2. LA MEDIAZIONE FAMILIARE IN ITALIA
2.3. I primi interventi normativi in materia d
2.3.1. Legge n 285/1997
L’esigenza di definire a livello normativo l’istituto della mediazione familiare, comparve in seguito a vari interventi normativi susseguitisi nel tempo.
La strada verso il riconoscimento della mediazione in ambito familiare è stata difatti aperta da alcune coraggiose pronunzie giudiziarie e da atti legislativi diretti a promuoverne lo sviluppo. Il primo vero e proprio riferimento legislativo in materia lo si registra con l’ingresso nel nostro ordinamento, della legge 28.8.1997, n. 285, c.d. legge Turco-Napolitano, rubricata “Disposizioni per la promozione di diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, con la quale è stato istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, che ha lo scopo di favorire la promozione dei diritti dei fanciulli, attraverso interventi a livello nazionale, regionale e locale.
L’art. 456 alla lettera i) della suddetta legge, prevedeva i servizi di mediazione familiare e di consulenza per famiglie e minori al fine di superare le difficoltà relazionali. Riconoscimento quest’ultimo molto significativo, se si pensa che ha consentito ai centri di mediazione familiare già esistenti, di avere accesso, oltre che ai finanziamenti stanziati dagli enti locali presso cui erano stati istituiti, altresì ai fondi erogati a livello nazionale direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri competenti.
In riferimento alla legge in questione, due sono gli aspetti che preme mettere in rilievo.
56 Articolo 4, legge 28 agosto 1997, n. 285, rubricato “Servizi di sostegno alla
relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo assistenziali”.
In primo luogo, la legge del 1997 ribadisce che la mediazione familiare è considerata dall’ordinamento prevalentemente uno strumento giuridico con la finalità di perseguire una migliore tutela dell’interesse dei minori. Tale impostazione, come vedremo in seguito, è stata riproposta dalla legge sull’affidamento condiviso del 2006, in linea con la definizione di mediazione approvata in molti codici deontologici, ma anche con l’importante “Convenzione europea sull’esercizio dei diritti da parte dei minori” approvata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata in Italia con la legge 20 marzo 2003, n. 77. L’art 13 della Convenzione in parola, incoraggia infatti il ricorso alla mediazione familiare, “al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare procedimenti che coinvolgono minori dinanzi ad un autorità giudiziaria”.
Una questione di fondamentale importanza è quella del coinvolgimento diretto dei minori nella mediazione familiare, per la quale non esiste, neanche tra i mediatori stessi, opinione unanime. Le diverse opinioni sul punto, tutte peraltro ugualmente legittime, fanno dedurre che la tutela degli interessi dei minori attraverso la mediazione e il sostegno alla relazione genitori-figli di cui parla la stessa legge 285 del 1997, possono realizzarsi anche in maniera indiretta, senza la partecipazione dei minori agli incontri di mediazione, in quanto potrebbe compromettere non solo il buon esito della stessa, ma anche la neutralità del mediatore.
In secondo luogo è da prendere in considerazione un altro aspetto che la legge n. 285 mette in evidenza, ossia il riferimento che l’art 4. fa sia ai servizi di mediazione, sia a quelli di consulenza per la famiglia e i minori, distinguendo a tal proposito, le figure professionali dei mediatori familiari e dei consulenti familiari. In un brano si sottolinea con chiarezza il confine tra l’attività del mediatore e quella del consulente: “il mediatore familiare è quel professionista deputato a svolgere una funzione di composizione. Imparziale e
neutrale, deve aiutare le parti a negoziare, ponendosi al di sopra del conflitto; è tenuto a rispettare le opinioni delle parti, a difendere la parità delle posizioni nell’ambito della trattazione; non deve (ne può) imporre soluzioni; deve prestare particolare attenzione al benessere e all’interesse superiore dei figli. Dunque, compito del mediatore non è quello di aiutare le parti a mantenere (o rafforzare) l’unione, bensì quello di cercare di aiutarli a dialogare in vista della separazione o del divorzio, tenendo conto di tutti gli interessi coinvolti. Consulenti familiari sono quei professionisti che trattano questioni relative a singoli, coppie, famiglie, anche per problemi riguardanti la prole. Per quanto qui interessa, giova sottolineare che il campo di azione del consulente familiare è ampio e tende a fare riacquistare, alla coppia, quel rapporto armonico che –nel tempo- si è deteriorato, e la cui assenza incide negativamente anche sui figli. In altri termini, il consulente familiare tende a rafforzare il legame tra i coniugi e tra i genitori ed i figli, nel rispetto delle loro convinzioni etiche”57.
Si può dunque notare come lo scopo del mediatore familiare, non è quello di far rientrare il conflitto, quanto piuttosto quello di mettere le parti in condizione di affrontare i problemi in maniera più costruttiva, stabilendo, se così si può dire, le regole entro cui esse possono continuare a discutere, qualora quella fosse la loro volontà. La legge 285 condivide appunto questa posizione, laddove mette in risalto la netta separazione dei ruoli, così da evitare sovrapposizioni che potrebbero rilevarsi inopportune.
Chiusa questa parentesi, è da sottolineare in questa sede, come una delle finalità della legge de quo, sia quella di dare attuazione ai principi raggiunti con la Convenzione di New York del 1989, c.d. Convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva in Italia con la legge n. 176/1991.
57 SIGILLO’ V., Il mediatore familiare può considerarsi un ausiliario (atipico) del
Altro richiamo alla mediazione familiare, è stato effettuato successivamente con il DPR 13 giugno 2000, attraverso il quale è stato approvato il Piano Nazionale di azione degli interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva per il biennio 2000-2001, riconoscendo a tal proposito la necessità di sostenere lo sviluppo dei servizi di mediazione familiare.
2.3.2. Legge 4 aprile 2001, n. 154: la mediazione familiare e la