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L’esperienza nel cantiere del teatro di Luigi Poletti, 1843-1846

Senza un riconoscimento ufficiale, in mancanza di un titolo accademico adeguato, e alle dipendenze dell’assuntore Pietro Bellini, Benedettini – che si firmava peraltro

“Perito Architetto” – nei quattro anni che diresse di fatto il grande cantiere del teatro polettiano dovette farsi, sia pure decisamente sottopagato, un’esperienza progettuale ed esecutiva di prim’ordine, che per un giovane alle prime armi si potrebbe definire esaltante.

Le lettere che si scambiarono Poletti e Benedettini, conservate nella Biblioteca Civica d’Arte Luigi Poletti di Modena, documentano un fenomeno progettuale esecutivo di grande importanza, pur se poco conosciuto: lo possiamo chiamare “esecuzione creativa”. Poletti, che veniva a Rimini tre o quattro volte l’anno, quasi con una ca-denza stagionale, non solo verificava che materialmente il cantiere progredisse senza

“mende”, ma disegnava forme e strutture alternative, e correggeva o “compensava”

effetti estetici mal riusciti, consegnava i “mòdini” o i disegni dei profili 1/1 e i modelli delle basi, trabeazioni, capitelli. All’ultimo momento dava disposizioni definitive per strutture importanti dell’edificio legate a segreti di costruzione.

La prima lettera rimasta che Benedettini invia a Poletti è del 10 maggio 184324; gli comunica che vengono scavate le fondamenta e che si è cercato di estrarre il mosaico romano rinvenuto. Nella stagione costruttiva successiva, quando si tratta di mettere in opera i modiglioni dell’ordine corinzio della facciata, Poletti risponde a Benedet-tini, che vuol «conoscere la distanza da modiglione a modiglione»: «La distanza che ricercate […] nella cornice corinzia è tra le quindici e le sedici once del palmo roma-no. Nel ripartirli, se si trovano una differenza sotto o sopra quella distanza, sarà pre-feribile quella che s’avvicina alle 15 once piuttosto quella che passa le sedici”. In altre parole, un conto è vedere sul disegno la fila regolare e perfetta dei modiglioni, un conto mettere in opera manufatti scolpiti in cui anche minime differenze di misura, assommandosi, potrebbero far riuscire concretamente la cornice montata o troppo

stretta o troppo lunga. Da qui la triplice misura – once 15, 15/16, 16 – consigliata da Poletti, che permette di eseguire correzioni in opera, senza alterare l’effetto ottico di regolarità, perché, com’è ben noto anche ai pittori, l’occhio di chi guarda corregge automaticamente le approssimazioni poste in alto25.

Certo, il giovane “perito architetto”, come tutti i giovani, tendeva a prendersi delle li-bertà e a decidere, con l’aiuto del comune amico ingegnere Nicola Berzanti, eventuali problemi che sorgevano nel cantiere e che, per l’urgenza, non potevano aspettare l’arrivo di Poletti. Ma Poletti non lo incoraggiava in questa tendenza all’emancipa-zione e tendeva a rimandare la soluall’emancipa-zione dei problemi alla sua prossima venuta a Rimini. Quando Poletti si accorge, per fare un esempio, che le misure dei blocchi di pietra d’Istria arrivati in cantiere sono sbagliate, non rimprovera nessuno, ma anzi ne

Vincenzo Ghinelli, Progetto del Nuovo Teatro da erigersi in Rimino nella fabbrica detta dei Forni, prospetto principale. Rimini, Fondazione Cassa di Risparmio.

approfitta per enunciare a Benedettini un’operazione creativa che trasformi il ripiego da prendere in un nuovo valore: «Le misure delle pietre d’Istria che mi avete mandato sono molto scarse per comprendere esattamente i capitelli da me disegnati. Vi sono, nonostante, alcuni ripieghi da prendere; è necessario che io medesimo scandagli le stesse pietre coi mòdani, avendo pratica su ciò [...] farò di tutto per modificarli e non gettare la spesa”26.La stessa operazione viene proposta in una minuta del 30 gennaio 1846, quando Poletti si accorge dell’“effetto” estetico degli atrii costruiti: «Rammen-tate però ciò che osservai più volte sul luogo: essere la soffitta del primo Atrio troppo prossima ai Capitelli. Vorrei trovare un compenso nella mia prossima visita e vorrei che non azzardaste in ciò alcun lavoro che potesse impedirmi l’uso di tal compenso, che non sarà difficile a trovarsi»27.

Ma, oltre ai “compensi” e ai rimedi per le operazioni sbagliate, c’è dell’altro. C’è la coscienza che l’esecuzione non può essere abbandonata agli esecutori dall’architet-to, il quale si riserva anche degli interventi personali, non documentati nei disegni o nelle lettere, ma fatti di persona all’ultimo momento, perché non gli rubino con gli occhi i segreti di costruzione. Quando si tratta dell’armatura lignea per costruire la soffitta della platea, in una lettera del 4 agosto 1846 Poletti scrive che sono necessarie

«centine di curva molto ribassata, ma guidata a mano secondo una certa mia manie-ra, che vorrò farvi sul luogo, grande al vero».

L’architetto chiede conto al giovane perito riminese degli “effetti” che fanno, man mano che vengono scoperte, le diverse parti del teatro; in una minuta del 13 dicem-bre 1845, a proposito del primo ordine dei palchi, scrive: «Nulla mi dite dell’effetto di quest’ultimo lavoro”. La risposta di Benedettini segue in una lettera del 23 dello stes-so mese: «L’effetto dei primi ordini dei palchi di questo Teatro riesce meravigliostes-so, ed a piacimento di (il che non è facil cosa) tutti. Ho fatto il secondo Ordine giacché Lei lo disegnò sul luogo, se si ricorda»28.No, Poletti non si ricordava, ma per questa volta è disposto a perdonare l’iniziativa di Benedettini: «[...] e mi consola il sentire che i palchi siano di bell’effetto, di che, a dir vero, non dubitava». E se non ricorda di avere dato disposizione per il secondo ordine, rassicura tuttavia Benedettini: ha fatto bene a «spicciarlo»29.

Il 28 maggio 1846 il giovane perito, che ha imparato la lezione degli “effetti” parzia-li, scrive: «Col giorno 26 corrente abbiamo cominciato [a] ritornare al piano colle armature del prospetto […] l’effetto è maraviglioso come in tutte le sue parti dell’e-sterno ed interno, e Rimini giustamente annovera il quarto Monumento». Adesso la città poteva contare, a giudizio di Benedettini, su quattro monumenti da esibire ai

“forestieri”: l’Arco di Augusto, il Ponte di Tiberio, il Tempio Malatestiano e il Teatro di Luigi Poletti30.

Il massimo della confidenza tra l’architetto maestro e il suo allievo esecutore, in verità per iniziativa di quest’ultimo, è raggiunto in una lettera del 23 dicembre dello stesso anno, a proposito delle malizie degli appaltatori: «L’esperienza, Signor Professore, fa imparare molte cose, Ella m’intende senza più spiegazioni»31.Ma se il giovane “Perito Architetto” conta su una sorta di complicità tra tecnici o addetti ai lavori contro chi tiene i cordoni della borsa, si inganna e presto se ne sarebbe accorto.

In una lettera a Poletti del 5 dicembre 1846, non molto chiara, Benedettini accusa l’appaltatore del teatro Pietro Bellini di averlo gravemente offeso proponendogli, su consiglio dello stesso Poletti, di essere assunto nel cantiere del teatro di Fano, ma con

un salario mensile inferiore a quello che il comune di Rimini pagava a un capo ma-stro32.In un’altra lettera di Benedettini, che Poletti possedeva in copia, il risentimento del giovane non risparmia quest’ultimo, accusato di non averlo difeso33.È un mo-mento di tensione tra l’allievo e il maestro, probabilmente provocato o reso più aspro dalla questione del palazzo municipale di Santarcangelo, come si vedrà più sotto.

Benedettini, in conseguenza di questa lite, si dichiara «disciolto da qualunque impe-gno di Fano e di Rimini». Il 5 novembre 1847 scrive di rimandare a Poletti il diseimpe-gno del teatro per le mani di Gaetano Urbani, il più giovane allievo di Poletti a Roma e suo nuovo protetto. Chiede però di potere tenere i disegni di «dettagli della decora-zione esterna del suddetto teatro»34.Non sappiamo se Poletti glielo abbia concesso;

probabilmente no, perché era molto geloso dei suoi disegni.

Poletti, che forse aveva anche altre ragioni di scontento nei confronti di Benedettini (le esamineremo di seguito), scrive a Genesio Morandi, autore pilotato di un libro a fascicoli sul nuovo teatro di Rimini, in una lettera del 12 luglio 1858: «Io solo fui anche il direttore della direzione, gli altri non furono che assistenti all’esecuzione […]. Benedettini, poi, non fu mai assistente esecutore, ma capomastro del solo Belli-ni. Invece, a quell’epoca, era assistente esecutore l’ingegnere Berzanti, cui successe il Cervellati»35.

L’affermazione che Benedettini sarebbe stato un semplice capo mastro dell’assuntore agli ordini di Berzanti, a sua volta agli ordini di Poletti, ne fa una figurina di terzo piano, ma viene sicuramente smentita dalle lettere che abbiamo appena scorso. Il teatro nel 1846 era finito nelle opere murarie esterne e interne, mancava solo tutta la decorazione interna a stucco e le rifiniture che vennero eseguite, passate le crisi poli-tiche del 1848, negli anni successivi fino all’inaugurazione del 1857.

In una lettera a Giovan Battista Urbani del 23 giugno 1848 Poletti si congratula per lo scampato pericolo del figlio Gaetano: «Grazie a Dio è stato salvo nei terribili scontri con l’inemico ed in special modo nella disgraziata battaglia di Vicenza»36.

Benedettini riprenderà la sua collaborazione con Poletti nel 1852, fornendogli i dise-gni del Tempio Malatestiano – che Poletti avrebbe voluto affidati a Gaetano Urbani – per il progetto di completamento37.