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Un esempio di economia della “permanenza”: la sovranità alimentare

pianificazione sostenibile

3.2 L’analisi LCA come strumento della sostenibilità forte

3.2.1 L’unica sostenibilità: la sostenibilità forte

3.2.1.1 Un esempio di economia della “permanenza”: la sovranità alimentare

Come già evidenziato nel paragrafo inerente alla produzione degli alimenti, attualmente a livello globale esistono sperequazioni inaccettabili tra chi non ha accesso al cibo e chi invece utilizza molte più risorse alimentari di cui avrebbe bisogno. Le cause di tale fenomeno non vanno ricercate nella scarsa aderenza di alcuni sistemi produttivi al modello di sviluppo “occidentale”, come molte

249 Ciò ovviamente non è una misura della qualità della vita in senso sociale, anche se molto

spesso i due fenomeni sono legati e non è facile avere il secondo (qualità della vita) senza il primo (disponibilità di beni concreti) (E. Tiezzi, N. Marchettini, Che cos'è lo sviluppo sostenibile?. cit., p. 90).

250 Probabilmente quello che si verrebbe a creare è una nuova concezione del benessere. Mentre

nella società attuale il benessere è in stretta relazione alla capacità dell’individuo di consumare, l’attuazione di uno sviluppo sostenibile porta con se una nuova concezione dei bisogni sociali, per cui il benessere è raggiunto se lo sviluppo permette a tutti gli individui di realizzarsi in sintonia con la natura.

autorevoli fonti dichiarano251, ma piuttosto nell’organizzazione iper- tecnologizzata delle produzioni che da un lato accresce la dipendenza del primo settore dai prodotti di sintesi e distrugge gli ecosistemi e dall’altro consente a chi controlla la produzione degli input e la commercializzazione dei prodotti di esercitare pesanti pressioni su contadini ed allevatori252.

La produzione alimentare va dunque svincolata dalle risorse non rinnovabili. Pare indispensabile mettere in essere pratiche produttive capaci di massimizzare le potenzialità sia sociali che ecosistemiche che permettano a tutti di emanciparsi dalla fame253.

In linea con quanto scritto nei paragrafi precedenti l’unica alternativa perseguibile, per conseguire quella sostenibilità necessaria alla conservazione delle capacità produttive degli ecosistemi e all’emancipazione delle persone dal giogo della fame e dei mercati, sembra essere quella indicata dai contadini di Via Campesina, ovvero la “sovranità alimentare dei popoli”, cioè il diritto di ogni popolo a definire le proprie politiche agrarie in materia di alimentazione, a proteggere e a regolare la produzione agraria nazionale e il mercato locale per una produzione sostenibile, cioè basata sulla produzione familiare contadina e non sul modello industriale orientato all'esportazione254. Questa autonomia non significa autarchia, l’aiuto e la collaborazione esterna non sono esclusi, ma incentivati, perché è proprio con la creazione di reti cooperative che il sistema mira a trovare soluzioni alle varie problematiche legate alle produzioni. Significa, invece, sviluppare produzioni principalmente su piccola scala destinate all’autoconsumo,

251 S. Bellomo, New Deal contro la fame. cit., p. 44.

252 Si pensi al controllo monopolistico esercitato sulla produzione alimentare da una manciata di

grandi conglomerati che controllano il 90% dei semi geneticamente modificati e il 70% delle sementi del mondo. Gli agricoltori in molti paesi non sono più in grado di scegliere le sementi da piantare perché sono legati da contratti capestro alle multinazionali agro-alimentari. Quando esiste questo tipo di monopolio sul primo anello della catena alimentare non è possibile che ci sia libertà nel resto della catena (L. Celada, Il cibo è democrazia, intervista a Vandana Shiva, in “Il Manifesto” 12 settembre 2008, p.18).

253 Le possibilità ci sono, come già detto è stato calcolato che la terra potrebbe nutrire 10 miliardi

di persone che si alimentassero come gli indiani 5 miliardi che seguissero la dieta degli italiani; ma solo 2,5 miliardi con il regime alimentare degli statunitensi (http://www.report.rai.it/RE_stampa/0,11516,1077906,00.html). Occorre sottolineare come Stati Uniti ed Unione Europea siano gli artefici e gli esempi guida del modello di produzione alimentare qui criticato e come siano sempre loro a spingere per la diffusione di questo modello.

254

L’introduzione di modelli di sviluppo estranei alle realtà locali stanno accentuando lo stato di povertà delle popolazioni locali, dell’ambiente riducendone la sua ricchezza in termini di biodiversità. Pertanto l’unica soluzione attuabile è un ritorno ad una produzione locale capace di metter in essere delle pratiche biologiche, di tutelare la biodiversità e di produrre assieme alla natura (G. Fabbris, L’alternativa di Via Campesina, in “La Rivista del Manifesto” n. 40, giugno 2003 http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/40/40A20030616.html).

poiché la dimensione locale permette di tendere verso una tutela ecologica completa. Metodi colturali meno impattanti possono essere ottenuti con un’agricoltura biologica locale255 che concili due parametri complementari: l'innovazione tecnica e il ritorno a modalità più antiche di lavorare la terra, recuperando i saperi contadini rispettosi dell'ambiente e del suolo. Generalmente il metodo biologico, essendo ad alta intensità di lavoro, non richiede particolari capacità imprenditoriali o grandi investimenti256. Dovendo valorizzare al meglio la biodiversità entra in sintonia con l’ambiente e tiene conto delle strutture sociali e culturali locali; infatti è grazie all’utilizzo di varietà di piante locali, selezionate nel tempo dai contadini per le loro caratteristiche di produzione o di resistenza alle condizioni del luogo, ed a pratiche agronomiche tradizionali come le rotazioni colturali e le colture consociate (ad esempio per il Senegal miglio/arachide, mais/fagiolo o manioca\mais) che risulta possibile perpetuare la fertilità del terreno e ottenere una produttività anche maggiore rispetto alla monocultura257. Tuttavia non è da escludere il fondamentale apporto fornito dalla conoscenza scientifica. L’agricoltura biologica, poiché deve combattere patogeni e parassiti senza l’ausilio della chimica ed al contempo deve migliorare la qualità ottimizzando le rese, può ricavare grandi benefici dall’uso di tecniche d’avanguardia che consentono di aumentare l’efficacia dei metodi di coltivazione tradizionali258. I fertilizzanti e i pesticidi si possono eliminare grazie all’impiego

255 L’agricoltura ecologica locale ad alta biodiversità riduce di quasi la metà le emissioni di gas

serra, migliorando il nostro capitale naturale di piante, terra e acqua, rafforzando l’economia della natura, aumentando la sicurezza degli agricoltori, la qualità e il valore nutrizionale del cibo, la libertà e la democrazia (V. Shiva, Dall’era del petrolio a quella dei campi. cit).

256 L'uso di concimi naturali in concomitanza con la rotazione delle coltivazioni e dei maggesi può

abbassare i costi di produzione. Secondo studi effettuati dalla Fondazione per la scienza, la tecnologia e l’ecologia (con base a New Delhi) i redditi degli agricoltori possono triplicare se abbandonano l’uso di prodotti chimici e utilizzano al loro posto fattori produttivi tratti direttamente dalla biodiversità (paglia, letame,ecc.). Esattamente il contrario di ciò avviene con l'agricoltura industriale dove vi è sempre una maggiore richiesta di prodotti di sintesi (e quindi un aumento continuo dei costi) dovuto all’impoverimento costante dei terreni che questi stessi prodotti comportano (V. Shiva, La produttività dei piccoli contadini, Fiesole, La Fierucola, 2003, pp.25 ss.).

257 A parità di superficie sfruttata un sistema agricolo integrato offre un raccolto maggiore rispetto

ai rendimenti di una sola coltura. Se si considera solamente i prodotti edibili nella monocoltura il rendimento della pianta coltivata è maggiore rispetto al rendimento della stessa pianta coltivata in policoltura. Tuttavia se si considera invece la resa dell’intero sistema agricolo la policoltura offre rendimenti superiori, questo perché la biomassa ottenuta (legname, foglie, frutti, cibo, animali) permette di soddisfare molti dei bisogni del sistema senza fare ricorso ad input esterni rendedolo stabile nel tempo grazie alla rete di relazioni utili che si sviluppano tra gli elementi che vi partecipano (Ibidem).

258 Affiancare alle varietà di piante ereditate dalla tradizionale selezione contadina i metodi di

selezione tecnico-scientifici può aumentare ulteriormente la produttività delle coltivazioni. A titolo esemplificativo citiamo qui uno studio effettuato dall’Istituto di ricerca sulle colture CSIR di

di fertilizzanti organici, di preparati di origine naturale o di insetti cosiddetti antagonisti per la lotta ai parassiti. L’attuazione di forme di lotta biologica presuppone la comprensione di come intervenire sulle piante con molecole naturali, organismi predatori o parassiti, di come questi agiscono e si comportano nell’ambiente e di come questo risponda alla presenza di un nuovo organismo oppure ad una crescita smisurata della popolazione di quell’organismo. Altro aspetto importante per un’agricoltura sostenibile è la difesa dei suoli. L’impoverimento dei terreni non è collegato esclusivamente ai cambiamenti climatici ma può dipendere anche dalla loro cattiva gestione. Tali considerazioni risultano abbastanza recenti poiché le conseguenze delle tecniche convenzionali, in particolar modo dell’aratura, manifestandosi nel lungo periodo hanno determinato negli operatori del settore una certa negligenza nella tutela della salute dei suoli. Occorre notare che l’aratura, al pari dei trattamenti chimici, produce effetti dannosi sull’ambiente259: da una parte comporta la produzione di gas serra che si rilasciano nell’aria durante la lavorazione del terreno; dall’altra distrugge le sostanze organiche presenti e causa il compattamento dei terreni impedendo il drenaggio in profondità delle acque. Avendo, così, perso la capacità di trattenere l’acqua, i suoli si prestano a fenomeni di desertificazione e di erosione260.

Kumasi in Ghana su alcune patologie che colpiscono la manioca, tale ricerca ha permesso di selezionare delle varietà locali di questa pianta in grado di resistere ad alcuni parassiti e funghi e capaci di ottenere rendimenti di 23 t/ha rispetto alla media abituale di 11 t/ha (A. Carobene,

Prendersi cura delle piante, in “Nòva24” 28 Agosto 2008, p. 3). 259

L’aratro solleva la terra liberandone il carbonio contenuto che unendosi all’ossigeno dell’aria si trasforma in CO2, inoltre la terra a diretto contatto con gli agenti atmosferici si demineralizza e subisce fenomeni di lisciviazione. Il rapporto “Cool farming: Climate Impacts of Agricolture and mitigation potential” redatto da Pete Smith, dell’Università di Aberdeen, per conto dell’organizzazione ambientalista Greenpeace, sottolinea come il settore agricolo produce tra il 17 e il 32% di tutti i gas di origine umana (16,5 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio) la lavorazione convenzionale dei terreni contribuisce a questo impatto producendo delle emissioni di CO2 equivalente variabili tra i 440 e i 7360 kg per km² (http://www.greenpeace.org/international/press/reports/cool-farming-full-report ).

260 Una possibile soluzione potrebbe consistere nel seguire i metodi di funzionamento delle foreste

dove gli alberi trovano nutrimento dalla biomassa che si trova ai loro piedi: foglie, rami, micro organismi. Tale sistema trasferito alle attività agricole significa lasciare inerbiti i campi ed utilizzare, ove possibile, la pacciamatura in modo da far produrre al terreno la sostanza organica di cui abbisogna e coltivare senza arare e senza usare fertilizzanti chimici. L'inerbimento è una tecnica di gestione del suolo a basso impatto ambientale adottata prevalentemente per il controllo delle piante infestanti nell'interfila degli arboreti da frutto. La copertura che viene a crearsi sotto il manto erboso evita, a sua volta, il formarsi di piante infestanti essendo la maggior parte di queste incapaci di sviluppare all’ombra (http://it.wikipedia.org/wiki/Inerbimento). In diversi studi si è visto come dalla semina in un pacciame di vegetazione secca piuttosto che nella terra nuda si ottengano ottime rese agricole. Lucien Séguy, agronomo del CIRAD (Centre de coopération internationale en recherche agronomique pour le développement), nei suoi laboratori in Brasile ottiene le migliori rese dal cotone seminato nei residui vegetali delle coltivazioni precedenti.

Per i paesi poveri l’agricoltura biologica non è un lusso, permette costi minori, rese maggiori e tutela dell’unica risorsa di cui dispone l’ecosistema. Il biologico può rappresentare dunque una soluzione per sconfiggere la povertà recuperando i terreni impoveriti ed aridi; limitando il ricorso ad input esterni appare come un efficace strumento per ottenere la “sicurezza alimentare” e conseguire una certa sostenibilità delle produzioni261. E’ di fatto un’avanzata forma di agricoltura e allo stesso tempo, rispetto all’agricoltura industriale, ridimensiona e diversifica la filiera e restituendo, agli operatori un ruolo centrale nel processo produttivo. Solo con un’agricoltura di piccola scala si può davvero valorizzare la potenzialità di uno specifico territorio e adattarvisi valorizzando i molteplici benefici forniti dal suo ecosistema. Il concetto stesso di agro-ecologia, alla base del principio di sovranità alimentare, incorpora l’auto-organizzazione e la localizzazione della produzione. L’agricoltura di prossimità garantisce il controllo sulle risorse e sulla qualità delle produzioni e limita gli impatti legati al trasporto degli alimenti262. Le

Utilizza un pacciame prodotto dalla coltura associata tra una varietà di sorgo ed un erba (la Brachiaria) per il foraggio in grado di crescere all’ombra dei fusti del sorgo, una volta raccolti i semi e tagliata l’erba la biomassa rimanente schiacciata al terreno diventa il substrato su cui viene piantato il cotone. (E. Orsenna, Viaggio nei Paesi del cotone, Milano, Ponte alle Grazie, 2007, pp. 95 ss.). Considerati i problemi di erosione dei suoli che lo affliggono, tale tecnica, con gli adeguati adattamenti, potrebbe risultare utilissima in Senegal anche alla luce del fatto che sorgo e miglio sono le colture più diffuse del paese, si noti inoltre che entrambe la varietà di piante utilizzate da Lucien Séguy non richiedono molta acqua e si adattano perfettamente ai terreni aridi.

261 Il biologico, conservando le risorse; aumentando la produzione ed abbassando i costi (poiché

non comporta l’uso di input chimici o l’acquisto delle sementi), contribuisce a migliorare la qualità della vita degli agricoltori nei PVS e a renderli autosufficienti. Il Presidente di FederBio Paolo Carnemolla in un’intervista cita alcuni recenti studi, del Worldwatch Institute e dell’IFAD (International Found for Agricolture Development), che indicano come le coltivazioni biologiche possono portare ad avere, specie nel lungo periodo, rese uguali o addirittura superiori all’agricoltura convenzionale e come contribuiscono a ripristinare la sostanza organica nel terreno e, quindi, a difendere i suoli dalla siccità e dalla desertificazione, effetti tipici di un’agricoltura basata sull’impiego della chimica di sintesi (http://www.federbio.it/news.php?nid=120). Uno studio, realizzato dall’Università del Michigan, mette a confronto le rese del biologico con le rese dell’agricoltura convenzionale e mostra come per i paesi in via di sviluppo la disponibilità alimentare aumenterebbe se i sistemi oggi vigenti fossero trasformati con metodi di agricoltura biologica mentre se l’agricoltura dei paesi sviluppati, fosse coltivata con metodi biologici, in media le rese sarebbero inferiori, di un 10%, rispetto alle rese attuali (M. Jahi Chappell, Organic

farming can feed the world, University of Michigan Department of Ecology and Evolutionary

Biology, 2007, http://www.ns.umich.edu/htdocs/releases/story.php?id=5936 e http://www.foodfirst.org/files/pdf/backgrounders/bgr.100107final.pdf). Si nota come i buoni risultati dell’agricoltura intensiva e delle sementi migliorate sono limitati alle regioni dove è possibile investire ingenti capitali in coltivazioni estese, con molta acqua a disposizione e un gran dispendio di agenti chimici. Occorre poi rilevare come i miracoli della rivoluzione verde siano a corto termine, la produttività decresce e può essere mantenuta solo con apporti aggiuntivi di input esterni con le inevitabili conseguenze ambientali (V. Shiva, Dall’era del petrolio a quella dei

campi. cit., Id., Monocolture della mente. cit., pp. 27 ss).

262 Per il significato implicito che si può trarre dal termine biologico non si può parlare di cibi

biologici se questi per arrivare nei luoghi in cui vengono consumati devono percorrere migliaia di km. Il trasporto su lunghe distanze dei beni agricoli è una pratica estremamente collegata ai metodi dell’agricoltura convenzionale infatti una differenza sostanziale tra agricoltura biologica e

tecniche di lavoro in sintonia con la natura forniscono cibi più salutari263, ma non solo, il ritrovato ruolo dei contadini nel determinare le scelte colturali e la filiera corta disincentivano forme di sofisticazione, poiché il produttore, oltre ad essere consumatore delle sue coltivazioni, ha un diretto contatto con gli acquirenti264. La localizzazione come auto-organizzazione economica può assicurare la soddisfazione dei bisogni locali e costituire disincentivo alla migrazione rurale verso le città265.

convenzionale consiste nel livello di energia da fonti non rinnovabili introdotto nell'agrosistema: con l'agricoltura convenzionale si impiega un notevole quantitativo di energia ausiliaria proveniente da processi industriali (industria chimica, estrattiva, meccanica, ecc.); al contrario, l'agricoltura biologica si basa principalmente sulla materia organica sulla conservazione della sostanza organica del terreno e riduce al minimo l’impiego di fonti non rinnovabili. Inoltre i mercati agricoli a chilometro zero, dove si consuma cibo locale e di stagione commercializzando prodotti privi di imballaggi permettono di contenere i rifiuti. La filosofia dietro a questo diverso modo di coltivare le piante e allevare gli animali non è unicamente legata all'intenzione di offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o concimi chimici di sintesi, ma anche (se non di più) alla fondata volontà di non determinare nell'ambiente esternalità negative (http://it.wikipedia.org/wiki/Agricoltura_biologica).

263 Le ricerche più recenti concordano nel dire che gli alimenti biologici contengono più

antiossidanti e più nutrienti. Inoltre uno studio condotto da Legambiente ha rilevato come gli alimenti biologici siano gli unici del tutto esenti da contaminazioni da fitofarmaci (D. Fanelli,

Polemica verde, in “L'Espresso” 30 agosto 2007, http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Polemica-

verde/1732409 M. Dominici, et al. (a cura di), Pesticidi nel piatto, Dossier di Legambiente, Roma, maggio 2008, http://www.legambiente.eu/documenti/2008/0526_pesticidi_nel_piatto_ 2008/0526_Pesticidi2008.pdf). Un rischio potrebbe provenire dalle micotossine, sostanze naturali altamente cancerogene, la cui presenza sarebbe maggiore nelle produzioni biologiche, perché in questo tipo di colture non vengono impiegati antimuffa chimici. Queste muffe possono svilupparsi, in condizioni ambientali particolarmente calde ed umide, sulle ferite della pianta aperte dagli insetti nella fase di stoccaggio. Il rapporto della FAO redatto in occasione del congresso tenutosi a Porto nel luglio del 2000 esclude che le coltivazioni biologiche comportino un aumento del rischio di contaminazione da micotossine. E sottolinea come, sia nell’agricoltura convenzionale che biologica, buone pratiche agricole (limitando le infestazioni degli insetti parassiti) e di stoccaggio minimizzano i rischi di sviluppo e contaminazione da micotossine (Fao, Twenty-Second Regional

Conference for Europe (ERC), http://www.fao.org/Unfao/Bodies/Arc/RC2000-e.htm).

264 Si converrà che una produzione in loco, dove c’è un rapporto diretto tra produttore e

consumatore, offre maggiori garanzie sulla qualità rispetto ad una coltivazione industriale, prodotta in serie da una filiera agricola standardizzata e motivata dall’idea del profitto. Senza considerare che spesso i cibi destinati a compiere molti km sono colti prima del tempo di maturazione e cosparsi di conservanti chimici per evitare che marciscano.

265 Gli abitanti dei centri urbani hanno superato quelli delle campagne e continuano a salire a ritmi

vertiginosi allargando il divario. Entro il 2030, la popolazione urbana in Africa raddoppierà passando dagli attuali 373 milioni a oltre 759 milioni di persone: lo sostiene l’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani. La crescita della popolazione urbana è un fenomeno concentrato soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sia per cause legate ai processi che operano una destrutturazione delle aree rurali sia per il potenziale economico che rende i centri urbani opzioni sempre più attraenti per le popolazioni rurali. I processi di rapida urbanizzazione nei PVS non hanno implicazioni solo di natura ambientale (un aumento dell'impatto ecologico dovuto al nuovo stile di vita), ma anche di carattere economico e sociale che non possono e non devono essere sottovalutati. Nelle città si realizza una sistematica concentrazione di gruppi in condizioni disagiate, quindi con problemi di malnutrizione, spesso non sottoposti alle vaccinazioni in uso e, soprattutto, in condizioni igieniche precarie, infatti, molte delle attuali megalopoli dispongono di sistemi ed infrastrutture sull’orlo del collasso (http://www.unfpa.org/pds/urbanization.htm). Pur sapendo che la povertà porta al deterioramento dell’ecosistema (disboscamento, sovraccarico pastorale, ecc.) e quindi ad un peggioramento delle

Tali obiettivi si possono raggiungere solo con la collaborazione tra il potere politico e i contadini. La scelta dell’agricoltura biologica presenta difficoltà ma premia nel lungo periodo266. Il contadino, che le tecniche dell’agricoltura industriale hanno estrapolato dal processo produttivo e reso un semplice ingranaggio della filiera di produzione, deve riappropriarsi di pratiche e saperi tradizionali maturando allo stesso tempo la capacità di adoperare le moderne tecnologie. La distanza è un fattore che isola, le decisioni migliori si devono prendere laddove il loro effetto può essere percepito più chiaramente. Ciò non significa prendere ogni decisione a livello locale, ma che ogni scelta deve essere discussa e approvata anche a livello locale in modo da poter esercitare una sorta controllo sulla gestione statale delle risorse e delle politiche di sviluppo economico. Se è capace di effettuare una visione d’insieme dei bisogni di tutta la popolazione l’autorità pubblica può riuscire a orientare il sistema di produzione sia mettendo a disposizione le strutture necessarie allo sfruttamento agricolo sia regolando questo sfruttamento, in una sorta di cogestione che permette in casi di reale necessità di indirizzare le produzioni. Ordinariamente l’intervento statale deve essere volto al recupero ed alla conservazione dei saperi, allo studio delle