4. LA MEDIAZIONE FAMILIARE NELLE ESPERIENZE
4.1. Esperienze Europee
4.1.1. La mediazione familiare in Inghilterra
Il primo Stato che ritengo opportuno andare ad analizzare è il Regno Unito, se non altro perché rappresenta il primo paese europeo in cui è nata la mediazione familiare, in conseguenza ad una forte influenza statunitense, e con modalità per lo più divergenti rispetto ad altri paesi.
Il modello di famiglia tipicamente disciplinato in Inghilterra, è quello basato sull’unione coniugale, per proteggere il quale nell’ordinamento giuridico inglese si sono susseguite negli anni diverse norme relative alla regolamentazione della separazione e del divorzio, imponendone non poche limitazioni. Ed è nella stessa prospettiva di salvaguardare il legame matrimoniale, che fu introdotta la mediazione familiare inglese.
Le prime esperienze di tecniche di composizione dei conflitti familiari sono datate alla metà degli anni ’70, quando fu istituita una commissione presieduta da Sir Finer, con l’obiettivo di analizzare quali fossero gli strumenti considerati più adatti a promuovere la conciliazione nelle famiglie inglesi in situazioni di crisi, al fine di ridurre i costi dei tradizionali iter processuali. In realtà, il primo intervento ufficiale da parte degli organi governativi, fu quello diretto a favorire un meccanismo di conciliazione nelle cause di divorzio, attraverso l’emanazione il 27 gennaio 1971, da parte del presidente della Family division della High Court, della Practice
direction on matrimonial concliation, dove si prevedeva che nelle
cause di divorzio, il giudice potesse rimettere le parti al Divorce
County Court Welfare Office, un ausiliario del giudice inglese.
Tuttavia, nonostante il successo dell’emanazione della practice
direction, l’impatto nella prassi giudiziaria fu minimo.
La reazione giudiziaria si ebbe con la County Court di Bristol, la prima a proporre alle coppie in crisi il conciliation appointment, consistente in un incontro preliminare con un ausiliario dell’ufficio
della corte, con l’obiettivo di valutare la possibilità di raggiungere accordi tra le parti. A Bristol, inoltre, nacque un servizio indipendente di mediazione familiare, sfociato nell’istituzione, nel 1978, del Bristol Courts Family Conciliation Service, un primo centro di mediazione completamente indipendente dall’organizzazione giudiziaria.
Nonostante l’ancora assente intervento normativo, la mediazione familiare continuava a diffondersi, sia presso l’ufficio ausiliare del probation officer, che richiama i nostri servizi sociali; sia presso il welfare officer, ausiliario giudiziario con il compito di verificare il grado di benessere dei figli; sia, infine, presso organismi indipendenti con l’obiettivo di risolvere tutti i conflitti nascenti all’interno della crisi coniugale. Accanto al probation officer e ai servizi indipendenti e volontari, iniziò a diffondersi il tentativo di mediazione operato dai Magistrates, o giudici in-court, fino a rilevare, attraverso gli studi di una commissione incaricata dal Lord
Chancellor nel luglio 1982, l’opportunità di far assistere le parti da
un mediatore neutrale, che avrebbe dovuto semplicemente suggerire loro una soluzione. Il ricorso alla mediazione familiare era ancora volontario, ma di li a poco, il Principal Registry di Londra stabilì che nei procedimenti di divorzio in cui si dovevano adottare provvedimenti relativi alla prole, il conciliation appointment era obbligatorio.
Nel 1995 vennero diffusi dal Governo: il Green paper, che definiva la mediazione familiare come il miglior sistema per individuare i matrimoni riconciliabili; e il White paper, che evidenziava la finalità della mediazione familiare di favorire la comunicazione tra le parti, così da poter raggiungere accordi comuni e riconciliazioni legali. Due documenti che influenzarono, poco tempo dopo, l’emanazione del Family Law Act (F.L.A.) del 1996, una importante legge in tema di mediazione familiare, che
disciplinava i processi di separazione e divorzio in Inghilterra e Galles ed ammetteva la necessità di avvalersi della mediazione familiare, tutte le volte in cui risultava possibile raggiungere una soluzione stragiudiziale. Il legislatore del ’96, dunque, favoriva una gestione del conflitto coniugale, al di fuori dall’esclusivo ambito tecnico-giuridico.
Il principale obiettivo della legge in questione, in realtà, è sostanzialmente quello di salvaguardare innanzitutto l’unione coniugale, ma laddove questo non possa verificarsi, il ruolo centrale è da attribuire alla mediazione familiare. Prima di giungere allo scioglimento del vincolo matrimoniale, dunque, i coniugi affrontano un lungo percorso, basato soprattutto sull’informazione e sul supporto alla famiglia.
Nello specifico, il primo passo effettuato è quello dell’information meeting, in cui la coppia riceve informazioni sulle attività di supporto per la famiglia in crisi, sulle questioni economiche da affrontare nella fase di separazione e divorzio, nonché informazioni sull’attività di mediazione familiare ed i suoi vantaggi. Tale prima fase è prevista nella Section 8 della FLA, che la impone come una sorta di condizione di procedibilità.
Dopodiché, si passa alla fase della riconciliazione, prevista dalla Section 9 della legge, in cui si fa riferimento agli accordi determinati dalle parti (auto-mediazione), gli Agreement for the
future, da sottoporre al giudice, che ne verificherà la tipologia e il
contenuto. La Section 13, invece, è espressamente dedicata alla composizione delle controversie, Resolution of disputes e prevede che il giudice, qualora riceva la dichiarazione dei coniugi di irreversibile fallimento dell’unione matrimoniale, c.d. Breakdown
marriage, in ogni momento del procedimento in corso può, su
richiesta delle parti o d’ufficio, indirizzare i coniugi verso la mediazione familiare (etero-mediazione). Il giudice deve incaricare
un mediatore da lui scelto che, dopo aver prestato il proprio consenso, condurrà l’incontro tra le parti e predisporrà infine una relazione, c.d. report, nella quale deve specificare che le parti hanno accettato l’invito a procedere alla mediazione, indicare l’attività svolta e l’esito della stessa, con l’ulteriore obbligo di informare il giudice dell’avvenuto accordo o viceversa.
Altra parte della F.L.A., che è necessariamente da prendere in considerazione, è quella in cui viene richiamato il Legal Aid
Board108, istituito con il Legal Aid Act del 1988, relativo alla figura del mediatore, il quale, si specifica, deve seguire il codice di condotta, Code of practice, nonché alla volontà delle parti di partecipare alla mediazione e alla necessità che sia assente qualsiasi forma di violenza o timore. Viene, inoltre, specificata la possibilità di valutare la riconciliazione attraverso la mediazione, nonché l’opportunità di una consulenza legale indipendente.
Il FLA può essere, in sostanza, definito come un traguardo legislativo che ha portato a risultati eccellenti ed anche in virtù delle disposizioni contenute in tale legge, l’istituto della mediazione familiare in Inghilterra, ha ricevuto negli ultimi anni un notevole incremento, divenendo nella pratica dei procedimenti di separazione e divorzio, una fase quasi indispensabile.
Lo stesso, tuttavia, non può dirsi per la figura dei mediatori familiari, ai quale il legislatore non ha invece prestato molta attenzione, non prevedendo un parallelo sviluppo della loro formazione e crescita professionale. Ciò che manca, è una efficace regolamentazione legislativa dei requisiti minimi di professionalità e per ovviare a tale vuoto, tutti i professionisti inglesi che svolgono attività di mediazione aderiscono appunto ad un codice deontologico,
Law Society Code of Practice for Family Mediators, che definisce il
mediatore come un terzo neutrale ed imparziale, che non ha alcuna
108 Parte III della Family Law Act, relativa al Legal Aid for Mediation in Family
autorità per prendere decisioni relative ai diritti di proprietà, alle questioni finanziarie o qualsiasi altra questione che possa sorgere durante i conflitti, ma che può aiutare le parti a raggiungere le decisioni che sono in ogni caso frutto, esclusivamente, della loro volontà manifestatasi durante il percorso di mediazione.
Soltanto nel 2011, sono state pubblicate, infine, le Family
procedure rules109 (FPR) in materia di mediazione civile e commerciale, grazie alle quali si è realizzata una maggiore omogeneità delle norme anche nell’ambito del diritto di famiglia, riconoscendo maggiori poteri al giudice e manifestando l’intenzione di inserire la mediazione all’interno del processo, al fine di creare un unico sistema di norme specifiche per le corti che si occupano di processi di famiglia, così da poter sostituire le vecchie frammentarie disposizioni.
Per far questo, le nuove disposizioni si adeguano alle civil
procedure rules emanate nel 1998, che prediligono la risoluzione
alternativa delle controversie, con l’obiettivo anche di poter ridurre i tempi procedurali. Parallelamente sono state emanate delle practice
directions, approvate dal presidente della Family Division ed entrate
in vigore il 6 aprile 2011, che descrivono e specificano le rules. La practice direction 3A, in particolare, delinea l’ambito oggettivo di applicazione della mediazione, relativo alla categoria dei
relevant family proceedings, ovvero i procedimenti che hanno ad
oggetto la sorte della prole, ad eccezione dei procedimenti esecutivi e di quelli instaurati per ottenere un risarcimento danni. Il giudice partecipa attivamente per spingere le parti a valutare tutte le possibili ipotesi per la soluzione della lite e già nella prima udienza, affiancato da un ausiliario, discute con le parti sulla possibilità di risolvere la controversia in mediazione. Questo tipo di intervento è incentivato
109 Le Family Procedure Rules sono entrate in vigore il 6 aprile 2011, emanate in
attuazione della Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.
dal fatto che tutti coloro che ricorrono al giudice devono seguire un
pre-application protocol, il che vuol dire che viene effettuata una
valutazione, con l’affiancamento di un mediatore, per verificare se la causa è risolvibile attraverso la mediazione. Si tratta di una valutazione concreta, caso per caso, sulla concreta possibilità di percorrere una via alternativa.
Oggi insomma il processo davanti al giudice non rappresenta più, in Inghilterra, la via ordinaria ed ottimale per la risoluzione delle controversie in materia familiare, soprattutto laddove la decisione da prendere riguarda l’affidamento dei figli. Le nuove regole stabilite dalle Family procedure rules, a tal proposito, rispetto alla precedente
Family law act, rappresentano una soluzione più flessibile e
bilanciata, che maggiormente si avvicina alle esigenze che sono sorte dopo l’esperienza di mediazione familiare, svolta dagli organismi privati. D’altra parte va messo in luce come l’intervento del terzo imparziale è sicuramente ottimale e decisivo per la risoluzione di un conflitto, ma è anche vero che imporre alle parti un tentativo di mediazione a prescindere dal caso concreto, come predisponeva la
Family Law Act, potrebbe risultare controproducente e sfociare in
situazioni esasperate. È per tale motivo che le nuove Family
Procedure Rules, stabiliscono numerose eccezioni all’obbligo di
avviare una mediazione, attraverso l’allegato c) della practice
direction 3A, che elenca tutti i casi in cui le parti possono non
richiedere la procedura di mediazione, comprendendo tra questi, quelli di violenza domestica, o quelli in cui vi sia il rischio di incolumità per i figli, in cui la particolare situazione non permetterebbe il raggiungimento di un accordo in mediazione, e si risolverebbe unicamente in un appesantimento della procedura ordinaria.