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Le cessioni di beni immateriali e le new properties

3. Cessione di bene – prestazione di servizio: le difficoltà qualificatorie

3.2. Le cessioni di beni immateriali e le new properties

La pattuizione contrattuale che abbia ad oggetto una molteplicità di attività non è l’unica fattispecie nella quale emergano difficoltà qualificatorie in ordine al “tipo” di operazione (ovvero di operazioni) poste in essere e conseguentemente al regime d’imposta applicabile.

La continua emersione di nuove forme di ricchezza e di “nuovi beni” che l’ordinamento reputa meritevoli di tutela pone infatti la necessità di valutarne la rilevanza sotto il profilo impositivo e per quanto qui di interesse la loro inclusione nelle tradizionali categorie di operazioni imponibili ai fini IVA.

Si tratta di entità che non risultano connotate, sotto il profilo naturalistico, dal tratto della corporalità117 (cd. beni immateriali) e che tuttavia si prestano ad essere utilizzate economicamente sì da creare l’interesse del mondo del diritto118.

Vengono innanzitutto in rilievo le opere dell’ingegno e le creazioni affini119, le quali presentano un profilo che si rivela particolarmente incidente agli effetti applicativi dell’IVA: la

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Salve quelle in cui si discuteva dell’imponibilità ovvero dell’esenzione di operazioni composite per accessorietà, il che peraltro ugualmente dimostra l’incidenza della qualificazione sul regime d’imposta applicabile, ancora più a monte rispetto al radicamento territoriale di una operazione già definita imponibile.

117

Così MESSINETTI D., Beni immateriali (dir. priv.), cit., 1.

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Più correttamente, si tratta di beni che non esistendo in natura costituiscono creazione dell’ordinamento medesimo, il quale seleziona tra le varie entità quelle idonee ad assurgere al rango di beni in senso giuridico. In particolare gli elementi cui viene subordinata la qualificazione giuridica sembrano essere l’apporto creativo e la riproducibilità. Così MESSINETTI D., Beni immateriali (dir. priv.), cit., 6.

contrapposizione tra corpus mysticum e corpus mechanicum, ovvero tra creazione intellettuale e forma della sua materiale estrinsecazione120.

Se la cessione del corpus mechanicum rientra infatti pacificamente nella sfera di applicazione del tributo quale cessione di bene, non scontata è la qualificazione giuridica ed il conseguente regime impositivo da attribuire al corpus mysticum. Peraltro, come osservato121, può accadere che la disponibilità della cosa materiale costituisca lo strumento indispensabile per attuare l’utilizzazione dell’opera dell’ingegno, nel qual caso la trasmissione del diritto di utilizzazione implica anche la consegna del veicolo di estrinsecazione dell’opera e la disciplina IVA sulla circolazione del diritto d’autore assorbe quella sulla circolazione del mezzo di espressione della creazione intellettuale.

Ebbene, come anticipato al par. 2.2 del presente lavoro, il legislatore del D.P.R. n. 633/1972 sceglie di classificare tra le prestazioni di servizi se effettuate verso corrispettivo «le cessioni,

concessioni, licenze e simili relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili, a marchi ed insegne e a diritti d’autore» nonché (per successiva previsione del

D.L. 31 dicembre 1996 n. 669, art. 2, c. 1) «le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a

diritti o beni similari ai precedenti», così includendovi ritrovati privi del requisito della

brevettabilità ed il know-how122.

Si ottiene in tal modo una regolamentazione parzialmente unitaria, agli effetti dell’IVA, degli atti di scambio aventi ad oggetto i più importanti beni immateriali nell’ottica tributaria, regolamentazione che ha il suo maggiore punto di emersione nelle norme sulla territorialità dell’imposta123, che più oltre meglio analizzeremo.

E tuttavia occorre notare come la disciplina assegnata a “cessioni, concessioni, licenze e

simili”, sia frutto, nei termini peraltro già evidenziati, di una normativa nazionale di recepimento

delle direttive comunitarie che estende la categoria delle “cessioni” a quelle aventi ad oggetto “beni di ogni genere”, dunque anche beni immateriali, compresi i diritti di cui in argomento. In difetto di una previsione ad hoc le cessioni del diritto d’autore e simili (importando il trasferimento della titolarità del diritto) sarebbero state infatti attratte all’area delle “cessioni di

beni”, laddove gli altri negozi consistenti nella temporanea attribuzione dello sfruttamento

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Riconosce in particolare il codice civile tutela alle opere dell’ingegno, alle invenzioni industriali, alle creazioni intellettuali che attengono ad una nomenclatura della realtà – ditta, insegna e marchio – nonché alle residuali categorie dei modelli di utilità e dei modelli e disegni ornamentali. Sulla disciplina fiscale di tali beni, tra gli altri, GULMANELLI E., Beni immateriali (trib.), in Enc. Giur., V, Roma, 1993; TABET G., Il diritto d’autore nella normativa tributaria, in Rass. Trib., 1988, I; ZANETTI E., Utilizzazione economica dei beni immateriali e degli altri diritti: trattamento fiscale, in Fisco, 2001.

120

Così TABET G., Il diritto d’autore nella normativa tributaria, cit., 69.

121

Ancora TABET G., Il diritto d’autore nella normativa tributaria, ult. cit.

122

GULMANELLI E., Beni immateriali (trib.), cit., 10 e FILIPPI P., Le cessioni di beni nell’imposta sul valore aggiunto, cit., 75.

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economico delle opere avrebbero costituito “prestazioni di servizi”. La scelta del legislatore nazionale sembra allora nel senso di un adeguamento alla normativa comunitaria, la quale attribuendo rilevanza alle sole cessioni di beni materiali, include residualmente ciò che non lo è tra le prestazioni di servizi (come vedremo, con margini di scelta sui criteri di localizzazione dell’operazione ben più ampi).

Vale rammentare che a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 29 dicembre 1992 n. 518, in attuazione della direttiva comunitaria 14 maggio 1991 n. 91/280/CE, la legge sul diritto d’autore (L. 22 aprile 1941, n. 633) riconosce anche al software la medesima protezione accordata alle opere dell’ingegno.

Si ripropone dunque anche per tale bene la distinzione tra disciplina IVA riservata alla cessione o concessione verso corrispettivo in licenza dello sfruttamento del diritto d’autore – operazione che si configura quale prestazione di servizi – e quella prevista per la vendita di copie per uso personale del software (ossia senza trasferimento del diritto di sfruttamento economico proprio del diritto d’autore) – rientrante tra le cessioni di beni.

E tuttavia quanto al software viene in rilievo un’ulteriore differenziazione, quella tra cessione di software standardizzato – per tale intendendosi un prodotto di serie e di impiego generalizzato, destinato ad un pubblico indistinto di clienti124 – e cessione di software

personalizzato, prodotto questo sviluppato in base alle specifiche esigenze del cliente:

solamente la cessione di software standardizzati è usualmente ricondotta alle cessioni di beni, prospettandosi nel diverso caso una prestazione di servizi.

Ai suddetti schemi contrattuali cui si fa ricorso per acquisire la disponibilità del software, se ne aggiunge peraltro nella prassi commerciale un terzo tipo, che prevede interventi di personalizzazione su un software standardizzato, per adattarlo alle specifiche esigenze del committente e che è stato affrontato dalla Corte di giustizia nella pronuncia resa per il caso

Levob Verzekeringen e OV Bank 125.

Ebbene, la disciplina IVA del software offre un esempio evidente di come qualificare una stessa operazione (cessione di software) quale cessione di bene ovvero prestazione di servizio

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Il programma viene in questo caso creato per soddisfare le esigenze operative di un numero indefinito di utenti e l’utilità economica del produttore consiste nella riproduzione sistematica del programma stesso, al fine di cedere singole copie del programma contenute nei relativi supporti materiali.

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Sul tema, tra gli altri, GABELLI M. – ROSSETTI D., Regime Iva del software: il caso della personalizzazione di software standardizzato, in Fisco, 2009, 4593 ss., a commento della risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 1 dicembre 2008 n. 456/E, la cui soluzione viene posta a confronto con la decisione resa dalla Corte di giustizia nella sopra richiamata pronuncia 27 ottobre 2005 per la causa C-41/04.

ne modifichi il regime della territorialità e contestualmente il meccanismo applicativo d’imposta126.

Vale infatti osservare che l’acquisto da parte di un soggetto nazionale ovvero comunitario di una copia di software standard fornito da un operatore economico extracomunitario configura un’importazione di bene (laddove il bene è il supporto magnetico incorporante il software). Ma se il software è personalizzato l’operazione è da ricondursi ad una prestazione di servizio imponibile secondo criteri di collegamento territoriale appositamente individuati che appresso analizzeremo.

Il caso del software fa inoltre emergere come la commercializzazione di “nuovi beni” possa richiedere degli adattamenti della normativa perché la ricchezza prodotta non sfugga all’imposizione. È a tale esigenza che rispondono le modifiche apportate alla disciplina concernente la determinazione della base imponibile IVA per i supporti informatici contenenti programmi per elaboratore prodotti in serie.

La base imponibile IVA delle operazioni di importazione è infatti determinata ai sensi delle disposizioni in materia doganale (cfr. supra, par. 2.3). Per le cessioni di software l’art. 167 del Regolamento doganale (2 luglio 1993 n. 2954, poi oggetto di modifiche) prevedeva che nella determinazione del valore in dogana dei supporti informatici si tenesse conto solo del costo o del valore del supporto propriamente detto: ciò avrebbe comportato l’esclusione da IVA del maggior valore del software standardizzato oggetto di importazione. È questo il motivo per cui il legislatore italiano (in ragione del rinvio operato in punto di base imponibile dall’art. 69 del D.P.R. n. 633/1972 alla legge doganale) introduceva con il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 una modifica all’art. 69 medesimo per rendere imponibile ai fini Iva l’intero valore del software (supporto informatico e dati ed istruzioni in esso contenuti)127.

Un ultimo profilo delle cessioni di software merita la nostra attenzione: il rilievo che un’ulteriore modalità di utilizzazione di tale bene si affaccia nella nuova economia digitale,

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Come sottolinea anche HINNEKENS L., The Challenges of Applying VAT and Income Tax Territoriality Concepts and Rules to International Electronic Commerce, in Intertax, 1998, 56, soffermandosi sulla cessione di software tramite mezzo elettronico, ciò che non dovrebbe modificarne la natura (di bene ovvero di servizio), peraltro in applicazione del principio espresso dalla Corte di giustizia nella sentenza 5 giugno 1997, casua C-2/95, caso Sparakassernes Datacenter, a mente della quale la forma elettronica di servizi finanziari non ne muta l’essenza (con conseguente esentabilità). Il riferimento non pare tuttavia totalmente pertinente non vertendosi sulla riconduzione di tali servizi all’una piuttosto che all’altra categoria quanto all’individuazione del settore per così dire “merceologico” dei servizi stessi.

127

Sul tema MELIS G., Osservazioni a margine della Proposta di modifica della VI Direttiva CEE sul regime di imposta sul valore aggiunto applicabile a determinati servizi prestati mediante mezzi elettronici, in Rass. trib., 2001, 713 ss. nonché MATTARELLI F., Le importazioni, cit., 859-861 che ripercorre le modifiche legislative.

quella dell’acquisto on line consistente nel download del prodotto da internet e nella contestuale possibilità di utilizzo senza necessità dei tradizionali supporti fisici128.

Si assiste in altri termini non solo alla nascita di nuovi beni ma anche alla fruibilità di beni già noti in nuove forme che superano il limite della fisicità dello scambio e facilitano la transnazionalità delle operazioni.

Le cd. new properties assumono una rilevanza tale nelle nuove economie che il diritto tributario non può non occuparsene. Per le peculiarità che presentano, poi, è la Comunità internazionale che vi ha diretto la propria attenzione come dimostrano tanto alcuni mirati interventi della Comunità Europea quanto gli studi fiscali condotti a livello OCSE129.

3.3. Il commercio elettronico diretto: quali soluzioni?

Il commercio elettronico rappresenta uno dei settori economici che più ha creato difficoltà nelle scelte impositive per le caratteristiche che gli sono proprie130 e che hanno indotto, da un

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Vedremo al successivo paragrafo come la scelta della Comunità sia stata nel senso di considerare le operazioni di commercio elettronico diretto quali prestazioni di servizi. Il che comporta un’ulteriore discrasia rispetto alle cessioni di software, che rileva MELIS G., Osservazioni a margine della Proposta di modifica della VI Direttiva CEE sul regime di imposta sul valore aggiunto applicabile a determinati servizi prestati mediante mezzi elettronici, cit: da un lato si qualifica infatti come cessione di beni la transazione avente ad oggetto i prodotti standardizzati, e dall’altro si sostiene che lo stesso prodotto, scaricato da Internet, costituisce una prestazione di servizi, sorgendo così quantomeno il dubbio se non debba piuttosto rilevare l’intrinseca natura del software e non già la sua modalità di acquisizione, atteso che in ambedue i casi non si fa altro che acquistare una copia di un prodotto “chiuso” e pronto per l’uso.

129

Per un’analisi degli indirizzi OCSE da ultimo BANCALARI M., IVA internazionale – Guidelines OCSE in materia di territorialità IVA di prestazioni di servizi e cessioni di intangibles, in Fisco, 2010 e LAMENSCH M., OECD Draft Guidelines on VAT/GST on Cross-Border Services, in International VAT Monitor, giugno 2010 ma già CORASANITI G., Profili fiscali del commercio elettronico, in Dir. prat. trib., 2003, pt. I, 607, GARBARINI C., Commercio elettronico e imposta sul valore aggiunto, in Dir. prat. trib., 2003, pt. I, 485, IDEM, La disciplina fiscale del commercio elettronico: principi ispiratori, problematiche applicative e prospettive di sviluppo, in Dir. prat. trib., 2000, pt. I, 1205, VALENTE P. – ROCCATAGLIATA F., Internet: i problemi in tema di controlli e compliance, in Fisco, 2001, 11313.

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Attribuisce correttamente all’economia digitale, rispetto all’economia tradizionale, le peculiarità di seguito elencate GARBARINI C., La disciplina fiscale del commercio elettronico: principi ispiratori, problematiche applicative e prospettive di sviluppo, in Dir. prat. trib., 2000, pt. I, 1206: afferma l’Autore che l’economia digitale è innanzitutto un’economia essenzialmente mobile, caratterizzata non più dallo scambio di beni e servizi ma dallo scambio di un unico bene-servizio che ricomprende tutti gli altri, l’informazione; l’economia digitale è pertanto un’economia smaterializzata in cui prodotti come software, musica, film, testi circolano senza supporto fisico diversamente da quanto accade nell’economia tradizionale; è infine per sua natura transnazionale, in quanto un sito web, quale che sia la localizzazione geografica del server in cui è memorizzato, è raggiungibile e può essere visitato in ogni parte del mondo sicché anche una piccola impresa può presentare e commercializzare prodotti su scala globale.

Sintetizza anche HINNEKENS L., The Challenges of Applying VAT and Income Tax Territoriality Concepts and Rules to International Electronic Commerce, cit., 55, le caratteristiche del commercio elettronico come segue: «electronic commerce is borderless, instantaneous and global […]. It operates parallel to conventional physical trade channels […]. It is disintermediated […]. It is anonymous and untraceable […]. It permeits a close vertical integration of business functions scattered accross national borders, making it very difficult for the tax inspector to determinate the individual countries’

lato, ad ipotizzare schemi impositivi ad hoc131 distinti dall’IVA, dall’altro a valutare la possibilità di escluderlo da imposizione132.

Creare tuttavia un’imposta per le operazioni telematiche, come al contrario detassarle, avrebbe significato regredire nel processo di completamento del mercato unico133. La Comunità sceglieva allora di adattare l’imposta sul valore aggiunto e le sue categorie tradizionali alle nuove realtà telematiche, con sforzi i cui risultati, allo stato attuale, non sembrano avere ancora prodotto gli effetti sperati quanto alla necessità di contemperare esigenze diverse, in particolare lo sviluppo del settore da un lato – con garanzia per le imprese europee di operare in parità di condizioni rispetto a quelle localizzate fuori dalla Comunità – ed urgenze più propriamente fiscali di recupero del gettito ed efficacia dei controlli da parte delle Amministrazioni fiscali nazionali dall’altro134.

Tale indirizzo trovava prima espressione nella Comunicazione della Commissione europea COM(98) 374 del 17 giugno 1998, Commercio elettronico e tassazione indiretta, che esprimeva il proprio favore per alcuni principi che avrebbero dovuto informare la tassazione IVA delle operazioni elettroniche, specificamente: il definitivo abbondano dell’idea di una possibile tassazione secondo schemi differenziati che non fossero quelli dell’imposta sul valore aggiunto;

contributions to the multi-jurisdictional profit generated by the global transaction or combination of transactions».

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Segnala HINNEKENS L., The Challenges of Applying VAT and Income Tax Territoriality Concepts and Rules to International Electronic Commerce, cit., 69, ed anche in HINNEKENS L., VAT policies in the digital age, in EC tax review, 2001, 119, quattro diverse specifiche formule di tassazione del commercio elettronico diretto: una cd. Transaction Tax, riscossa sui flussi di denaro relativi a servizi telematici; una cd. Telecoms Tax, sui servizi base di telecomunicazione; una cd. PC Tax, riscossa alla registrazione di computer e modem; una cd. Bit Tax, commisurata al numero di informazioni trasmesse. Proprio quest’ultima, la quale sarebbe commisurata non al corrispettivo contrattuale bensì alla “densità” dell’informazione trasmessa (così MARELLO E., Le categorie tradizionali del diritto tributario ed il commercio elettronico, cit., 596, nota 2), era promossa dal “Gruppo di esperti di Alto Livello” incaricati dalla Commissione Europea di analizzare il fenomeno nel documento Building the Economic Information Society for Us Al. First reflections of the High Level Group of Experts (gennaio 1996), reperibile in

www.ispo.cec.be/hleg/hleg.html, da cui tuttavia la Commissione si discostava (in COM(97) 157 del 15 aprile 1997, Comunicazione recante Un’iniziativa europea in materia di commercio elettronico). Sul tema della tassa sul bit, VALENTE P. – ROCCATAGLIATA F., Bit tax, ultima frontiera nella società dell’informazione?, in Fisco, 1999, 55.

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Sul modello dell’originaria politica statunitense che conduceva il Congresso ad adottare il 20 ottobre 1998 una legge, conosciuta come “Internet Tax Freedom Act” (47 U.S.C.S. § 151 sec. 1102, H.R. 4328) con il quale veniva introdotta su tutto il territorio federale una “moratoria” triennale (poi prorogata a cinque anni) durante la quale gli Stati membri si sarebbero astenuti dall’introdurre nuove imposte gravanti sul commercio elettronico in attesa di conoscere meglio le implicazioni giuridiche del fenomeno.

133

Come nota MICELI R., La territorialità IVA nelle “operazioni telematiche”, in Rass. trib., 2004, sottolineando come il principio di neutralità concorrenziale che informa gli scambi intracomunitari ne sarebbe stato compromesso.

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Tra i documenti più recenti in tema di commercio elettronico che monitorano l’andamento degli scambi via internet individuando gli ostacoli anche fiscali che si frappongono al suo sviluppo, il Commission staff working document, SEC(2009) 283 final del 5 marzo 2009, recante Report on cross-border e-commerce in the EU e la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regione, Sul commercio elettronico transfrontaliero tra imprese e consumatori nell’UE, COM(2009)557 definitivo.

la previsione che le operazioni telematiche dovessero considerarsi in ogni caso prestazioni di servizi135; la scelta di un’imposizione nel luogo del consumo (in linea con la natura dell’imposta).

Vale notare che tali linee guida venivano seguite dall’OCSE, che condivideva i tre principi informatori individuati dalla Commissione136 e si attestava dunque sulla stessa lunghezza d’onda della Comunità europea; la quale, a sua volta, ne dava conferma con la successiva proposta di modifica alla VI direttiva IVA, presentata dalla Commissione con il documento COM(2000) 349, approvata con modifiche con la direttiva 7 maggio 2002 n. 2002/38/CE137.

E tuttavia, nonostante la chiarezza dell’indirizzo espresso dalla Comunità in ordine alla qualificazione delle operazioni di commercio elettronico diretto quali prestazioni di servizi, da un punto di vista teorico che le operazioni telematiche rientrino tra le operazioni imponibili (e se vi rientrino in quale categoria) non è questione dalla risposta immediata.

Non aiuta in tal senso, nella determinazione della loro natura, la constatazione che si sia voluto assoggettarle ad IVA; dal punto di vista di una teorizzazione concettuale, infatti, che prescinde da una profilo più propriamente applicativo e che tuttavia manifesta su di esso i propri effetti, l’analisi di cosa sia una transazione elettronica passa per categorie giuridiche complesse ed in un certo senso destrutturate, rispetto ai tradizionali canoni, dalle trasformazioni della realtà economica che le stesse si ponevano l’obiettivo di descrivere.

Indubbiamente il commercio elettronico testimonia un cambiamento non solo nella dinamica contrattuale ma anche nel tipo di “prodotto” offerto (sia esso un bene o un servizio)

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Si noti che il riferimento è a quelle operazioni in cui tutto il ciclo produttivo e di fruizione avviene via web. Si distingue usualmente infatti tra commercio elettronico cd. indiretto, nel quale, pur avvenendo la transazione on line, l’esecuzione del contratto mantiene la sua fisicità (con consegna del bene o prestazione del servizio secondo le ordinarie modalità) e commercio elettronico cd. diretto caratterizzato per avere ad oggetto beni e servizi trasferibili telematicamente. In un ottica di adeguamento del sistema IVA alle nuove realtà informatiche, proprio con riguardo alla distinzione ora rilevata, il commercio elettronico indiretto è apparso assimilabile alle vendite a distanza con conseguente assunzione (spontanea, come nota MICELI R., La territorialità IVA nelle “operazioni telematiche”, cit.) del regime impositivo di queste. Il commercio elettronico diretto ha invece trovato apposita disciplina nel presupposto, come rilevato, che le operazioni tematiche dovessero ricondursi alla categoria delle “prestazioni di servizi”.

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Come emerge dal rapporto Electronic Commerce: Taxation Framework Conditions presentato alla