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2. Fatti generatori d’imposta: le operazioni imponibili

2.3. L’importazione di beni

Rientrano tra le fattispecie imponibili IVA, al pari delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di un’attività economica nel territorio nazionale, così come sopra definite, le importazioni di beni da chiunque effettuate. Queste ultime presentano tuttavia caratteri peculiari, che hanno condotto a considerarle “una categoria a parte all’interno della

disciplina sul valore aggiunto”71: innanzitutto poiché non è necessario che vengano effettuate da chi agisca nell’esercizio di una attività economica per essere qualificate come operazioni imponibili; in secondo luogo perché prescindono dall’esistenza di un negozio giuridico, applicandosi il tributo in ragione della semplice introduzione di beni nel territorio dello Stato; infine in considerazione del particolare meccanismo di riscossione in dogana in conseguenza del quale l’IVA all’importazione è ordinariamente accertata, liquidata e riscossa all’atto dell’espletamento delle procedure doganali.

Proprio in ragione di tali caratteristiche, molto si è discusso in ordine alla natura dell’IVA all’importazione, generalmente ricondotta al medesimo presupposto sostanziale dell’IVA

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In particolare sul tema FANTOZZI A., Operazioni imponibili, non imponibili ed esenti nel procedimento di applicazione dell’IVA, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1973, pt. I, 141 e FEDELE A., Esclusioni ed esenzioni nella disciplina dell’IVA, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1973, pt. I, 146; GALLO F., L’Iva: verso un’ulteriore revisione, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, pt. I, 602; FILIPPI P., Le cessioni di beni nell’imposta sul valore aggiunto, cit., 16 ss.

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nazionale (ancorché con una tecnica impositiva differente72), ma da taluno alla categoria dei diritti di confine o dei diritti doganali73.

Chiarito che si tratta di un presupposto impositivo il quale rientra a pieno titolo nel sistema d’imposta sul valore aggiunto e nell’ambito di questo trova disciplina7475, vale sottolinearne per quanto d’interesse nel nostro studio alcuni aspetti, in primo luogo ribadendo la ratio dell’imposizione dei beni in importazione, espressione della volontà di applicare negli scambi internazionali il principio della tassazione nel Paese di destinazione (e dunque di consumo), attraendo ad imposizione i beni di provenienza estera ed esonerando quelli a loro volta all’estero destinati. È tale criterio che garantisce infatti, da un lato, l’equiparabilità delle operazioni che si realizzano nei singoli territori nazionali indipendentemente dalla provenienza dei beni – i quali vengono tutti ugualmente assoggettati a tassazione secondo le medesime aliquote nazionali –, dall’altro il prelievo dell’imposta nel Paese di consumo del bene stesso, in linea con un modello impositivo a ciò orientato.

In tal senso, come osservato, «l’applicazione dell’IVA per il solo fatto dell’introduzione

della merce nel territorio nazionale risponde […] all’inderogabile esigenza di chiusura del sistema, volta ad equiparare, agli effetti fiscali, la merce di provenienza extracomunitaria [e

comunitaria prima dell’abolizione delle frontiere fiscali tra Stati membri] a quella di produzione

nazionale»76 ed è «riconducibile alla realizzazione della parità di trattamento dei beni ai fini

IVA, nella prospettiva di evitare ingiustificate discriminazioni, sotto il profilo dell’assoggettamento (o meno) al tributo in funzione della relativa provenienza, nel senso di rendere irrilevante sul piano del peculiare meccanismo impositivo l’acquisto nel territorio di

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Come rileva PEIROLO, L’IVA nei rapporti con l’estero, Milano, 2003, 370-371.

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Si veda la tesi, seppur isolata, di BISCOTTINI G., Profili internazionalistici dell’imposta sul valore aggiunto, in Studi in onore di Udina M., tomo II, Milano, 1975, 962 ss., secondo la quale la legge istitutiva dell’imposta sul valore aggiunto avrebbe dato vita nella realtà a due distinti tributi, l’IVA vera e propria e lo speciale diritto di confine costituito dall’imposizione collegata all’importazione nel territorio doganale. L’autonomia dell’IVA all’importazione deriverebbe secondo l’Autore da un lato dalla diversità dei presupposti, dall’altro dalla sua “autonoma disciplina”.

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A livello nazionale agli artt. 67 ss. del D.P.R. n. 633/1972, dove il legislatore nazionale descrive le importazioni quali le operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da Paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità (a seguito dell’introduzione della disciplina IVA degli scambi intracomunitari di beni) e che non siano già stati immessi in libera pratica in un altro Paese membro della Comunità ovvero che siano provenienti da territori da considerarsi da questa esclusi. Si tratta in particolare delle operazioni di immissione in libera pratica nel territorio nazionale, delle operazioni di perfezionamento attivo, delle operazioni di ammissione temporanea, delle immissioni al consumo di beni provenienti da Monte Athos, isole Canarie e Dipartimenti francesi d’oltremare, delle reimportazioni a scarico di esportazione temporanea fuori della Comunità e della reintroduzione di beni precedentemente esportati fuori della Comunità.

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Peraltro come osserva FILIPPI P., Valore aggiunto (imposta sul), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 194, nonostante la sua peculiarità la disciplina delle importazioni resta pur sempre coordinata con quella delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi in quanto l’imposta pagata per le importazioni effettuate da un soggetto passivo d’imposta influisce direttamente sulla misura del versamento che il soggetto deve eseguire a scadenze periodiche, essendo detraibile, da quella relativa alle operazioni imponibili effettuate.

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uno Stato terzo di beni successivamente introdotti in Italia, rispetto a quelli ivi acquistati direttamente»77.

Rispondono sotto questo profilo ad esigenze peculiari che non alterano il principio generale, le fattispecie che ne costituiscono eccezione e per le quali l’IVA all’importazione non trova applicazione. Si tratta di ipotesi (previste all’art. 68 del D.P.R. n. 633/1972 nell’ordinamento italiano78) rispondenti a ragioni di coerenza sistematica (ciò che avviene per i beni importati da parte di soggetti che hanno effettuato cessioni all’esportazione, assimilate ovvero servizi internazionali nonché per i beni la cui cessione è esente dall’imposta) ovvero di garanzia della più semplice modalità applicativa del tributo (come per le cessioni di energia elettrica e gas naturale mediante sistemi di distribuzione, di cui ci occuperemo), in alcuni casi caratterizzate dall’esiguità dei valori in gioco (per i campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati), altre dall’utilità sociale delle operazioni (per i beni donati a enti pubblici ovvero associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca ovvero per i beni donati a popolazioni colpite da calamità naturali o catastrofi).

Un secondo aspetto meritevole di evidenziazione attiene poi alla determinazione della base imponibile, costituita dal valore doganale del bene (comprese le imposte, i dazi, i prelievi e le altre tasse dovuti fuori dello Stato membro di importazione ad eccezione dell’IVA) – come già prevedeva l’art. 8 della II direttiva – nonché dalle spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di assicurazione, che sopravvengono fino al primo luogo di destinazione dei beni all’interno dello Stato membro d’importazione (art. 11, lett. B) della VI direttiva ed oggi artt. 85 e 85 della direttiva n. 2006/112/CE). Tale profilo verrà in rilievo nel prosieguo della trattazione quando ci si soffermerà sulle difficoltà di determinare l’IVA in dogana per quei beni, come il

software, che incorporano un valore che non è quello del mezzo fisico che ne costituisce il

supporto.

Un ultimo profilo da porre in rilievo attiene a come la nozione di importazione abbia subito un’importante modifica a seguito dell’abolizione delle frontiere tra gli Stati membri della Comunità. Prevedeva la II direttiva (art. 7) che l’“importazione di un bene” consistesse nella sua introduzione “all’interno del paese”, intendendosi per tale (ai sensi dell’art. 3) «il territorio nel

quale lo Stato interessato applica l’imposta sul valore aggiunto; detto territorio deve abbracciare, in linea di massima, l’insieme del territorio nazionale, ivi comprese le acque

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In questo senso COMELLI A., Iva nazionale e IVA comunitaria, cit., 563, richiamando anche l’indirizzo di GIOVANNINI A., L’imposta sul valore aggiunto, in BATISTONI FERRARA F. – GRIPPA SALVETTI M.A., Lezioni di diritto tributario. Parte speciale, Torino, 1992, 186.

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La disciplina comunitaria di riferimento è contenuta all’art. 143 della direttiva n. 2006/112/CE, già artt. 14, par. 1, e 28-quater, parte D, della VI direttiva.

territoriali». La nozione di importazione contenuta nella VI direttiva, riproduttiva della II, viene

successivamente limitata all’introduzione nel territorio comunitario (pur con applicazione delle aliquote nazionali a seconda dello Stato membro di introduzione) di beni di provenienza extra-CE, ai sensi del modificato art. 7, legato all’introduzione di un apposito regime per gli scambi intracomunitari che appresso delineeremo.