3. LA MEDIAZIONE FAMILIARE TRA TEORIA E PRASSI
3.7. Ruolo dei figli nella mediazione familiare
Una questione molto controversa, una volta avviato il processo di mediazione familiare, riguarda l’opportunità o meno che i figli partecipino agli incontri di mediazione.
Va premesso che la problematica in questione sorge anche dal fatto che, prendendo a paragone le relazioni commerciali, lavorative, professionali, si nota come in queste la conciliazione si ritiene possa produrre un risultato al meglio soddisfacente per l’interesse delle parti, ove vi sia la partecipazione, durante gli incontri di
conciliazione, di altri soggetti, i terzi rilevanti, il cui ascolto e la cui presenza, sono in grado di condizionare l’esito dell’accordo finale.
Del resto, in una coppia con prole, la gestione della situazione familiare futura, anche dopo la separazione o il divorzio, spetterà alle parti della coppia, che restano genitori e che, in quanto tali, dovranno relazionarsi con i propri figli. La questione tuttavia, non è così semplice, stante il fatto che nel caso di specie, il c.d. “terzo rilevante” riguarderebbe un soggetto in posizione sicuramente delicata. Per tale motivo in dottrina vi sono orientamenti piuttosto discordanti e questa volta, non derivanti dalla scelta dell’uno o l’altro modello di mediazione familiare, ma piuttosto dalla posizione che viene assunta in riguardo all’utilità o meno di far intervenire il figlio, rapportata alle conseguenze che possono derivarne.
Vi è allora chi ritiene maggiormente inutile, o addirittura dannosa la presenza della prole: sia per il fatto che in realtà la mediazione familiare è rivolta direttamente alla coppia, che sarà in grado di aiutare se stessa o i figli, soltanto se ritrova fiducia ed equilibrio; sia perché non possono sottacersi i rischi che potrebbero derivare dalla partecipazione della prole, che dovrebbe subire sconvolgimenti o inutili pressioni derivanti dalla sottoposizione a domande, nonché ritrovarsi in mezzo a discussioni che potrebbero turbare maggiormente il suo essere. In conclusione, secondo tale dottrina, è totalmente inopportuno il coinvolgimento dei bambini nel processo, e anzi, l’esperto mediatore dovrebbe piuttosto impegnarsi a lasciarli in disparte, per salvaguardarli da inutili pressioni emotive.
Altra dottrina ritiene di poter parlare, invece, di coinvolgimento indiretto della prole nel procedimento di mediazione, nel senso di aiutare le parti in conflitto a concentrarsi sui propri figli, evidenziando la continuità del loro impegno in qualità di genitori, nonostante la rottura come partner e, in ultima istanza, coinvolgerli soltanto laddove vi siano questioni relative agli stessi ed i genitori
non assumano una posizione stabile in merito ai loro bisogni e soprattutto al fine di verificare i sentimenti, le opinioni e le emozioni derivanti dalla constatata rottura familiare.
Altri, infine, ritengono di dover incoraggiare la presenza dei figli nella mediazione familiare, in modo tale da coinvolgere gli stessi attivamente, con tutti gli accorgimenti del caso, nel processo di analisi della famiglia di appartenenza, in cui possono essere d’aiuto a raggiungere decisioni, dalle quali spesso e volentieri vengono esclusi. Un coinvolgimento che potrebbe essere utile a facilitare il processo di adattamento dei figli alla nuova situazione familiare, rendendoli consapevoli e dandogli la possibilità di poter essere ascoltati dai genitori, nel tentativo anche di condurre l’intera famiglia verso il miglioramento della comunicazione.
3.7.1. Il figlio ed i loro “diritti”. Cenni all’art 336-bis c.c.
Generalmente si pensa che i figli abbiano bisogno di cure e protezione e spesso essi sono visti esclusivamente come le vittime della separazione, o del divorzio, senza però pensare che oltre ad essere bambini sono anche soggetti di diritto, che potrebbero essere consultati ed ascoltati, pur senza dare loro responsabilità decisionali. In tale ottica, si va sempre più riconoscendo, nel tempo, anche i diritti dei figli, oltre che i loro bisogni. Più precisamente, il diritto del minore a far in modo che i propri desideri e sentimenti vengano presi in considerazione, è sostenuto nell’articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989, che sottolinea l’importanza di dare peso al punto di vista del minore, anche in relazione all’età e alla maturità dello stesso.
In conformità, allora, a quanto al riguardo previsto in sede di convenzioni internazionali e di conseguente armonizzazione dei
diritti dei diversi paesi, si ravvisa anche nel nostro ordinamento, l’esigenza di conferire maggior rilievo alle opinioni e ai desideri dei figli, nel momento della crisi coniugale. Al riguardo, la legge sull’affidamento condiviso del 2006, ha opportunamente previsto al 1° comma dell’articolo 155-sexies c.c., che nei procedimenti relativi alla crisi della coppia genitoriale, il giudice dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto dodici anni o anche di età inferiore, se è capace di discernimento. Tale articolo, che nonostante i privilegi allo stesso attribuibili, risultava essere alquanto scarno, è stato successivamente abrogato, con decorrenza dal 7 febbraio 2014, dall'art. 106, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che dispone, ex art. 53, l’inserimento della disciplina relativa all’ascolto del minore nell’odierno articolo 336-bis c.c105, ampliando e definendo la precedente disciplina.
L’articolo 336-bis c.c. ha infatti chiarito, rispetto al precedente articolo 155-sexies, 1° comma, quali sono le modalità applicative e i limiti, definendo altresì lo svolgimento dell’eventuale audizione.
L’ascolto non deve essere in contrasto con l’interesse del minore ed è condotto dal giudice, che può avvalersi di eventuali ausiliari o esperti. Si prevede, altresì, la possibilità di partecipare all’ascolto, per i genitori, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore ed il pubblico ministero, che possono anche proporre temi
105 Art. 336-bis c.c. Ascolto del minore. Il minore che abbia compiuto gli anni
dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato.
L'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento. Prima di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video.
di approfondimento. Il minore, infine, deve essere informato della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto, del quale viene redatto processo verbale o effettuata registrazione audio video.
Se allora l’ascolto del minore è diretto a recepire nel processo la sua opinione, il suo vissuto, le sue istanze e le sue esigenze, al fine del raggiungimento di decisioni da adottare in provvedimenti che lo riguardano, tale coinvolgimento della prole non può che essere d’aiuto anche al processo stesso di mediazione familiare. L’interesse che muove la mediazione può essere, del resto, dal giudice rinvenuto anche e soprattutto nella situazione giuridica soggettiva, da tutelare, che fa capo ai figli, minorenni o maggiorenni, non ancora usciti dal nucleo familiare e bisognosi della genitorialità.
È infine da sottolineare come, accompagnare i genitori nella consapevolezza della necessità di rispettare il figlio, lasciandolo liberamente esprimere, ed aiutarli ad elogiare il momento dell’audizione, rendendolo libero da ansie, è uno dei compiti del mediatore familiare. La buona riuscita di tale compito, risulta già essere sintomo della ricostruzione di quel dialogo familiare che costituisce già di per sé, uno degli obiettivi del percorso di mediazione.