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4.1.1 “Spiritual” e Cerchi Sciamanic

4.4 Esotismo e Alterità: Toponomastica e artigianato

4.4.1 Toponomastica

Si è parlato sin qui di eventi spirituali, in contrapposizione a festival tematici sui nativi americani, poi di sincretismi religiosi e di ritorno alla natura. Se l’idea che traspare da queste descrizioni è quella che solo quando si parla di spiritualità si ha a che fare con appropriazione e esotismo, allora è necessario affrontare un’altra questione. L’esotismo va di pari passo con un’idealizzazione dell’alterità, che può essere elaborata come stili di vita alternativi, ma anche come curiosità nei confronti di una cultura diversa. La maggior parte delle associazioni analizzata, pur in una diversità di intenti e approcci, presenta un certo grado di esotismo nei

147 Intervista luglio 2016; conversazione informale con Meco, luglio 2018. 148 Note di campo, conversazione informale tra Meco e Gualtiero. 6 luglio 2018. 149 Parole di Gualtiero in una conversazione informale, luglio 2018.

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confronti dell’Altro.

Si è riscontrato, in particolare, un uso specializzato di nomi esotici e “nativizzanti” per descrivere luoghi geografici locali, vicini, familiari. In questo modo, dunque, anche in un’ottica turistica si rende sconosciuto il conosciuto, e dunque attrattivo. I Nativi della Terra- Sciamanesimo Arcobaleno sono stati i primi interlocutori virtuali analizzati, e in effetti loro fanno ampio uso di questo tipo di toponomastica, anche in quanto esperti in marketing150.

Per esempio, l’utilizzo di “Nonna Quercia”, “Picco dell’Aquila” o “Foresta dei Giganti” illustra bene quanto detto sin qui. Anche Meco, però, utilizza questo metodo, e lo si può notare anche nei nomi dei tepee e dei punti focali del Villaggio. Tuttavia, Meco “nativizza” anche i suoi interlocutori, i visitatori che si recano al villaggio diventano personaggi esotici, “piccoli e grandi guerrieri”, nei resoconti pubblicati quotidianamente sulla pagina Facebook del Villaggio151. Persino gli eventi atmosferici diventano parte di una cosmologia nativizzata,

come “pioggia bambina”, “neve bambina”, “il popolo dell’Erba”, “il popolo Alato”152. In

ultimo, anche se in maniera più lieve, anche Jitka utilizza i social allo stesso modo, specialmente da quando l’associazione ha una sede fissa in Valmorel. Non con la medesima frequenza di Meco, ma almeno una volta a settimana, Jitka pubblica una foto del paesaggio montano in cui ora si trovano, Valmorel appunto, richiamando l’idea dei panorami “selvaggi” e “incontaminati” dell’America. Per esempio, nella foto di una parete rocciosa dalla forma particolare, ha proprio richiamato l’idea del Gran Canyon, affermando che era invece possibile trovare quei panorami anche lì, dove loro si trovano. In conclusione, anche la leggenda che Mariano ha letto prima di iniziare a spiegare come creare un acchiappasogni rientra in un linguaggio esotizzante. Piume, leggende, sogni: la storia ben rappresenta l’idea che l’occidente ha dei nativi americani, e in particolare della loro cosmologia, tra animali parlanti, pipe, e verità oniriche. Il linguaggio stesso con cui è scritta questa leggenda fa pensare ad una favola per bambini, ad una leggenda onirica, a qualcosa di assolutamente Altro da noi, come del resto molti dei racconti o biografie di personaggi celebri nativi americani.

150 Il fondatore dei Nativi della Terra, Riccardo Fioravanti, dice di aver creato un metodo che ha

chiamato “marketing circolare”, in cui l’ecologia è posta all’interno dell’economia. Utilizzando inoltre questo tipo di descrizioni esotistiche, creano attrazione in qualcosa di altrimenti conosciuto e riconosciuto.

151https://www.facebook.com/parcoindiano.incontrinativi/ (ultimo accesso, giugno 2019) 152 Ibidem

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4.4.2 Arte e Artigianato

L’appropriazione, come già accennato, è non solo spirituale, ma anche materiale, e dunque se ne può parlare anche mentre si acquista un oggetto “in stile nativo”, come un acchiappasogni, oppure un pezzo di legno di Palo Santo, albero sacro del Perù, per purificare gli ambienti e le aure, ma anche più semplicemente coltivando una vera e propria collezione. Al Lago Lungo la mia attenzione è stata rivolta principalmente sulla produzione di artigianato, mentre all’Indian Village, e soprattutto durante l’inaugurazione del museo a gennaio, ho avuto modo di sperimentare invece una prospettiva completamente diversa, quella del collezionismo. Gualtiero e Katiuscia, ma anche Raul e Armando, Alessandro e Jitka, Gilbert e Miriana, Bo e Savannah sono stati gli attori principali della produzione di oggetti, per quanto anche Simon, Cody, Sofia, Meco e Mariano mi abbiano messo a parte con una loro concezione di artigianato e produzione di manufatti (Fotografia 4). Già Simon, infatti, mi aveva introdotto alla questione, affermando che per i nativi americani la creazione di un oggetto coincide con la produzione di artigianato153. Ciò significa, semplicemente, che

un oggetto nativo americano non può essere solo funzionale, ma deve avere anche una decorazione di tipo simbolico, soprattutto se si tratta di un accessorio o indumento da indossare. Sofia, invece, mi ha insegnato come indossare l’artigianato, mostrandomi come utilizzare una striscia di perline per abbellire la capigliatura. Da Mariano ho imparato a fare un acchiappasogni – che a sua volta l’aveva imparato da Gualtiero – in una sorta di workshop improvvisato durante l’evento in Villaggio. Bo e Savannah producono accessori, come orecchini di madreperla o con le piume, ma anche acchiappasogni e oggetti più complessi. Gualtiero e Katiuscia producono una vasta serie di oggetti, dalla bigiotteria ai mocassini, dalle piume rituali decorate a mano, al portachiavi. Allo stesso modo, Alessandro e Jitka producono collanine e orecchini più semplici o acchiappasogni, mentre Gilbert e Miriana oggetti un po’ più elaborati. Raul e Armando, infine, lavorano materiali più difficili come i metalli e il legno (Fotografia 5). Ognuno, insomma, mi ha insegnato qualcosa, mostrandomi come utilizzare ciò che avevo acquistato, o come lo avevano loro stessi prodotto, o semplicemente in che modo e misura utilizzavano prodotti realizzati da sé.

Queste azioni sono state importanti per capire che, almeno per quanto riguarda l’artigianato, non vi è la stessa paura di un’appropriazione, quanto piuttosto un desiderio di diffusione e

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divulgazione. Ovviamente, si dà per scontato che tutto ciò venga trattato con rispetto. Cody, per esempio, ammette che alcuni oggetti da lui considerati sacri non li vorrebbe vedere indossati come decorazione da non nativi, tuttavia riserva a queste persone il beneficio del dubbio, ricordando la diffusione dell’adozione154. Se una persona viene adottata da un nativo,

allora è accettabile che, per esempio, indossi un sacchetto per il tabacco, oppure possegga un coltello rituale. La sacralità di alcuni oggetti, in contrapposizione con altri, considerati semplicemente decorativi, permette di introdurre anche la spiritualità nell’ottica dell’artigianato, oltre che dell’appropriazione. A questo proposito, non posso non fare accenno a quanto Gilbert ha esplicitamente detto155, in riferimento proprio all’appropriazione

dell’occidentale verso la spiritualità nativa. Egli, infatti, alle domande postegli dai partecipanti riguardo alla spiritualità lakota, risponde con un’ammonizione. L’occidentale deve ritornare alle proprie radici per trovare una spiritualità tradizionale, nativa, come quella che cerca tra gli indiani d’America, perché in realtà non sono poi tanto diverse. «Ritrovate la vostra tradizione e lasciateci la nostra» è diventato il motto della mia ricerca da quel momento in poi, applicandolo sì alla spiritualità e all’appropriazione perpetrata dalle correnti New Age, ma anche ad una più dilagante e sottile, che riguarda sia l’artigianato che un vero e proprio stile di vita. Le parole conclusive del discorso di Gilbert, infine, danno un’idea ancora più forte di quanto radicata sia l’appropriazione della cultura altrui da parte degli europei:

[…] nelle riserve è entrato un male terribile, un morbo che ha inquinato tutto ciò che ha toccato, e che ha portato i nativi a fare scelte sbagliate o a vendere la propria cultura; questo male è il denaro dei bianchi156.

Gilbert non è in contrasto con i membri dell’associazione Indian Village, poiché la stessa dice di trovarsi in accordo con il medesimo punto di vista e, in effetti, malvolentieri si parla di spiritualità con Alessandro, Jitka, Camilla o chiunque altro dei soci “veterani”. Alessandro, infatti, sostiene che per conoscere una cultura non si deve partire dalla spiritualità, anche perché nel caso dei nativi si tratta di qualcosa di estremamente personale e radicato nella quotidianità.

“Dreamcatcher” e artigianato nativo

Gualtiero e Katiuscia montano il loro gazebo pieno di oggetti di artigiano prodotti da loro in stile nativo, come per esempio scarpe e sandali, acchiappasogni,

154 Conferenza durante l’evento Indian Village, 4-5 agosto 2018. 155 Idem

156 Conferenza durante l’evento Indian Village, 4-5 agosto 2018, riporto le parole di Gilbert in

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orecchini, collane, bracciali, piume decorate, ciondoli, pietre, e tanto altro. Gli avventori sembrano interessati di più al loro gazebo che agli stand di Raul e Armando o quello di Sofia, che invece ricercano per servizi diversi, come la purificazione dell’aura o la sanaciòn della curandera157.

Tra i vari tipi di oggetti di artigianato “in stile nativo”, il più diffuso è sicuramente l’acchiappasogni. È possibile trovarne anche in contesti che nulla hanno a che vedere con la cultura nativa americana, e attualmente è entrato a far parte di oggetti decorativi per l’arredo, per cui sono venduti anche a livello industriale158. Come accennato, il secondo giorno

dell’evento “Spiritual” è stato allestito una sorta di workshop ad opera di Mariano, che ha insegnato a chi volesse partecipare a creare un acchiappasogni. Alcuni partecipanti, che avevano appena appreso il proprio animale guida con Gualtiero, hanno in un certo senso impersonato il proprio “totem” nella produzione di acchiappasogni159 (Fotografia 8).

Collezionismo

Collezionare oggetti di foggia o origine nativa americana, può essere una delle tante forme in cui si concretizza una passione. Dall’altro lato della medaglia, questa pratica può anche sfociare in un’appropriazione selvaggia, che non tiene conto né dell’identità di chi ha prodotto l’oggetto, né dello scopo per cui questo è stato creato. Il collezionismo, poi, può assumere varie facce, che vanno dall’acquisto di qualsiasi oggetto “in stile nativo”, alla compravendita di manufatti più pregiati, finanche alla riproduzione di articoli o all’esposizione dell’artigianato stesso all’interno di un museo.

Nel contesto specifico della mia etnografia, è possibile trovare un collezionismo spesso “ingenuo”, fatto dall’acquisto quasi compulsivo di qualsiasi ninnolo che abbia una parvenza di “natività”, dalla riproduzione di artigianato “in stile” nativo, oppure dall’organizzazione di mostre. Al primo caso appartiene Massimo, veterano dell’Indian Village e membro dell’associazione Hunkapi. A quanto mi ha detto Luisella, la moglie, Massimo colleziona tutto ciò che appartiene a nativi americani, o che presenta una foggia “in stile tradizionale”160.

L’artigiano Susani, al contrario, fa parte del secondo tipo di collezionismo, quello che

157 Note di campo, domenica 8 luglio 2018. Si vedano i paragrafi precedenti per quanto riguarda la

sanacion.

158 Ho trovato acchiappasogni ad un festival celtico, ma anche in vendita in alcune erboristerie, e

appesi come oggetti decorativi in bar e ristoranti della riviera romagnola, così come in negozi facenti parte di famose catene di arredamento d’interni.

159 Meco ha fatto l’esempio di una ragazzina che ha laboriosamente creato un acchiappasogni, ed è

stata la più veloce proprio perché si è messa d’impegno per intessere la tela al meglio, e aveva appena scoperto di avere come animale guida la formica.

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imparate le tecniche e ne riproduce gli stili spesso senza dare credito agli originali. Parla spesso di un aneddoto, che lui trova buffo, riguardo al restauro applicato su un mocassino spaiato di fine Ottocento che era riuscito a recuperare da un’asta. Pare che dopo il restauro, quindi dopo aver prodotto la scarpa mancante, egli abbia inviato una foto di entrambe al «carissimo amico Marino, antropologo dello Smithsonian» per testarlo. Ebbene, Marino, secondo il racconto di Susani e di Alessandro, non avrebbe riconosciuto la differenza tra le due scarpe, in quanto anche quella riprodotta appariva identica all’originale161. L’artigianato

proposto all’Indian Village, quindi, è sia prodotto dai fondatori stessi, sia acquistato in alcune riserve oppure facente parte delle collezioni di pregiati intenditori, e dunque parte di esso è acquistabile dagli appassionati che abbiano a disposizione tempo e risorse.