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Esclusione dall’imposta per difetto di territorialità e non imponibilità a confronto

3. Il rapporto tra territorialità e meccanismo applicativo d’imposta

3.2. Le operazioni verso la Comunità ed i Paesi terzi

3.2.2. Esclusione dall’imposta per difetto di territorialità e non imponibilità a confronto

Muoviamo dalla constatazione per la quale la presunzione di extraterritorialità per le cessioni all’esportazione, le cessioni intra-UE ed i servizi internazionali è il mezzo per garantirne l’esclusione da tassazione: si tratta infatti di operazioni che in forza dei criteri di cui all’art. 7 sarebbero imponibili nel territorio dello Stato (sicuramente lo sarebbero infatti i beni esistenti in Italia ed in partenza del pari delle prestazioni di servizi rese da un prestatore ivi stabilito nelle previsioni antecedenti alle modifiche del D.Lgs. n. 18/2010).

La ragione della scelta dell’esonero da imposizione corrisponde per i beni ceduti extra-CE e per i servizi internazionali alla rinuncia ad assoggettare ad imposizione beni il cui consumo avviene all’estero130. Per le cessioni di beni intracomunitarie è invece il meccanismo del regime transitorio a richiedere l’esenzione da imposta. Quest’ultima accompagnata dall’imponibilità a destino della cessione (nella forma dell’acquisto intracomunitario quale autonomo fatto generatore dell’imposta) garantisce infatti non solo la tassazione nel luogo del consumo ma anche la neutralità dell’imposta per gli operatori economici.

Ebbene queste operazioni, pur extraterritoriali, non seguono il regime dell’esclusione; sono piuttosto operazioni non imponibili, secondo la definizione di cui all’art. 21, c. 6 del D.P.R. n.

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Come rileva MONTONE G., L’IVA nei rapporti internazionali, in SACCHETTO C. – ALEMANNO L. (a cura di), Materiali di diritto tributario internazionale, Milano, 2002, 406.

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In questo senso chiaramente CECAMORE L., L’IVA nei rapporti internazionali, cit., il quale nega che le disposizione relative alle esportazioni e più in generale ai traffici internazionali costituiscano una agevolazione/beneficio per le imprese interessate, risultando piuttosto una misura volta ad attuare il principio assunto come base del mercato comune europeo.

633/1972131. Comporta detta qualificazione che pur non essendo assoggettate ad imposta nel territorio statale, dette operazioni:

- sono comunque soggette all’obbligo di fatturazione, registrazione e dichiarazione (art. 21) a differenza delle operazioni escluse;

- danno diritto all’esercizio del diritto alla detrazione (art. 19);

- consentono l’effettuazione di acquisti agevolati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei limiti del cd. plafond (art. 8).

Vale indagare se ci sia un fondamento all’utilizzo delle distinte categorie della “esclusione

per difetto di territorialità” e della “non imponibilità”.

Sicuramente lo stesso non si giustifica dal punto di vista del diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti da parte dell’operatore economico che ponga in essere l’una tipologia piuttosto che l’altra di operazioni. Anche le operazioni escluse, infatti, garantiscono la detrazione laddove le stesse, se effettuate nel territorio nazionale, vi avrebbero dato diritto.

Occorre invece soffermarsi sulla possibilità che una diversità tra le due categorie possa rintracciarsi sotto il profilo degli obblighi formali connessi alla realizzazione delle operazioni in questione, in altri termini sulla possibile esistenza di una ragione per le quali le operazioni escluse non devono essere fatturate mentre quelle non imponibili devono esserlo con gli adempimenti ulteriori che ne conseguono.

Imprescindibile punto di riferimento è la normativa comunitaria, secondo la quale la fatturazione delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è richiesta sola laddove cessionario/committente sia un soggetto passivo d’imposta ovvero una persona giuridica che non sia soggetto passivo (art. 22, par 3 della VI direttiva ed oggi art. 220 della direttiva n. 2006/112/CE). In virtù della medesima disposizione l’obbligo di emettere la fattura sussiste anche per le cessioni intracomunitarie, in ragione di quanto sopra esposto ed in particolare del principio per cui «nel caso delle operazioni intracomunitarie si verificano […] due fatti

generatori, uno in capo al cedente (operazione non imponibile) e uno in capo all’acquirente soggetto passivo (di norma, operazione imponibile)»132 che richiedono da un lato che venga documentata la cessione esonerata (anche e soprattutto legata a ragioni di controllo da parte delle Amministrazioni finanziarie nazionali cui è altresì connesso l’obbligo di presentazione di

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Rammentiamo che l’art. 21, c. 6 è stato oggetto di modifica con il D.Lgs. n. 18/2010. L’intera disposizione è stata successivamente riscritta ad opera della L. n. 228/2012, con decorrenza delle modifiche dall’1 gennaio 2013. Rimane fermo tuttavia, anche dopo l’intervento, il richiamo alle operazioni “non imponibili” con riferimento a quelle di cui agli artt. 8, 8-bis, 9 e 38-quater, che si rintraccia al c. 6 citato. Approfondiremo oltre le novità del recente intervento normativo in punto di fatturazione.

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In questi termini SALVINI L., Il «reverse charge» nelle prestazioni di servizi transnazionali, in Corr. trib., 2010, 936.

elenchi riepilogativi delle operazioni intra-UE effettuate), dall’altro l’integrazione della fattura medesima.

Ciò significa che è da escludersi l’obbligo incondizionato di fatturazione delle altre operazioni esonerate dall’imposizione per difetto del requisito territoriale, tanto dunque delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che non possano considerarsi effettuate nel territorio dello Stato, quanto delle cessioni all’esportazione e dei servizi internazionali e connessi.

Ne risulta una sistema di fatturazioni che è obbligatorio per le sole operazioni rese ad operatori economici comunitari o stabiliti nel territorio della Comunità e comunque non per le cessioni a consumatori finali, a motivo evidentemente dell’insussistenza per tali soggetti del diritto alla detrazione di cui il possesso di una fattura (di acquisto) costituisce il presupposto.

E tuttavia il legislatore comunitario ammette che i sistemi nazionali apportino adattamenti a tale principio base che informa il profilo della fatturazione. Delle facoltà previste dalla direttiva il legislatore nazionale si è avvalso, con le conseguenze che ne derivano e che qui ci interessano quanto alla diversità di obblighi formali connessi da un lato alle operazioni escluse ex art. 7 dall’altro a quello delle operazioni non imponibili ex artt. 8, 8-bis e 9.

Ha infatti introdotto un obbligo di fatturazione generalizzato, indipendentemente dallo

status giuridico del cessionario/committente, in applicazione della previsione di cui art. 22, par.

3 della VI direttiva che consente agli Stati membri di imporre ai soggetti passivi l’obbligo di emettere una fattura per le cessioni di beni o le prestazioni di servizi diverse da quelle per le quali ciò risulti obbligatorio in conformità alla direttiva in quanto “effettuate sul loro territorio”; in virtù della medesima previsione ha esteso la fatturazione non alle operazioni escluse in applicazione dei criteri di collegamento territoriale di cui all’art. 7 (che non sono effettuate nel territorio dello Stato) ma a quelle che in assenza della previsione espressa di esonero sarebbero da considerarsi effettuate nel territorio dello Stato: le operazioni non imponibili di cui agli artt. 8, 8-bis e 9.

In questi termini la disciplina nazionale appare conforme al diritto comunitario, essendo espressione di una scelta dallo stesso facoltizzata, potendosene al più discutere dell’opportunità. Ma le precisioni fin qui rese ci consentono di affermare che anche sussistendo obblighi formali diversi a seconda che l’operazione sia esclusa per difetto del requisito territoriale ovvero non imponibile, ciò non significa che le due tipologie di operazioni siano ontologicamente distinte.

Che esclusione e non imponibilità rispondano alla medesima logica pare anche dimostrato dalla riconduzione di dette operazioni, da parte del legislatore comunitario, nell’unica categoria di quelle esonerate dall’imposizione.

Sembra allora che sia la disciplina di recepimento del legislatore nazionale ad aver ingenerato confusioni in ordine alla pretesa diversa rilevanza delle due categorie che nelle direttive ricevono pari trattamento133, come già osservato, anche sotto il profilo dell’esercizio del diritto alla detrazione, al quale tuttavia la normativa interna (seppur con ritardo e salve interpretazioni della prassi non comunitariamente orientate134) ha mostrato – come sopra rilevato – di adeguarsi.

L’incoerenza apparirebbe dunque risolversi in termini meramente lessicali135 se non fosse che proprio con riguardo all’esercizio del diritto alla detrazione le operazioni non imponibili sembrano garantire maggiormente l’operatore economico, in particolare attraverso il meccanismo del cd. plafond nel quale non rientrano le operazioni escluse.

Quest’ultimo, come sopra accennato, è lo strumento attraverso cui il legislatore mira a ridurre l’esposizione creditoria verso l’erario che è tipica degli esportatori; consente infatti di acquistare (o importare) beni e servizi in sospensione d’imposta a soggetti che per l’attività svolta, esonerata dall’imposizione, risultino fisiologicamente a credito per l’IVA assolta sugli acquisti (limite soggettivo)136, nei limiti delle esportazioni (e non solo) registrate in contabilità (limite oggettivo). È l’ammontare delle operazioni attive esonerate a costituire il plafond, formato in particolare dall’insieme delle: cessioni all’esportazione ed assimilate, prestazioni di servizi internazionali e connessi agli scambi internazionali, operazioni attive verso la Città del Vaticano e la Repubblica di San Marino, operazioni nei confronti di organismi internazionali; cessioni di beni e prestazioni di servizi intracomunitarie rese nei confronti di soggetti passivi d’imposta in altro Stato membro; cessioni a viaggiatori di cui all’art. 52 del D.L. n. 331/1993; cessioni di beni ex art. 58 del decreto da ultimo citato. Non vi rientrano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi escluse dal campo di applicazione d’imposta.

E tuttavia, sotto questo profilo la normativa nazionale appare questa volta adeguata a quella comunitaria la quale non prevede che l’acquisto in sospensione d’imposta sugli acquisti sia

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Nel senso di una “infelice formulazione” del legislatore nazionale, LUPI R., Territorialità del tributo, in Enc. giur. Treccani, XXXI, Roma, 1994, 8; di “una certa improprietà” parla FANTOZZI A., Diritto tributario, Torino, 1998, 47-848, il quale sottolinea che le operazioni non imponibili rientrano nel campo di applicazione dell’IVA «e danno luogo ad obblighi formali assolutamente incompatibili» col concetto di operazione esclusa; nel senso di una “finzione giuridica” (con riferimento all’extraterritorialità) FILIPPI P., Valore aggiunto (imposta sul), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 154 e di “artificio” FALSITTA G., Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 1997, 140. Sostiene COMELLI A., Iva comunitaria e Iva nazionale, 581, aderendo a tali definizioni, che l’art. 7 ultimo comma dovrebbe de iure condendo essere abrogato in modo espresso al fine di superare i fondati e numerosi dubbi interpretativi.

134

Come quelle che hanno dato origine alla sopra menzionata pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea per la causa C-377/08, caso EGN BV, cit.

135

Come rileva RICCA F., La territorialità nell’IVA, cit., 416.

136

Si intende per esportatore abituale il soggetto il cui volume d’affari IVA sia costituito per più del 10% dalle operazioni appresso indicate al netto delle cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale. È in questo senso il disposto dell’art. 8, lett. c) integrato dalle previsione degli artt. 1-5 del D.L. 746/1983, convertito in L. n. 17/1984.

garantito con riferimento a tutte le operazioni attive esonerate dall’imposizione per difetto del presupposto territoriale (artt. 15 e 16 della VI direttiva).

Prevedeva la II direttiva IVA, all’art. 10, l’esenzione delle cessioni di beni spediti o trasportati al di fuori dello Stato, precisando all’allegato A, punto 16 che pur riferendosi detto esonero alla cessione di un bene esportato direttamente, vale a dire alla cessione effettuata dall’esportatore, gli Stati membri avevano la facoltà di estenderla alle cessioni effettuate allo stadio antecedente.

Di tale facoltà si avvaleva il legislatore italiano che già nella prima versione del decreto IVA stabiliva che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ad esportatori abituali potessero essere effettuate senza pagamento dell’imposta, su dichiarazione scritta e sotto la responsabilità del cessionario o committente, nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni fatte dal medesimo nell’anno solare precedente.

Sostituiva la previsione della II direttiva quella dell’art. 16, par. 2 della VI direttiva (in tema di “Esenzioni particolari connesse con il traffico internazionale di merci”) per la quale, con riserva di consultazione, gli Stati membri potevano esentare le importazioni e le cessioni di merci destinate a un soggetto passivo che intendesse farne l’esportazione senza modifiche o dopo trasformazione, nonché le prestazioni di servizi inerenti all’attività di esportazione del medesimo, a concorrenza dell’ammontare delle sue esportazioni nel corso dei dodici mesi precedenti.

Con l’introduzione del regime degli scambi intracomunitari si prevedeva contestualmente l’estensione dell’esenzione agli acquisti intracomunitari di beni effettuati da un soggetto passivo nonché alle cessioni di beni destinati a un soggetto passivo in vista di una successiva cessione intracomunitaria e alle prestazioni di servizi connesse a tali cessioni, entro i limiti dell’importo delle cessioni intracomunitarie di beni effettuate dal soggetto passivo nel corso dei dodici mesi precedenti.

Anche la disciplina comunitaria limita dunque la determinazione del plafond alle sole cessioni all’esportazione e alle cessioni intracomunitarie, escludendo qualunque altra operazione esonerata per difetto del requisito territoriale (anche i servizi internazionali invece inclusi dal legislatore nazionale).

Analizzeremo di seguito che incidenza abbiano avuto le modifiche apportate dalla riforma del 2008 sui meccanismi di esonero dall’imposizione.

C

APITOLO

III

L

E MODIFICHE RECATE DALLA DIR

.2008/8/CE

ALLA TERRITORIALITÀ DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI

SOMMARIO:1. Le ragioni di una modifica della territorialità delle prestazioni di servizi; 1.1. I

motivi dell’assenza di un intervento sulla territorialità delle transazioni aventi ad oggetto beni; 2.

Prestazioni di servizi: un nuovo sistema duale in funzione dello status del committente; 2.1. La

rilevanza dello status del committente …; 2.2. … e della sua cd. qualificazione; 2.3. I problemi connessi alla verifica dello status (e della qualità) del committente: le soluzione del regolamento n. 282/2011; 2.4. La nozione di stabilimento: rilevanza comunitaria e trasposizione nazionale;

2.4.1 I servizi da e verso stabili organizzazioni; 2.5. Verso una nuova dimensione della

soggettività? 3. L’individuazione dei criteri di localizzazione: la riproposizione del rapporto

regola generale – criteri speciali; 3.1. Criteri speciali applicabili indistintamente alle prestazioni BtoB e a quelle BtoC; 3.2. Criteri alternativi a quello della tassazione nel luogo di stabilimento del prestatore previsto per i servizi rapporti BtoC; 3.3. La rilevanza temporale dei servizi ai fini dell’applicazione delle nuove regole; 4. Il rinnovato interesse per i profili qualificatori

dell’operazione; 5. Gli effetti della riforma della territorialità sul meccanismo applicativo dell’imposta; 5.1. L’adozione generalizzata ed obbligatoria del reverse charge per i servizi “in entrata”; 5.1.1. La linea di demarcazione tra autofattura ed integrazione del documento attestante la realizzazione dell’operazione ricevuto dal committente; 5.2. L’esclusione dal campo di applicazione IVA dei servizi “in uscita”; 5.2.1. Gli effetti dell’esclusione dal campo di applicazione IVA; 5.3. Le modifiche agli artt. 8, 8-bis, 9 e al regime di perfezionamento passivo.

1. Le ragioni di una riforma della territorialità delle prestazioni di servizi

La complessità del sistema di localizzazione territoriale delle operazioni descritto al capitolo che precede, accompagnato dall’implementazione per gli scambi transfrontalieri di un meccanismo applicativo dell’IVA alternativo a quello tradizionale – l’uno incardinato sul binomio imponibilità/non imponibilità, l’atro su quello rivalsa/detrazione –, lascia intuire le motivazione che hanno indotto il legislatore sovranazionale ad interrogarsi, a quarant’anni dall’introduzione dell’IVA, sulla capacità del quadro normativo progressivamente delineatosi a rispondere agli originari obiettivi che la Comunità perseguiva attraverso l’armonizzazione delle imposte sulla cifra d’affari tra gli Stati alla stessa aderenti.

La riflessione ha condotto a rimeditare le scelte operate, dapprima con l’approvazione di una direttiva, la n. 2008/8/CE di modifica della territorialità dei servizi – inclusa nel cd. “Vat

package” (o pacchetto IVA) varato dagli organi comunitari insieme alle direttive n. 2008/9/CE

del 12 febbraio 2008 e n. 2008/117/CE del 16 dicembre 2008, rispettivamente sui rimborsi d’imposta e la lotta alle frodi –, con la quale si è voluto incidere sulla direttiva n. 2006/112/CE in un’ottica di razionalizzazione e semplificazione del sistema comune dell’imposta; successivamente, ampliando ulteriormente l’indagine sul futuro che vorrà riservarsi all’IVA attraverso una ricognizione dei profili maggiormente critici individuabili nella struttura del tributo.

La strada intrapresa è stata quella della consultazione pubblica, avviata con la diffusione da parte della Commissione europea del documento COM(2010) 695/4, più noto come Green

paper on the future of VAT: towards a simpler, more robust and efficient VAT system, che

sollecitava chiunque ne fosse interessato ad esprimersi in ordine a talune tematiche di particolare rilevanza in vista di un nuovo periodo di riforme del sistema comune IVA.

Nel perseguire il significativo obiettivo di non escludere nell’ambito della selezione delle priorità di intervento le valutazioni degli operatori che concretamente sono e saranno ancora chiamati a dare applicazione all’imposta, lo studio degli apporti forniti ha condotto all’elaborazione da parte della Commissione europea dapprima di un rapporto contenente l’analisi e la sintesi delle 1726 risposte ricevute1; in secondo luogo di una Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale2, noto come Libro bianco

sul futuro dell’IVA, che per l’appunto alla luce delle indicazioni ricevute ha individuato gli

obiettivi verso i quali si muoverà la Comunità al fine di garantire un sistema IVA più semplice, efficace e a prova di frode, di cui al capitolo seguente più specificamente ci occuperemo per quanto attiene alle scelte in ordine al profilo territoriale delle operazioni.

Anticipiamo fin d’ora che il rinnovato interesse per tale imposta armonizzata discende direttamente dalla sempre maggiore rilevanza che l’IVA ha assunto nell’ambito dei singoli sistemi tributari nazionali con riferimento al gettito incamerato e alla contribuzione della produzione del PIL3 ma anche e soprattutto dalla constatazione che l’IVA, introdotta con il

1

Cfr. Summary report of the outcome of the public consultation on Green paper on the future of the VAT towards a simpler, more robust and efficient VAT system, Brussels, 2.12.2011, Taxud.c.1(2011)1417007.

2

COM(2011) 851 del 6 dicembre 2011.

3

Come osserva CRIVELLARO J., Un nuovo futuro europeo per l’IVA, in Boll. trib., 2011, 1378, richiamando le statistiche riferite alla media europea contenute nel paper “Taxation trends in European Union”, 2010, Annex A, Tables 7-8, in http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_OFFPUB/KS-DU-10-001/EN/KS-DU-10-001-EN.PDF, dal 1995 al 2008 è aumentata sia l’importanza dell’IVA in proporzione al totale delle imposte riscosse – ammontando al 21,4% e crescendo del 12% rispetto al 1995 –, sia il contributo dell’imposta alla formazione del PIL – pari al 7,8% ed incrementato del 13% dal 1995. La dimostrazione della crescente rilevanza dell’IVA si rintraccia poi nell’utilizzo che della stessa si è fatto nella più recente crisi economica con il fine di risanare i bilanci pubblici e che ha condotto ad un aumento delle aliquote da parte dei Paesi appartenenti alla Comunità; in tal senso l’aliquota media europea è aumentata dal 18% al 21% nel periodo 2007-2010. Sul tema ASQUITH R., 2011 Brings Fresh European VAT Hikes, in Tax Journal, 2011.

precipuo scopo di eliminare le barriere fiscali all’integrazione, ne è a sua volta progressivamente divenuta causa. La ragione viene rintracciata dalla stesse istituzioni comunitarie nella complessità applicativa del tributo in particolare nei rapporti transnazionali, ciò che impedisce, ancorché non unico fattore, lo sviluppo delle imprese comunitarie al di fuori dello Stato di stabilimento, sviluppo reso ancor più difficoltoso dalle disarmonie degli ordinamenti attuativi nazionali tra loro ed anche rispetto alle previsioni comunitarie cui non sempre risultano allineati. Degli ostacoli che gli operatori economici incontrano la conoscibilità, la comprensione e la conseguente corretta applicazione delle previsioni regolanti il profilo della localizzazione territoriale delle operazioni, con i riflessi che ne discendono quanto a modalità di assolvimento dell’imposta, costituiscono evidenti esempi; sicché vale muovere proprio dalla direttiva n. 2008/8/CE per verificare quale sia la direzione intrapresa dall’intervento comunitario in questo campo, per giungere a verificare quali nuove proposte – allo stadio ancora del tutto programmatiche – la Commissione europea prospetti sul punto.

Ebbene, la direttiva n. 2008/8/CE si inserisce, come risulta dal quadro che precede, in un contesto normativo nel quale, con riferimento alla disciplina delle prestazioni di servizi, l’ampiezza delle eccezioni al criterio della tassazione nel luogo di stabilimento del prestatore rendeva quest’ultimo un criterio di fatto residuale4 – ciò che peraltro era stato affermato dalla stessa Corte di giustizia nella propria giurisprudenza5 – ed il cui ambito applicativo veniva in taluni casi allargato alle prestazioni di servizi complesse o innominate in quanto atipiche o di nuova elaborazione6.

Si poneva dunque la necessità di razionalizzare la materia e di operare delle scelte nel senso della semplificazione, senza perdere di vista le ragioni per le quali si era giunti ad un tale stato di stratificazione normativa, dovuta – lo si è chiarito – a successivi aggiustamenti in corsa per le più varie esigenze, ivi compreso ad esempio il rilancio della competitività delle imprese comunitarie quanto ai servizi elettronici.

Significativi per comprendere la prospettiva nella quale si pone l’intervento normativo sono in questo senso i considerando n. 1), 2) e 3) della direttiva n. 2008/8/CE, che pongono le