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Lo scambio intracomunitario di beni dopo l’abolizione delle frontiere fiscali

2. Fatti generatori d’imposta: le operazioni imponibili

2.4. Lo scambio intracomunitario di beni dopo l’abolizione delle frontiere fiscali

È d’uopo a questo punto soffermarsi sull’ulteriore fatto generatore del tributo che nella progressiva integrazione dei mercati nazionali verso la creazione di un mercato unico il legislatore comunitario è venuto ad individuare.

Si tratta dell’acquisto intracomunitario di beni, la cui rilevanza nel sistema IVA è il frutto dalla scelta di accompagnare l’abolizione delle frontiere fisiche e doganali tra Stati membri con l’ulteriore abbattimento di quelle fiscali, in una logica di libero transito dei beni tra i Paesi aderenti alla Comunità79; logica che muove nel senso della soppressione delle previgenti imposizioni all’importazione e dello sgravio all’esportazione per gli scambi tra gli Stati membri, sulla scia degli impegni assunti nel Trattato e ribaditi nelle successive direttive IVA, quale corollario del completamento del mercato interno.

Si delinea così, nel sistema d’imposta, una nuova area territorialmente rilevante, quella del “territorio della Comunità”, che da un lato viene ad essere idealmente costituita dalla sommatoria dei territori nazionali dei Paesi membri e dall’altro si giustappone al territorio (indistinto) che si localizza oltre i confini doganali (divenuti comunitari), quello dello spazio dell’extra-CE.

Dalla necessità di regolare sotto il profilo dell’imponibilità IVA quelle transazioni transnazionali che abbandonano il regime delle importazioni/esportazioni nasce un nuovo presupposto impositivo dalla peculiare disciplina. L’abolizione delle frontiere implica infatti innanzitutto la rimeditazione del principio regolante gli scambi tra Stati membri, quello della

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Sotto il profilo dell’armonizzazione delle legislazioni fiscali e la creazione di un mercato unico equiparabile ad un mercato interno tra gli Stati aderenti, cui l’abolizione delle frontiere risponde, è l’Atto Unico Europeo del 1986 a rappresentare uno spartiacque nello sviluppo della Comunità Europea. Il suo art. 13, infatti, introduce nel Trattato istituivo della CEE l’art. 8-A, il quale, ai commi 2 e 3, stabilisce il termine del 31 dicembre 1992 perché la Comunità adotti le ulteriori misure destinate all’instaurazione progressiva del mercato interno, inteso come spazio senza frontiere nel quale sia assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del Trattato. La stessa data ultima viene individuata perché la Commissione proceda all’individuazione di come abolire le frontiere fiscali tra Stati, modificando sul punto, l’art. 17 dell’Atto, l’art. 99 del Trattato. In tal senso, come nota CECAMORE L., Valore aggiunto (Imposta sul), in Dig. disc. priv. sez. comm., XVI, Torino, 1999, 351, l’Atto Unico con la previsione dell’instaurazione progressiva del mercato interno, come ora delineato, rappresenta il superamento della nozione di mercato comune.

tassazione nel Paese di destinazione (da cui la tassazione delle importazioni e la detassazione delle esportazioni), che permane nei rapporti con gli Stati non aderenti alla Comunità ma il cui abbandono nell’area europea sembrava necessitata nell’ottica di un completo superamento degli ostacoli di natura fiscale all’integrazione.

Tenteremo più oltre di rispondere alla domanda se tale opzione fosse davvero obbligata o quantomeno la preferibile, limitandoci qui ad evidenziare l’impulso degli organi comunitari all’adozione dell’opposto principio della tassazione delle operazioni rilevanti IVA nello Stato di origine, ritenuto maggiormente rispondente alla logica dell’integrazione ed il quale, laddove accompagnato dalla completa armonizzazione delle discipline nazionali, avrebbe realizzato l’equiparazione tra operazioni nazionali e operazioni verso Stati membri80.

Vale sul punto rammentare le tappe attraverso le quali si giunge all’attuale disciplina degli scambi intracomunitari, che si discosta tuttavia dal modello ideale originariamente prospettato dalla Commissione europea e che conduce, a fronte dell’impossibilità nel breve periodo di sopprimere le discrasie esistenti tra normative nazionali, ad una soluzione di compromesso realizzata da un lato attraverso il mantenimento per così dire “virtuale” delle frontiere fiscali e dall’altro conservando il principio della tassazione a destino in tutti i casi di potenziale distorsione del mercato (ciò che avviene negli scambi tra operatori economici nonché laddove l’acquisto venga effettuato da soggetti che seppur privati o equiparati abbiano le potenzialità di alterare la concorrenza, come oltre chiariremo).

Il modello originario di disciplina degli scambi intra-CE veniva delineato nelle proposte di direttiva contenute nei documenti COM (87) 321 def. e COM (87) 322 def., rispettivamente sul

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La tassazione nel Paese di origine si fonda sul principio secondo il quale i produttori assolvono le varie imposte nello Stato in cui ha luogo il processo produttivo relativo, indipendentemente dalla loro destinazione o dal mercato di consumo: ovunque vada il prodotto porta sempre incorporate nel prezzo le imposte che ha pagato durante la lavorazione, ciò che presuppone l’assoluta irrilevanza del passaggio della merce da un Paese all’altro. La tesi opposta, quella della tassazione a destinazione, trova invece fondamento nella considerazione che il pagamento di imposte che incidano sul processo produttivo si ripercuote necessariamente sui prezzi di vendita, i quali, per essere remunerativi, devono essere elevati fino ad includere le imposte pagate, imposte che per effetto di un processo di traslazione vengono assolte di fatto dai consumatori. Sul tema, in particolare, FILIPPI P., L’imposta sul valore aggiunto nei rapporti internazionali, in UCKMAR V. (coordinato da), Diritto tributario internazionale, Padova, 2005, 997-998 e ARMELLA S., Il principio di territorialità nell’imposta sul valore aggiunto: tesi di dottorato in diritto tributario internazionale e comparato, Università degli studi di Genova, Facoltà di giurisprudenza – Istituto di scienze economiche e finanziarie, 1999, 31 ss., la quale ulteriormente osserva come sotto il profilo economico il principio della tassazione a destino si fonda su due argomenti: da un lato il cd. benefit to consumer, per il quale, considerato che i consumatori del Paese di destinazione si avvantaggiano dei servizi statali finanziati mediante le imposte, se le esportazioni non fossero esonerate dal tributo i consumatori del Paese di importazione dovrebbero ugualmente finanziare le prestazioni di uno Stato da cui non conseguono alcun beneficio; dall’altro il cd. competition-argument, che muove dalla considerazione secondo cui gli imprenditori che esercitano un’attività nei Paesi dove le aliquote dell’imposta sulla cifra d’affari sono elevate sarebbero, in mancanza di applicazione del principio del paese di destinazione, svantaggiati sul piano della concorrenza in quanto dovrebbero subire sui mercati esteri quella di merci assoggettate ad un prelievo più ridotto (21-22).

ravvicinamento delle aliquote negli Stati membri e sulle misure tecniche per la soppressione delle frontiere fiscali e l’abolizione delle nozioni di importazione ed esportazione negli scambi intracomunitari.

Si trattava di proposte di modifica al sistema IVA strettamente coordinate tra loro, non potendosi non accompagnare la soppressione delle frontiere fiscali nei termini ivi delineati (la proposta n. 322 metteva infatti in atto il richiamato principio dell’imposizione all’origine, per il quale la tassazione delle cessioni imponibili doveva avvenire nel paese di provenienza dei beni trasportati in un altro Stato membro) quantomeno ad un livellamento delle aliquote81.

La novità era evidente: se il precedente regime delle operazioni interstatali prevedeva infatti al momento del passaggio delle frontiere del bene l’interruzione dell’operare dei meccanismi attuativi (rivalsa/detrazione)dell’IVA, con azzeramento del procedimento (da cui il rimborso d’imposta da parte dello Stato esportatore) e rinnovo dall’origine dello stesso (con applicazione di imposte di compensazione a favore dello Stato importatore)82, il nuovo sistema era invece rappresentato da un meccanismo non interrotto, caratterizzato dalla detraibilità dell’IVA sugli acquisti assolta in un Stato membro da parte dell’operatore localizzato in altro Paese comunitario, che dilatava per gli operatori economici il territorio di ciascuno Stato fino ad assumere in un certo senso come limite i confini della Comunità83, cui si accompagnava un particolare sistema di gestione dei rapporti tra Stati quanto al riparto del gettito.

Il rilievo che la tassazione dovesse colpire la capacità economica che si manifesta nel consumo comportava infatti che l’entrata dell’imposta fosse acquisita dal Paese in cui il bene veniva ad essere consumato. Si immaginava allora un meccanismo di compensazione tra Stati gestito a livello europeo, fondato sulle dichiarazioni dei singoli Paesi in ordine agli scambi intra-europei intervenuti in un determinato arco temporale e dunque: sull’ammontare dell’IVA relativa a cessioni di beni resi a soggetti residenti di altri Paesi della Comunità da un lato; sugli importi IVA addebitati ai residenti da soggetti passivi operanti in detti Paesi dall’altro84.

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Tale aspetto è ben delineato da tutti i commentatori dell’epoca, in particolare, FANTOZZI A., Realtà e prospettive in materia di IVA, in Rass. trib., 1988, pt. I, 504 ss.; CECAMORE L., L’armonizzazione delle imposte indirette. L’IVA – luci e ombre, in Rass. trib., 1988, pt. I, 589 ss.; AMATUCCI A., Aspetti fiscali dell’Atto unico europeo, in Rass. trib., 1989, pt. I, p. 141 ss., per il quale l’Atto Unico Europeo non poteva consentire, almeno come obiettivo finale, la permanenza di aliquote diverse in quanto le conseguenze derivanti avrebbero violato altri principi fondamentali del Trattato.

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Così AMATUCCI A., Aspetti fiscali dell’Atto unico europeo, cit., 145.

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Evidenzia tale profilo di novità, ritenendolo sostanziale, CECAMORE L., L’armonizzazione delle imposte indirette. L’IVA – luci e ombre, cit., 593 ss., il quale segnalava come lo stesso si accompagnasse ad altra innovazione, formale, del pari da non sottovalutarsi: quella della rilevanza della fattura emessa da operatore di altro Stato.

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Sul tema dell’abolizione delle frontiere fiscali e sul meccanismo di compensazione proposto CECAMORE L., L’armonizzazione delle imposte indirette. L’IVA – luci e ombre, cit.; FANTOZZI A., Il sistema italiano verso il mercato unico europeo, in Rass. trib., 1988, pt. I, 551 ss. nonché ID., Realtà e prospettive in materia di IVA, cit.; AMATUCCI A., Aspetti fiscali dell’Atto unico europeo, cit. Per una

Più in particolare, corrispondendo alle “esportazioni” un debito dello Stato nei confronti del centro (spettava infatti l’IVA – come chiarito – allo Stato di destinazione/consumo, il quale consentiva al contempo la detrazione dell’IVA assolta sull’acquisto intra-CE da parte dell’operatore nazionale) ed un credito alle “importazioni” (per un meccanismo speculare a quello descritto), ciascuno Stato avrebbe fatto valere nei confronti della stanza di compensazione le risultanze algebriche finali, potendo risultare debitore o creditore della differenza a seconda che prevalessero o meno le operazioni verso l’estero-Comunità.

I profili critici non mancavano85, a partire dalla complessità di realizzazione di tale cd.

clearing house, la quale accompagnata dalla difficoltà di raggiungere in tempi brevi una

maggiore armonizzazione dei sistemi nazionali dal punto di vista della qualificazione delle operazioni, della disciplina riguardante la detrazione, del calcolo della base imponibile e non per ultimo delle aliquote applicabili, inducevano a sviare dal modello originario86.

Si adotta così con la direttiva 16 dicembre 1991 n. 91/680/CEE un regime transitorio, con originaria scadenza al più tardi al 31 dicembre 199587, oggetto tuttavia di successive proroghe a

disamina dei due metodi attraverso cui una stanza di compensazione può essere realizzata VANISTENDAEL F., A proposal for a Definitive Vat System Taxation in the Country of Origin at the Rate of the Country of Destination, Without Clearing, in EC Tax Review, 1995, 48 ss., il quale rileva come il meccanismo possa operare tanto sui dati forniti dalle dichiarazioni fiscali dei contribuenti (che tuttavia sarebbero gravati dall’obbligo di indicare le operazioni attive e passive realizzate con riferimento ai singoli Paesi membri) ovvero su dati macro-economici.

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Per una accurata disamina CECAMORE L., L’armonizzazione delle imposte indirette. L’IVA – luci e ombre, cit., 600 ss.

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Sono questi fattori in grado di creare distorsioni della concorrenza. Si pensi al caso in cui un’operazione sia ritenuta imponibile nello Stato di origine ma esente in quello di destinazione nonché all’ipotesi in cui le regole di esercizio del diritto di detrazione nello Stato di consumo siano diverse da quelle (da ritenersi applicabili) del Paese di provenienza ovvero alla possibilità che le basi imponibili siano diversamente determinabili. Ancora più evidenti le distorsioni causate dalla differenza di aliquote che, vigente il criterio della tassazione all’origine, da un lato porterebbero alla localizzazione degli operatori nei Paesi a più bassa aliquota e dall’altro all’acquisto in tali Stati da parte di coloro per i quali l’imposta non fosse neutrale (essendo consumatori finali o enti equiparabili – per i quali l’imposta è un esclusivamente costo non essendo esercitatile la detrazione – ovvero soggetti con limiti alla detraibilità) con una sviamento dei traffici ed una non più equa ripartizione del gettito. Rileva inoltre CECAMORE L., L’armonizzazione delle imposte indirette. L’IVA – luci e ombre, cit., 598, la possibilità che in tale sistema le imprese tendano a localizzarsi, anche mediante l’istituzione di propri depositi, in Paesi ad aliquota meno elevata e la convenienza a procedere allo sdoganamento (in caso di importazioni) nel Paese in cui i beni scontino una aliquota minore.

Un primo iniziale ravvicinamento delle aliquote, del tutto insufficiente a produrre il passaggio al regime della tassazione nel Paese di origine, viene realizzato con la direttiva 19 ottobre 1992 n. 92/77/CEE che prevede l’abrogazione delle aliquote maggiorate, l’applicazione di aliquote ordinarie da parte degli Stati membri non inferiori al 15% e la possibilità di adottare una o due aliquote ridotte non inferiori al 5% applicate esclusivamente a determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi. Le previsioni si discostano molto dalle precedenti proposte che pur individuando due fasce di aliquote, prospettavano che l’aliquota ridotta non fosse superiore al 4% né superiore al 9% e che quella normale si attestasse tra il 14% ed il 20%.

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seguito delle quali lo stesso è ancora in vigore, potendosene – pare – affermare, anche alla luce delle più recenti modifiche al sistema IVA, il carattere della definitività88.

Il legislatore comunitario sceglie per l’imposizione delle cessioni intracomunitarie che danno luogo ad un trasporto o ad una spedizione da un Paese CE ad un altro, tra operatori economici (nonché delle prestazioni di servizi connesse agli scambi intracomunitari), un modello che da una parte attribuisce rilevanza (e registra) l’operazione realizzata nel Paese di provenienza e dall’altra definisce l’acquisto come una nuova operazione imponibile nel Paese di destinazione.

L’abolizione delle barriere fiscali e la creazione di un mercato unico si realizza dunque in maniera differente da quella originariamente prospettata. Tale obiettivo viene infatti raggiunto non eliminando totalmente le frontiere fiscali ed accettando il principio di tassazione nel Paese di origine ma piuttosto mantenendo il criterio dell’imponibilità a destino e rendendo “virtuali”, cioè meramente formali, le frontiere fiscali, così sottraendo ad esse le operazioni di controllo e di applicazione dell’imposta al confine89. Si creano peraltro contestualmente le premesse, derivanti dall’esigenza di evitare frodi ed evasioni d’imposta nonché la potenziale riduzione di gettito conseguente al mancato incasso dell’IVA presso le dogane, per la ricerca di una più efficace cooperazione a livello amministrativo tra le competenti Autorità degli Stati medesimi90. Ebbene, il meccanismo viene delineato attorno all’esenzione/esonero della cessione intra-comunitaria tra soggetti passivi (al pari delle cessioni all’esportazione) e all’imposizione dell’acquisto nel Paese di destinazione delle merci, la quale si realizza attraverso la scelta di un criterio di radicamento territoriale dell’operazione per il quale la stessa si considera avvenuta nel luogo in cui il bene si trova al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto91.

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Si è osservato come l’adozione del principio di tassazione nel Paese di origine favorisca i Paesi esportatori, pur essendo questi tenuti a trasferire le entrate acquisite al Paese di consumo; sarebbe dunque questa, in realtà, la ragione politica della mancata introduzione del sistema di imposizione IVA definitivo. Così SACCHETTO C., L’evoluzione del diritto comunitario in materia tributaria, in L’evoluzione dell’ordinamento italiano tributario, Atti del convegno del 2-3 luglio 1999 per i settantenni di «Diritto e pratica tributaria», coordinati da UCKMAR U., Padova, 2000, 807.

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In questi termini, FANTOZZI A., Il sistema italiano verso il mercato unico europeo, cit., p. 555.

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Come rileva COMELLI A., Iva comunitaria e Iva nazionale, Padova, 2000, 243 ss., che richiama la definizione di TERRA B.J.M., Removal of Fiscal Frontiers. Administrative Cooperation in the Field of Indirect Taxation (VAT), in International VAT Monitor, giugno, 1992, 8, per il quale il regolamento 27 gennaio 1992 n. 218/92, concernente la cooperazione amministrativa nel settore delle imposte indirette (IVA), avrebbe costituito «the corner stone of the VAT system within the Community during the transitino period».

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Nota come l’applicazione del principio di tassazione nello Stato membro di destinazione per le operazioni nei confronti dei soggetti passivi d’imposta sia stata realizzata sia modificando la disciplina della territorialità dell’imposta sia attraverso l’introduzione di un nuovo presupposto d’imposta (l’acquisto intra-comunitario di beni), MASPES P., Gli scambi intracomunitari, in ALBERTINI F.V., L’imposta sul valore aggiunto, in TESAURO F. (diretta da), Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, Torino, 2001, 873.

In questo modo un unico evento dal punto di vista economico e giuridico dà vita a distinte operazioni, simmetriche l’un l’altra92, delle quali la cessione esente e l’acquisto imponibile, in modo tale da evitare il fenomeno della doppia imposizione93 e mantenere al contempo, da un lato, la neutralità dell’imposta rispetto agli operatori economici, dall’altro la parità di trattamento tra prodotti nazionali e prodotti provenienti da altri Paesi membri, pur in mancanza di una completa armonizzazione dei sistemi nazionali d’imposta.

È questo peraltro il primo momento in cui emerge con chiarezza il nesso tra territorialità e meccanismo applicativo del tributo, che si riflette nel mutamento in termini di soggettività passiva d’imposta che si accompagna all’introduzione del principio di tassazione a destino per le operazioni tra operatori economici ed in conseguenza del quale non è più il cedente/prestatore94 ad essere tenuto ad applicare l’imposta bensì il cessionario/committente ad assoggettare l’operazione al tributo nel proprio Stato attraverso il meccanismo dell’inversione contabile (cd. reverse charge).

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Sulla simmetricità del meccanismo, MASPES P., Gli scambi intracomunitari, ult. cit. e FORTE U., Il funzionamento del regime transitorio dell’IVA negli scambi intracomunitari – Valutazione dei risultati e prospettive per il regime definitivo, in Il fisco, 1995, 8320.

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Vale precisare, richiamando sul tema ARMELLA S., Il principio di territorialità nell’imposta sul valore aggiunto: tesi di dottorato in diritto tributario internazionale e comparato, cit., 4 ss., che per stabilire se vi sia doppia imposizione nelle imposte sulla cifra d’affari occorre muovere dalla loro natura, quella per cui lo Stato percepisce il tributo sulla partecipazione all’attività economica. In questo senso è l’identità oggettiva del fatto economico assunto dal legislatore quale presupposto impositivo che qualifica la tassazione, anche nei confronti di soggetti diversi, in termini di doppia imposizione nel settore dei consumi. Si tratta dunque di una doppia imposizione cd. economica che può essere evitata proprio attraverso il principio di territorialità e di tassazione nel paese di destinazione.

Sulla peculiare natura della doppia imposizione nelle imposte indirette come l’IVA anche AUMAYR E. – DAURER V. – ECKER T., GEIßLER E. - SẹK M. – USS M., Conference: Value Added Tax and Direct Taxation – Similarities and Differences, Intertax, 2009, 500 e TERRA B.J.M., VAT in the EEC: the place of supply, inCommon Market Law Review, 1989, 451.

Rileva correttamente BIZIOLI G., Comparative Analysis of the Causes of Double (Non-) Taxation in the Income and VAT/GST Contexts, in LANG M. – MELZ P. – KRISTOFFERSON E., Value Added Tax and Direct Taxation. Similarities and Differences, IBFD, 2009, 383 ss., che le cause della doppia imposizione (economica) in ambito IVA derivano dalla diversa implementazione della regola della tassazione al consumo (ovvero a destino), dovuta alle molteplici interpretazioni di “luogo di consumo” nonché alle difficoltà di individuare dove questo si svolge e di fondare la riscossione dell’IVA esclusivamente sulla prova del consumo. Tutte queste situazioni danno luogo all’uso di presunzioni nel determinare il luogo di tassazione ai fini IVA che tuttavia possono portare alla doppia tassazione della stessa transazione. Osserva l’Autore come i problemi con l’applicazione della tassazione a destinazione colpiscano soprattutto la fornitura di servizi (397). Più in particolare – osserva richiamando il Consultation paper della Commissione, Introduction of a mechanism for eliminatine double imposition of VAT in individual cases, del 5 gennaio 2007, rinvenibile sul sito

http://ec.europa.eu/taxation_customs/common/consultations/tax/index_en.htm – la doppia imposizione IVA può nascere anche in un contesto armonizzato derivando : 1) dalla discrezionalità delle legislazioni nazionali nel dare attuazione alla direttiva in particolare in ordine alla definizione del luogo di