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La linea di demarcazione tra autofattura ed integrazione del documento

5. Gli effetti della riforma della territorialità sul meccanismo applicativo dell’imposta

5.1.1. La linea di demarcazione tra autofattura ed integrazione del documento

L’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 è stato ulteriormente integrato dall’art. 8, comma 2, lett. g), della L. 15 dicembre 2011 n. 217, in vigore dal 17 gennaio 2012, con la previsione per la quale «nel caso delle prestazioni di servizi di cui all’art. 7-ter rese da un

soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione, il committente adempie gli obblighi di fatturazione e di registrazione secondo le disposizioni degli articoli 46 e 47 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331», similmente dunque a quanto già accade per gli acquisti

intracomunitari di beni.

Nell’ipotesi delle prestazioni di servizi generiche di cui all’art. 7-ter rese da un operatore comunitario nei confronti di un soggetto passivo d’imposta nazionale, l’imposta – dovuta in Italia perché è ivi residente il destinatario dell’operazione – andrà dunque assolta mediante l’integrazione della fattura ricevuta dal prestatore.

Le operazioni interessate dalla nuova normativa sono quelle effettuate a partire dal 17 marzo 2012 e per le quali il committente non dovrà più emettere autofattura ma piuttosto seguire, come osservato, le stesse regole dettate per gli acquisti intracomunitari di beni (e già applicabili, fino al 31 dicembre 2009, anche per gli acquisti di determinati servizi da fornitori UE).

Vale sul punto rendere dei chiarimenti in merito alla distinzione tra emissione di autofattura ed integrazione della fattura emessa da altri ma senza addebito dell’imposta, nonché al modo in cui rilevino le due modalità di documentazione dell’operazione per i servizi transfrontalieri.

Una particolarità del nuovo regime dell’inversione contabile sta nel fatto che il prestatore non residente, il quale effettua una operazione non soggetta ad imposta nel proprio Paese di stabilimento ma imponibile nello Stato di stabilimento del destinatario, deve comunque emettere una fattura con indicazione della causale di non assoggettamento ad IVA95.

Sul tema ancora RICCA F., ult. op. cit. ma anche SALVINI L., Il «reverse charge» nelle prestazioni di servizi transnazionali, cit., 940-941, auspicando una mitigazione del profilo sanzionatorio per chi non abbia assolto l’IVA in reverse charge laddove l’IVA sia stata irregolarmente assolta nello Stato della controparte non residente.

Il tema delle sanzioni è stato oggetto delle modifiche introdotte dalla L. n. 228/2012 che intervenendo sugli obblighi di fatturazione ed allargandoli alle operazioni extra-territoriali nei confronti di chiunque effettuate, ha altresì inciso sull’art. 6 citato del D.Lgs. n. 471/1997, per cui risultano oggi sanzionabili la mancata documentazione o registrazione di operazioni non imponili, esenti ma anche non soggette ad IVA, con comminazione di una sanzione commisurata (tra il 5% ed il 10%) al corrispettivo non documentato o non registrato. Sul tema BRUSTERRA M., Sanzioni fino al 200% del tributo, in Il Sole-24Ore Speciale, 8 gennaio 2013.

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Ai sensi dell’art. 220 della direttiva n. 2006/112/CE, che non ha subito modifiche ad opera della dir. n. 2008/8/CE, ogni soggetto passivo assicura infatti che sia emessa, da lui stesso, dall’acquirente o dal destinatario o, in suo nome e per suo conto, da un terzo, una fattura per le cessioni di beni o le prestazioni di servizi che effettua nei confronti di un altro soggetto passivo o di un ente non soggetto passivo (è esclusa la fatturazione alle persone fisiche consumatori finali per le ragioni di cui al par. 3.2.2 del precedente capitolo).

La fatturazione dei servizi resi a soggetti passivi, ancorché imponibili in luogo diverso da quello di stabilimento del prestatore, discende dunque dalle ordinarie e generali previsioni comunitarie in tema di documentazione dell’operazione realizzata, disposizioni queste dalla quali in parte si discosta, per i motivi già evidenziati al capitolo II, la disciplina nazionale.

Quest’ultima, a seguito delle modifiche alla territorialità, si è tuttavia contestualmente conformata al dettato comunitario prevedendosi all’art. 21, comma 6 del D.P.R. n. 633/1972, a seguito delle modifiche introdotte ad opera del D.Lgs. n. 18/2010, che: «La fattura deve essere

emessa anche per le cessioni relative a beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale, non soggette all’imposta a norma dell’articolo 7-bis, comma 1, e per le prestazioni di servizi rese a committenti soggetti passivi stabiliti nel territorio di un altro Stato membro della Comunità, non soggette all’imposta ai sensi dell’articolo 7-ter, nonché per le operazioni non imponibili di cui agli articoli 8, 8-bis, 9 e 38-quater […]»96. Con la conseguenza anche le prestazioni di servizi “escluse” dal campo di applicazione dell’IVA per difetto del requisito della territorialità devono essere documentate se rese ad operatori economici europei, così recependosi il disposto sovranazionale.

La fatturazione è peraltro imprescindibile presupposto dell’ulteriore obbligo strumentale imposto ai prestatori del servizio, dalla normativa comunitaria prima e nazionale poi, da rinvenirsi nella compilazione di appositi elenchi riepilogativi delle operazioni effettuate, cd. elenchi INTRASTAT, nei quali a seguito delle modifiche apportate dalla direttiva n. 2008/8/CE all’art. 262 della direttiva n. 2006/112/CE sono da includersi anche le prestazioni di servizi rese a soggetti passivi IVA97.

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La sostanza della previsione rimane invariata a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 228/2012, nonostante la riformulazione del testo. Si veda il successivo par. 5.2.1 per osservazioni ulteriori.

97

Prevede in particolare il nuovo art. 262 che «Il soggetto passivo identificato ai fini dell’IVA deposita un elenco riepilogativo contenente i seguenti elementi:

a) gli acquirenti identificati ai fini dell’IVA cui ha ceduto dei beni alle condizioni previste all’articolo 138, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera c);

b) le persone identificate ai fini dell’IVA cui ha ceduto dei beni che gli sono stati ceduti tramite gli acquisti intracomunitari di cui all’articolo 42;

c) i soggetti passivi e le persone giuridiche che non sono soggetti passivi identificate ai fini dell’IVA cui ha prestato servizi, diversi dai servizi esenti da IVA nello Stato membro in cui la prestazione è imponibile, per i quali il destinatario dei servizi è debitore dell’imposta conformemente all’articolo 196».

L’introduzione di tale adempimento, finalizzato al controllo delle operazioni effettuate, è stato recepito dal legislatore nazionale all’art. 50, comma 6 del D.L. n. 331/1993, laddove si prevede che «I contribuenti presentano in via telematica all’Agenzia delle dogane gli elenchi

riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari, nonché delle prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli 7-quater e 7-quinquies del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, rese nei confronti di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro della Comunità e quelle da questi ultimi ricevute. I soggetti di cui all’articolo

7-ter, comma 2, lettere b) e c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972,

presentano l’elenco riepilogativo degli acquisti intracomunitari di beni e delle prestazioni di

servizi di cui al comma 1 dello stesso articolo 7-ter, ricevute da soggetti passivi stabiliti in un

altro Stato membro della Comunità. Gli elenchi riepilogativi delle prestazioni di servizi di cui al primo ed al secondo periodo non comprendono le operazioni per le quali non è dovuta l’imposta nello Stato membro in cui è stabilito il destinatario».

Importante rilevare come il legislatore nazionale abbia peraltro scelto di includere negli elenchi INTRASTAT anche le prestazioni di servizi ricevute dai soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, anche quando si tratti di enti non commerciali, obbligo questo aggiuntivo che ha sollevato alcune critiche quanto al rispetto del principio di proporzionalità con riferimento agli scopi perseguiti, da rintracciarsi nella necessità di provvedere ai necessari controlli e di combattere l’evasione che nel meccanismo del reverse charge in particolare può annidarsi98.

In sintesi, il prestatore comunitario del servizio è tenuto ad obblighi di fatturazione che sfociano nella presentazione di elenchi riepilogativi delle operazioni effettuate; ciò che tuttavia non esime il destinatario della prestazione che sia soggetto passivo e che operi in reverse charge ad alcuni peculiari ed ulteriori adempimenti: quali l’integrazione della fattura ovvero l’autofatturazione99 nonché la registrazione del documento.

La ragione dell’autofatturazione è facilmente rintracciabile nel fatto che laddove il prestatore sia un soggetto extra-comunitario lo stesso non avrà alcun obbligo di emettere fattura

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Cfr. GIORGI M., Le «simmetrie» del sistema IVA in vigore dal 2010, cit., 9, secondo il quale l’elevato rischio di evasione e le conseguenti esigenze di controllo connesse al meccanismo di funzionamento del tributo basato sulla simmetria non imponibilità-imponibilità hanno comportato una estensione degli obblighi formali che sembrano particolarmente gravosi per i soggetti privi di una adeguta organizzazione.

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Prevede l’art. 21, comma 5 che «nelle ipotesi di cui all’art. 17, secondo comma, il cessionario o il committente deve emettere la fattura in unico esemplare, ovvero, ferma restando la sua responsabilità, assicurarsi che la stessa sia emessa, per suo conto, da un terzo».

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 37/E ha indicato un caso nel quale il contribuente, con riferimento ai servizi ricevuti, non è soggetto all’obbligo di autofatturazione. Si tratta dell’ipotesi in cui i servizi ricevuti siano esenti, quali i servizi di finanziamento e assicurazione, che qualora a loro volta resi beneficiano dell’esonero dall’emissione di fattura ai sensi dell’art. 22, comma 6, n. 1) del D.P.R. n. 633/1973.

o documento ad essa assimilabile, a meno che non esista una normativa nazionale sovrapponibile a quella dell’IVA che glielo imponga; nella prima ipotesi nessuna fattura da integrare giungerà al committente, che necessariamente dovrà avvalersi di una autofattura per assolvere l’imposta.

E tuttavia un documento che attesti l’effettuazione dell’operazione esiste nel caso di servizi intracomunitari, problema postosi all’indomani dell’entrata in vigore delle nuove previsioni ed affrontato anche in via interpretativa dall’Amministrazione finanziaria nella circolare n. 12/E del 12 marzo 2010 dell’Agenzia delle entrate – Direzione centrale normativa.

Ci si chiedeva infatti se i committenti soggetti passivi italiani che ricevessero fatture per prestazioni “generiche” da soggetti passivi UE potessero, ai fini dell’assolvimento degli obblighi, continuare ad applicare l’imposta integrando materialmente la fattura del fornitore anziché mediante emissione di autofattura, stante la sostanziale equivalenza dei due sistemi.

La soluzione resa era affermativa: «in ambito comunitario, la prestazione di servizi

continua ad essere documentata dal prestatore con fattura, ancorché trattasi di operazioni

“fuori campo” IVA. Ciò stante il committente (nonostante la norma contenuta nel decreto

legislativo 11 febbraio 2010, n. 18 faccia riferimento all’autofattura) conserva la facoltà di integrare il documento ricevuto dal prestatore con l’IVA relativa, fermo restando l’obbligo di rispettare le regole generali sul momento di effettuazione dell’operazione».

La scelta veniva peraltro ribadibita nella successiva circolare n. 37/E del 29 luglio 2010, dove si chiariva che ai fini dell’individuazione del momento di effettuazione della prestazione non assumeva alcuna rilevanza il momento di ricezione della fattura estera (diversamente da quanto previsto, in materia di acquisto intracomunitario di beni, dall’articolo 39 del decreto legge n. 331); tuttavia, i committenti che ricevevano da soggetti UE servizi disciplinati, ai fini della territorialità, dalla regola generale di cui all’articolo 7-ter, avrebbero potuto scegliere tra l’emissione dell’autofattura e l’integrazione del documento ricevuto dal prestatore comunitario con la relativa IVA italiana, fermo restando l’obbligo di rispettare le regole generali sul momento di effettuazione dell’operazione.

Ebbene, l’integrabilità della fattura emessa dal prestatore comunitario è definitivamente e legislativamente accordata dal menzionato art. 17, così come modificato dalla legge comunitaria per il 2010 e poi ancor più di recente dalla L. n. 228/2012.

Appare importante osservare100 in merito che al di là dell’aspetto materiale dell’integrazione della fattura del fornitore in luogo dell’emissione dell’autofattura, la nuova disposizione inserita nel secondo comma dell’art. 17, D.P.R. n. 633/1972 realizza effetti ulteriori, in quanto consente al committente nazionale di assolvere gli obblighi d’imposta con la tempistica definita nella

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specifica disciplina degli acquisti intracomunitari, partendo dalla fattura del fornitore comunitario, anziché nei modi e termini ordinari (emissione dell’autofattura al momento dell’effettuazione della prestazione), diversamente dunque da quanto in precedenza richiesto dalla prassi amministrativa.

La nuova disposizione trova tuttavia applicazione soltanto per le prestazioni generiche rese da fornitori comunitari, con la conseguenza che negli altri casi (prestazioni generiche acquistate presso fornitori extracomunitari, nonché prestazioni «specifiche» acquistate presso fornitori esteri in genere), il committente nazionale continuerà ad assolvere gli obblighi d’imposta nei modi e termini ordinari (emissione di autofattura ex art. 21, registrazione ex art. 23, D.P.R. n. 633/1972) con riferimento al momento di effettuazione della prestazione, determinato ai sensi delle disposizioni dell’art. 6, D.P.R. n. 633/1972, come integrate dalla stessa legge comunitaria e sopra richiamate101.

La peculiarità descritta del nuovo regime quanto all’operatività dei distinti meccanismi dell’autofatturazione e dell’integrazione della fattura da altri emessa induce ad una considerazione che guarda contestualmente alle differenze ma anche alle analogie con la disciplina degli acquisti intracomunitari.

Pare indubbiamente corretto affermare102 che per l’attuazione del criterio che comporta la tassazione ordinaria del servizio nello Stato della destinazione il legislatore comunitario ha scelto un metodo diverso da quello adottato per le cessioni di beni transnazionali; ed infatti in quest’ultimo caso il criterio di tassazione nel Paese di destinazione è stato realizzato attraverso la non imponibilità della cessione e l’assoggettamento ad imposta dell’operazione effettuata dal cessionario (acquisto intracomunitario o importazione), con la conseguenza che si vengono a verificare due fatti generatori, l’uno in capo al cedente, l’altro in capo al cessionario.

Diversamente per le prestazioni di servizi da assoggettare ad imposta nello Stato del committente si applica un meccanismo di inversione contabile in base al quale il prestatore effettua un’operazione non soggetta ad IVA e il committente soggetto passivo stabilito è individuato quale debitore d’imposta.

E tuttavia quando la transazione avente ad oggetto servizi avviene tra soggetti comunitari, le modalità applicative del tributo si avvicinano maggiormente a quelle che modellano gli acquisti intracomunitari, assumendo la prestazione di servizi intracomunitaria una pregnanza particolare.

Lo dimostra l’esistenza di un obbligo di fatturazione dell’operazione in capo al prestatore e la possibilità per il committente di integrare la fattura ricevuta, sulla scorta della disciplina degli

101

Sul punto anche BANCALARI M. – COALOA F.T., Legge comunitaria 2010 (L. 15 dicembre 2011, n. 217) - Iva: le modifiche della Comunitaria 2010, in Fisco, 2012, 805.

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scambi intra-UE, così come l’inclusione di tali operazioni in elenchi riepilogativi atti a garantire il controllo della competenti amministrazioni finanziarie nazionali.

La ragione pare da rintracciarsi nella constatazione che se il criterio della tassazione a destinazione è uno strumento per attrarre “imponibile” alla Comunità quanto alle prestazioni rese da operatori extracomunitari (al pari di quanto accade per le importazioni), quando il servizio nasce e rimane all’interno della Comunità l’elemento che acquista rilievo è quello del riparto del gettito tra Stati (rispetto ad una operazione che è di per sé imponibile, in uno Stato ovvero in un altro).

Ecco allora sorgere quella stessa necessità di controlli che ha segnato l’istituzione del regime transitorio degli scambi di beni intracomunitari e che ha condotto, in sostituzione dei controlli doganali, i Paesi dell’area comunitaria a dotarsi di un sistema di scambio di informazioni introdotto col Regolamento CEE n. 218/1992, che per la prima volta ha imposto agli operatori economici l’obbligo di compilare periodicamente appositi modelli denominati INTRASTAT, riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari effettuati nel periodo ed ora anche delle prestazioni di servizi intracomunitarie103; informazioni che confluiscono oggi in un sistema informatico di gestione e archiviazione dei dati denominato Vat Information

Exchange System (VIES), che fra l’altro consente agli operatori commerciali di verificare anche

il numero di identificazione IVA della propria controparte, da cui l’importanza quanto alle indagini che il prestatore del servizio deve effettuare quanto allo status del proprio committente.