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Gli esiti della mediazione

2. LA MEDIAZIONE FAMILIARE IN ITALIA

2.5. Legge 8 febbraio 2006 n 54, c.d Legge sull’Affido

2.5.3. Gli esiti della mediazione

Come ho avuto modo di accennare nel paragrafo precedente, il tentativo di mediazione potrebbe: avere un risvolto negativo, ed in tal caso il giudice provvederà ai sensi dell’art. 337 ter; permettere il raggiungimento di un accordo in itinere, per cui il giudice, rilevata la necessità di ulteriore tempo per la formazione dello stesso, sentite le parti ed acquisito di nuovo il loro consenso, disporrà un ulteriore rinvio; oppure infine, perseguire il suo scopo, permettendo il raggiungimento dell’accordo finale, ed in questo caso il giudice provvederà alla sua omologazione nei modi e nei limiti previsti dalla legge.

Attraverso la mediazione, si possono raggiungere le più svariate finalità, dall’interesse verso la prole, al mantenimento dei rapporti, dalla gestione della quotidianità, a quella dei problemi economici. Con lo strumento de quo, tali fini possono essere appunto raggiunti e formalizzati in un accordo finale, la cui particolarità sta nel contesto all’interno del quale esso viene inserito, che non è più contraddistinto dalla litigiosità, ma da un clima in cui si cerca di raggiungere una combinazione che miri al bene reciproco. Concludere un accordo anche solo parziale, potrebbe dunque in ogni caso rappresentare un risultato comunque positivo, caratterizzato dalla opportunità che è stata concessa ai coniugi di ascoltarsi e dialogare, andando insieme alla ricerca di un comune interesse che possa soddisfare tutti, in primis naturalmente i figli, vittime per eccellenza di tali situazioni. Un modo dunque di affrontare il

conflitto, che produce inevitabilmente effetti positivi, a prescindere dal totale e definitivo raggiungimento dell’accordo.

Laddove, appunto, il tentativo di mediazione abbia un esito positivo, l’accordo raggiunto sarà destinato a tradursi in un atto, il cui valore dipende dall’oggetto dell’intesa e dallo stadio del procedimento nel quale viene ad essere inserita la mediazione.

Nel processo di separazione, qualora le parti arrivino al raggiungimento dell’accordo sulla opportunità di separarsi e sul regime di vita separata, il giudice procede a disporre la trasformazione del rito contenzioso, in un procedimento di separazione consensuale, con la successiva omologazione dell’intesa. Le cose cambiano nel caso in cui il tentativo di mediazione venga ad essere esperito nel corso di un processo di divorzio. Si è discusso, a tal proposito, circa l’applicabilità e la compatibilità della mediazione a tale rito, perché, se nella separazione essa mira, come detto appena sopra, all’omologazione dell’intesa, nel divorzio tale scopo sembra non essere possibile. Gli accordi in vista del divorzio, sono difatti ritenuti improduttivi di effetti ed è la stessa Cassazione a sostenere un orientamento contrario; in tal senso, “gli accordi dei coniugi diretti a fissare il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio sono nulli per illiceità della causa”71. Nonostante questo però, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006, le disposizioni in questione, si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili, o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Anche nel rito del divorzio, d'altronde, permane inevitabilmente il primario interesse della tutela della prole ed escludere una mediazione che abbia ad oggetto tale finalità, equivale a contrastare alcuni dei più importanti principi in materia, sanciti dalla nostra costituzione agli

                                                                                                               

artt. 3, 30 e 31. Fatte tali premesse, appare scontato dunque favorire quella che è l’estensione dell’istituto anche al rito del divorzio.

Peraltro, in tale contesto normativo, il Tribunale di Lamezia Terme ha emesso l’ordinanza del 26 maggio del 2008, che contribuisce appunto ad ampliare lo spazio di azione della mediazione familiare, enfatizzando il ruolo del giudice, centrale, anche nel rito del divorzio. Nel caso specifico, uno dei coniugi aveva interrotto la relazione con il congiunto, per instaurare un nuovo legame con un parente dello stesso. Si trattava, dunque, di una situazione particolarmente delicata, che inevitabilmente avrebbe leso l’interesse della figlia minorenne. Fu di fronte a tale particolare contesto, che il giudice, sentite le parti ed ottenuto il loro consenso, decise di rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 c.c. (ora art. 337 ter), per consentire ai genitori di intraprendere un percorso di mediazione familiare al fine di raggiungere, di comune accordo, una decisione in merito alla visita al coniuge non affidatario, sempre e comunque nell’interesse primario della minore. Ancora una volta, come si è opportunamente affermato in dottrina, “il Tribunale lamentino manifesta sensibilità verso un istituto neofita, quello ex art 155 sexies c.c. (ora, art. 337 octies), a cui è doveroso dare ampio respiro nella dinamica del procedimento di separazione e divorzio”72.

Secondo l’orientamento dell’ordinanza del Tribunale Lamentino, dunque, l’articolo in questione sarebbe applicabile in via analogica nel rito divorzile, poiché, anche di fronte ad una famiglia disgregata, all’interesse della prole è necessario offrire sempre la massima cautela. L’ordinanza precisa, inoltre, che tale estensione analogica, può essere postulata anche in forza del ricorso allo strumento dell’interpretazione adeguatrice o costituzionalmente                                                                                                                

72 CILIBERTO C., Cessazione degli effetti civili del matrimonio: conflittualità e

orientata, teleologica, o sistematica, in forza del richiamo al principio di ragionevolezza, ex articolo 3 della nostra Costituzione.

Vediamo dunque quali sono, nel caso dell’esperimento del tentativo della mediazione familiare nel rito del divorzio, le conseguenze del raggiungimento dell’accordo.

Nel processo del divorzio, se le parti concordano sullo scioglimento del matrimonio e sulle condizioni inerenti alla prole ed ai successivi rapporti economici, il giudice rimetterà la causa al tribunale in camera di consiglio, assoggettandola al tipo di rito previsto per l’ipotesi di divorzio su domanda congiunta. In questo modo l’intesa, dopo essere stata sottoposta alla valutazione giudiziale, potrà tradursi in una sentenza.

Infine, in ogni caso, se l’accordo raggiunto delle parti si riferisce alle sole misure relative all’affidamento dei figli e al contributo al loro mantenimento, cura, istruzione ed educazione, senza risolvere nessun altro profilo, allora il tribunale, nella pronuncia di separazione o divorzio, dovrà, dopo aver valutato che questo non sia contrario all’interesse dei figli, tenere in considerazione tale accordo, trasferendo il relativo contenuto nella sentenza.

Concludendo, appare opportuno richiamare l’affermazione secondo la quale “la ratio sottesa alla mediazione non è tout court quella di confezionare un patto geminato dalle ceneri dell'affectio

coniugalis venuto meno (ottica formalistica), ma, al contrario (ottica

sostanzialistica) quello di evitare che la crisi della famiglia pregiudichi, in modo irrimediabile, i rapporti che da quella società "naturale" erano sorti. Si passa, cioè, da un'ottica in cui l'accordo

compone la lite, ad un'ottica in cui le relazioni familiari si compongono con l'accordo”73.

                                                                                                               

73 SPADARO G., La mediazione familiare nel rito della separazione e del