.2 “L’altra metà del cielo”: le donne cinesi sotto la Cina comunista

1.2.1 L’eroina lavoratrice di Mao

Il partito comunista si mostrò fin dagli albori (1921), molto vicino alla causa femminile. Ancora prima dell’instaurazione della Repubblica Popolare, Mao aveva fatto approvare una nuova legge sul matrimonio che tutelava particolarmente i diritti delle donne. La concezione della donna di Mao è di fondamentale importanza nel descrivere le politiche che il Partito comunista inserì nelle sua agenda, soprattutto per quanto riguarda le campagne in favore dell’emancipazione femminile. Il fallimento del Movimento del 4 maggio aveva spinto le donne ad avvicinarsi ad altri modelli, in particolare quelli proposti dal marxismo e dalle idee della Rivoluzione russa.

30

Mao, dal canto suo, era stato influenzato fortemente dalle istanze proposte dai rivoluzionari, tra i quali il cognato, pensatore e filosofo, che considerava la famiglia tradizionale cinese come uno dei più grandi fardelli di cui la Cina avrebbe dovuto disfarsi, per costituire una nazione moderna. Lo aveva inoltre colpito la grande partecipazione femminile nei movimenti studenteschi nella sua provincia natale, lo Hunan(湖南)11, richiamando la sua attenzione sul potenziale rivoluzionario femminile nel perpetuare la lotta di classe. Oltre a ciò non bisogna dimenticare che le donne costituivano una grande fetta della forza lavoro, soprattutto nelle industrie tessili. Mao capì quindi che una delle chiavi per il successo sarebbe stata incanalare la forza femminile nel progetto socialista, poiché escluderla avrebbe costituito un rischio destabilizzante. In questo modo i movimenti femministi dell’epoca trovarono posto nel neonato Partito comunista, che fece delle loro richieste le proprie, integrandole nel quadro più ampio della lotta per la creazione di uno Stato socialista. La lotta per l’emancipazione femminile fu così usata in molte occasioni dal Partito come un’arma nelle proprie mani.

Dopo la guerra contro il Giappone, nel pieno della guerra civile tra il Partito nazionalista e il Partito comunista, il PCC incoraggiò le donne a prendere parte attiva nella lotta rivoluzionaria, attraverso le loro testimonianze riguardo la loro condizione di sfruttamento e sottomissione all’interno della famiglia tradizionale (Walstedt, 1978). L’emancipazione femminile era realizzabile attraverso la lotta contro i retaggi del passato, rappresentati in questo caso dalla famiglia tradizionale confuciana. Il partito aveva a cuore la partecipazione attiva delle donne al di fuori della famiglia e portava avanti la convinzione che il lavoro sociale potesse liberarle. L’emancipazione, tuttavia, non era vista in senso ampio; la donna anche al di fuori delle pareti domestiche continuava ad essere relegata a lavori tradizionalmente femminili ed era comunque sempre il pilastro portante della famiglia. Il lavoro doveva essere quindi compatibile con le attività domestiche (Dadò, 1978).

Un aspetto di primaria importanza è che, nella prospettiva rivoluzionaria del Pcc la lotta di classe primeggiava sulla lotta di genere, spesso quindi, questo tipo di discorsi venivano accantonati per spingere sulla rivoluzione proletaria. Il Partito comunista, sotto la guida di Mao, riteneva, quindi, che la liberazione della donna si sarebbe dovuta realizzare attraverso alcuni punti chiave: il lavoro, l’educazione e l’affrancamento dalla famiglia di stampo tradizionale patriarcale. Inoltre si prefiggeva l’obbiettivo di sconfiggere la concezione tradizionalista della suddivisione dei ruoli, femminile e maschile, derivante dall’apparato culturale classico. La donna e l’uomo vennero equiparati sotto tutti i punti di vista, ecco perché in quest’epoca la donna venne in qualche modo privata della sua femminilità.

31

Alle donne si richiedeva di vestirsi in modo da non evidenziare le proprie caratteristiche fisiche o di portare tagli di capelli corti, proprio per sottolineare anche nella forma, la loro indistinguibilità rispetto ai loro compagni maschi. La nuova identità proposta era quella di uomini e donne ugualmente pari, parte di una nuova forza rivoluzionaria proletaria (Hinton-Harper, 2009). Le contraddizioni all’interno di questi nuovi modelli erano tuttavia evidenti, in quanto le donne rimanevano pur sempre madri e mogli e come tali dovevano continuare a perpetuare attivamente il loro ruolo all’interno della sfera privata, mantenendo un atteggiamento de-femminilizzato per quanto riguardava la sfera pubblica lavorativa (Hinton-Harper, 2009).

Gli sforzi di Mao, almeno in principio, furono comunque promettenti. Conscio dell’importanza del ruolo della donna anche all’interno del Partito, nel 1949, appena instaurata la Repubblica popolare, il suo governo promosse l’istituzione dell’All China Democratic Women’s Federation (中华全国妇女 联 合 会) nell’intento di convogliare in un canale ufficiale le rivendicazioni delle donne. Quest’associazione che contribuì a promuovere l’abolizione della prostituzione e del concubinaggio, in realtà, successivamente permise al governo comunista di influenzare i gruppi femminili per farli aderire alle linee ufficiali del Partito. Innegabili furono i progressi mossi in campo politico, considerando anche il fatto che prima della caduta dell’impero, il ruolo politico della donna era nullo anzi, una massima confuciana recitava: “lo Stato non deve permettere che la donna si mischi negli affari politici” (Hooper, 1975).

Oltre alle varie associazioni femminili, vennero lanciate varie campagne a favore del coinvolgimento della donna nelle attività promosse dal Pcc, reclutandole all’interno dei quadri del partito. Negli anni ’60, durante la Rivoluzione Culturale molte entrarono a far parte delle Guardie Rosse. Tuttavia, la partecipazione politica era ristretta ai livelli più bassi del partito, mentre a livello nazionale le presenze femminili costituivano delle eccezioni, rispetto la presenza maschile. Pertanto, l’influenza che le donne potevano esercitare era pressoché inesistente. Un significativo segnale che denota l’interesse verso la questione femminile fu, la legge sul matrimonio del 1950, che riprese il modello già sperimentato nelle basi comuniste della Cina del sud di epoca pre-Rpc. Questa legge mirò a sgretolare il tradizionale sistema della famiglia feudale a struttura clanica e propose il modello della famiglia monogamica. Con questa nuova norma si cercò di porre fine alla pratica dei matrimoni combinati, la poligamia, il concubinato, la compra-vendita delle donne e l’infanticidio.

32

L’uomo e la donna erano visti come pari all’interno del matrimonio e il diritto di divorzio era equiparato ai due sessi. L’applicazione di questa legge fu davvero burrascosa e portò a fenomeni di violenza e caos12.

Lo scontro avvenne soprattutto a livello generazionale in quanto i genitori si videro sottrarre una fetta della loro autorità che gli aveva permesso, sino a quel momento, di organizzare i matrimoni della loro prole. Il carattere rivoluzionario della legge non teneva infatti conto che, per cancellare la mentalità confuciana ancora fortemente radicata, sarebbe stata necessaria una lotta ideologica lunga e capillare (Dadò, 1978). Ciò nonostante, Mao continuava ad opporsi con forza ai modelli di famiglia tradizionale confuciana, in quanto mirava a creare un nuovo modello di famiglia proletaria, nella quale non ci sarebbe stato posto per individualismi, ma solo per la fedeltà alla causa socialista (Hooper, 1975).

Il ruolo della donna all’interno di questa nuova struttura non avrebbe più dovuto essere passivo e limitato alle mura domestiche, ma avrebbe dovuto realizzarsi al di fuori di esse, attraverso il lavoro in fabbrica. Durante le molteplici campagne contro la famiglia tradizionale, si cercò di ribadire il ruolo della donna come membro produttivo della società e perciò il matrimonio in tarda età venne fortemente incoraggiato come il mezzo, attraverso il quale, le donne avrebbero potuto dedicarsi all’educazione e il lavoro, prima di divenire madri. Anche in questi casi l’opposizione creata da queste nuove disposizioni, fu tutt’altro che facile da contrastare. Ironicamente i più grandi refrattari erano proprio le donne, o meglio, le madri che temevano che le figlie non più giovanissime, non avrebbero più potuto trovare un compagno. La consapevolezza della donna del suo nuovo ruolo non sarebbe mai stata raggiunta senza un’adeguata educazione, al di fuori dello schema familiare. Ecco perché il Partito diede grande risalto all’educazione femminile e furono promosse numerose campagne pro- alfabetizzazione, soprattutto nelle aree urbane, ma anche nelle aree rurali.

Queste campagne ebbero sicuramente un risultato positivo in quanto, presero in considerazione il valore dell’educazione universale per uomini e donne, tuttavia in molti casi, non riuscirono ad abbattere il muro, rappresentato dalla persistenza della propensione di privilegiare i figli maschi. Basti pensare che nel 1971, dopo trent’anni di politiche comuniste, una delle più famose università cinesi, l’Università di Pechino, contava solo il 30% di iscritte femmine (Hooper, 1975).

12 Così tante donne “corsero” in tribunale per ottenere il divorzio tanto che questa legge divenne nota come

“legge del divorzio”. Si stima che in quegli anni di introduzione della legge vennero uccise e commisero suicidio tra le 70 000/80 000 donne (Walstedt ,1978).

33

La politica del Partito comunista sul frangente femminile fu altalenante, in quanto alternò campagne innovative e pro-uguaglianza sessuale, a periodi in cui l’emancipazione femminile fu notevolmente ridimensionata, per non dire dimenticata. Nei primi anni di pianificazione economica venne esaltato il ruolo della donna nella forza-lavoro; tuttavia se il mercato del lavoro era saturo esse erano gentilmente invitate a tornare ad occuparsi della casa e dell’educazione dei figli, i quali in ogni caso, rimanevano i compiti primari della donna13.

Fu nei momenti di maggiore radicalismo ideologico che l’emancipazione femminile ridivenne obbiettivo primario del Pcc. Durante il Grande Balzo Avanti (1958-1960) vennero lanciate innumerevoli campagne per promuovere l’uguaglianza uomo-donna, che spinsero le donne cinesi sempre più nel mondo del lavoro. Mao, in un periodo di radicalismo ideologico, esaltò l’emancipazione femminile con motti come: “tutto ciò che un uomo può fare, può essere fatto anche dalla donna”, e dal più celebre: “le donne sorreggono metà del cielo”, funu neng ding ban bian tian, (妇女能顶半边天).

Furono istituiti asili, mense e lavanderie collettive in modo che le donne fossero facilitate nel loro nuovo ruolo lavorativo in fabbrica o nei campi. Nonostante le donne potessero lavorare, la loro eguaglianza con l’uomo rimase de facto soltanto all’interno degli slogan e dei motti comunisti; nella maggioranza dei casi, infatti, le donne erano relegate a lavori poco qualificati e quindi sottopagati. La Rivoluzione Culturale (1966-1972) fu un momento storico estremamente traumatico per la Cina, caratterizzato da un esasperato fanatismo ideologico. Le istituzioni vennero smantellate e il paese precipitò in uno stato di completo caos. Durante questo periodo anche il dibattito sulla questione femminile venne portato agli estremi: le donne erano equiparate in tutto e per tutto agli uomini, dovevano combattere e lavorare fianco a fianco per la causa comunista. È l’epoca di una donna privata della sua femminilità, contraddistinta da un’androginia socialista(Hershatter, 2007).

Nonostante il radicalismo di queste posizioni, la discriminazione verso le donne sopravvisse anche

durante la Rivoluzione Culturale e rimase una costante anche nell’era delle riforme post-maoista. Lo stesso Mao si è impegnato in prima linea per la causa femminile, tuttavia egli, come gli altri leader politici, ha subordinato la causa a priorità economiche e politiche. Nondimeno il Pcc era, ed è tutt’ora, formato da un élite dirigente completamente maschile e quindi il dialogo con le organizzazioni femminili era costantemente plasmato sulla base della linea di pensiero del Partito.

13 Le donne erano invitate a occuparsi della casa con dedizione e industriosità; il loro dovere era di costituire

34

Questo pensiero concedeva, seppur in linea teorica, l’opportunità di colmare il divario tra i due sessi, pur ribadendo, la ferma convinzione insita nella società cinese dell’inferiorità femminile rispetto al maschio (Leader, 1973). Questa inferiorità risiedeva nel forte attaccamento del popolo cinese alle proprie tradizioni.

Oltre all’eredità della cultura tradizionale, alcuni studiosi hanno riscontrato dei parallelismi tra la nozione cosmologica dualistica dello Yin-Yang taoista e l’interpretazione di Mao della dialettica marxista (Hong, 1976). Inoltre il pensiero taoista influì sullo sviluppo di pratiche quali, tra le più rilevanti, la medicina tradizionale e il Tai Ji Quan (太极拳), tutt’oggi largamente praticate. Il culto degli antenati patrilineari inoltre, non fu mai messo in discussione dai comunisti cinesi e continuò ad essere largamente perpetuato, soprattutto nelle zone rurali. Queste considerazioni, dimostrano come nemmeno un regime estremo come quello maoista, non sia stato in grado di sradicare i retaggi della cultura tradizionale cinese, e con essa, i preconcetti che fondano le basi di alcune discriminazioni sessuali tra uomo e donna.

1.2.2 I vantaggi e gli svantaggi del sistema di Welfare comunista nel processo di