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L’imprenditore che «per la patria sofferse prigionia»

Finiva il primo trentennio del secolo. Nuove intraprese sorgevano in città, per opera di borghesi «liberali e patrioti» sostenuti dalla «fede nell’avvenire»14.

In tutta Europa si andava affermando l’idea che la prosperità economica dipendesse essenzialmente dall’industrializzazione, e poiché il successo dell’iniziativa indivi-duale, che si doveva all’audacia e alla competenza, coincideva con il generale avan-zamento della società, era compito fondamentale dello Stato garantire la libertà di iniziativa e creare le condizioni più favorevoli al suo svolgimento.

Nicola Ghetti era un giovanotto di 22 anni. Fu forse la fame di azione e l’attrazione perentoria per le nuove intraprese a spingerlo verso la produzione ancora del tutto sperimentale dei “fulminanti”. Erano vari i pionieri in città, e molti gli incendi. Ma Ghetti puntava al monopolio, e a tale scopo, il 6 giugno 1843 acquistò per 600 scudi da Adamo Monticelli, Nicolò e Filippo Pomposi «tutti gli attrezzi, utensili ed effetti inservienti alla fabbricazione di zolfanelli fosforici» di proprietà di Pomposi, che ri-nunciava con ciò alla loro fabbricazione.

Nicola era un uomo sposato, dicono le carte, ma l’attività di “mercatura” richiedeva che fossero i genitori a dare validità agli atti. La madre, a garanzia del debito contrat-to, ipotecò due case. Fu il 1844, l’anno in cui per lui la vita si spalancò del tutcontrat-to, a cominciare dall’emancipazione formale dal padre15.

La città era poverissima e malandata, vivacchiava nell’immobilismo economico, ma due episodi sembrarono rianimarla: l’organizzazione del credito con la fondazione della Cassa di Risparmio (1841), e l’inaugurazione del primo Stabilimento bagni (1843). Alla rivoluzionaria impresa dei bagni avevano concorso il giovane medico Claudio Tintori e i conti Alessandro e Ruggero Baldini. Ai giovanotti riminesi, che si erano ispirati ad analoghe iniziative già sorte in Toscana, i tempi erano sembrati

maturi per intraprendere un’impresa che a quell’epoca non era di minore originalità rispetto a quella promossa da Nicola Ghetti. Non si era trattato di un’avventata idea giovanile, ma di una pionieristica intrapresa suggerita dalla presenza dei primi fore-stieri sulla spiaggia di Rimini.

Fallito il tentativo insurrezionale fissato per il 31 luglio 1843, la tranquillità cittadina era al momento garantita. I cospiratori appartenevano al partito moderato (il conte Andrea Lettimi, Enrico Serpieri, Pietro Renzi, i fratelli Brunelli, Antonio Celli, Gia-como Grandi) e a quello «più risoluto» (Gregorio Panzini, Davide Parini e Lorenzo Renzetti)16. Ma la quiete era solo apparente. Rimini era di nuovo «in esaltamento politico», secondo il Segretario di Stato cardinale Lambruschini, che il 6 aprile 1844 trascriveva la relazione giuntagli dalla città:

[…] cui prende parte un vistoso numero di oziosi stipendiati da alcuni ricchi rivoluzio-nari. I liberali più provetti non figurano, ma ammaestrano la gioventù più sfrenata […].

Hanno luogo nella notte continui attruppamenti di gioventù […]. Vanno vagando per la città cantando canzoni sediziose e liberali. […] I Riminesi sono vili, e con un poco più di Forza, che avesse ordini severi, e con una Polizia che agisce robustamente e colla massima energia, procedendo agli arresti dei capi, che ben si conoscono, dicono le segrete confi-denze, che Rimini da città più cattiva che è al presente in Romagna, si potrebbe ridurre quieta e tranquilla come prima. […] Le case di convegno, ove tengonsi in Rimini consessi liberali, sono quelle del Marchese Baldini Cima infermo fin dal 1831, grande istruttore di liberalismo, che venne esiliato dallo Stato Pontificio dopo quell’epoca, ed ottenne poi di Gabriele Castagnola, Assalto di una

caserma in Rimini nel 1845.

Tavola per G. Pistelli, Storia d’Italia del 1815 fino alla promulgazione del Regno d’Italia, Firenze, 1864.

Litografia. Rimini, Biblioteca Gambalunga.

restarvi […]. Del Conte Amati. / Del Conte Andrea Lettimi, giovane ricco per una eredità avuta, primo capo della sedizione, e che spende moltissimo per mantenere gli oziosi. / Del Conte Gio. Batta Soardi, che si distinse moltissimo anche nella rivolta del 1831, essendo stato anch’esso in quella epoca a Bologna al congresso dei capi rivoltosi che si tenne sulla rivoluzione da farsi. / Di certo Ugolini Governatore in pensione. / I rivoluzionari più arditi poi sono: Ercole Serpieri / Enrico Serpieri / Ambrogio Panzini / N. Ugolini figlio del detto Governatore / Ciro Santi / Antonio Clini / I fratelli Antonio, G. [?] e Luigi Pedrizzi / Filippo Masi / Monsieur Francesco N. ricchissimo Francese che ha dimorato in addietro in Napoli, ed ha un fratello a Costantinopoli. / Monsieur Tisserande [sic!], altro francese dimorante in Rimini. / Daniele Serpieri / N. Serpieri Segretario Comunale. / Vincenzo Massi / I figli di Galli, nobile decaduto, impiegato attualmente della Posta lettere di Rimini. / Ed una buona mano di Avvocati […]. Ciro Santi ed Ercole Serpieri erano quelli che ricevevano il denaro che mandavano ai fuoriusciti per l’ingaggiamento […]17.

Secondo l’anonimo informatore, che aveva evitato di servirsi dell’Ufficio postale per la sospetta presenza di «qualche traditore», erano le osterie i principali luoghi di pro-selitismo. E i cospiratori da cercarsi fra i giovani riminesi «più influenti»: il conte Andrea Lettimi, Pietro Renzi, Enrico Serpieri, Antonio Celli, Luigi Brunelli, Pomposi figlio, imputati di avere messo insieme quasi duecento individui, portato alla loro causa il Capitano Zavaglia [ma Zavagli], per non parlare delle «spie nei dicasteri del Governo distrettuale»18.

Piazza Cavour. Fotografia, stabilimento fotografico di Vincenzo Contessi, circa 1880.

Rimini, Biblioteca Gambalunga, Archivio fotografico.

Le spie non erano lontane dal vero. A guidare la sommossa ispirata da Ignazio Ribot-ty e Luigi Carlo Farini fu Pietro Renzi. Confidando che anche le altre città romagnole ne avrebbero seguito l’esempio, il 23 settembre 1845 i congiurati erano partiti dal palazzo di Andrea Lettimi. Le due colonne di rivoltosi si diressero rispettivamente verso il Giuoco del Pallone e la caserma di San Francesco, presso il Tempio Malate-stiano. La città fu rapidamente in mano ai rivoluzionari senza che ci fosse spargimen-to di sangue. Dopo tre giorni la rivoluzione era però giunta al suo termine, e Rimini ripresa dalle truppe pontificie. L’unico ricordo che ne rimase fu il dibattito che ne seguì. Massimo D’Azeglio, in visita in Romagna con l’obiettivo di assumere la guida del movimento nazionale in questa parte dello Stato pontificio, ne narrò a Carlo Alberto, re di Sardegna, che gli rispose: «Faccia sapere a que’ Signori che stiano in quiete e non si muovano, non essendovi per ora nulla da fare; ma che siano certi che, presentandosi l’occasione, la mia vita, la vita dei miei figli, le mie armi, i miei tesori, il mio esercito, tutto sarà speso per la causa italiana». Dopo quel colloquio, Massimo D’Azeglio scrisse che la ristretta ed effimera rivoluzione riminese era da giudicarsi in-tempestiva e dannosa ai fini della causa nazionale, e che dunque era giunto il tempo di stringersi attorno al Piemonte, per creare un movimento che ottenesse dai governi

«miglioramenti, istituzioni e temperate libertà» (Degli ultimi casi di Romagna, 1846)19. In quell’attesa, una nuova ondata di repressioni si abbatté sulla città. Molti patrioti presero la via della fuga e dell’esilio. Il nome di Nicola Ghetti, «di a. 29, negoziante e fabbricante di fiammiferi» faceva la sua comparsa negli elenchi che il governo ponti-ficio compilò per schedare i principali compromessi, e l’8 dicembre venne arrestato

Appello delle autorità riminesi in

Dopo la sconfitta degli Austriaci a Solferino le Legazioni romagnole insorsero, proclamando la decadenza del potere temporale e la volontà di annessione al Piemonte. Massimo

insieme all’abate Fedele Venturi e a Luigi Poluzzi20.

Il discorso patriottico fecondò di ideali le sollecitazioni al cambiamento, rese urgenti dagli interessi di classe. Il malgoverno pontificio, tenuto in piedi dall’appoggio mili-tare austriaco, frustrava ogni spirito imprenditoriale. Ghetti fece il suo apprendistato politico nell’humus patriottico cittadino della generazione di patrioti e liberali, che lo storico Roberto Balzani ha definito i giovani del Risorgimento per antonomasia, vale a dire coloro che erano nati fra il 1820 e il 1830, protagonisti del 1848-4921. Fu forse Giacomo Grandi (1815-1865), patriota attivo, dal giovane e generoso cuo-re, a introdurlo nel magma del discorso patriottico, a legarlo a una storia collettiva.

La giovinezza non ha luogo solo nel tempo, alimenta le pieghe dello spirito, rende l’anima bisognosa di avventure, la predispone al misterioso fascino delle congiure, rende infiammate le parole che il romanticismo fertilizza coi sogni di libertà e in nome della Patria. Giacomo, suo cugino e coetaneo, aveva la forza d’animo, le utopie e l’avventatezza dell’eroe. Di professione tipografo, avrebbe prestato la sua bottega alla stampa dei proclami del Partito d’azione; continue erano le sue relazione con i Comitati rivoluzionari nelle Legazioni, a Genova, a Londra, in Toscana e a Roma22. Protagonista dell’improvvido moto del 1845, era stato costretto all’esilio in Francia, e da lì informò Nicola che l’attività cospirativa proseguiva.

[…] La prima parte della lettera converrebbe mostrarla al comune amico Sig. Faustino, e far sì che la rendesse ostensibile al Sig. Conte Andrea Lettimi, non però la seconda parte della lettera, che io amo resti totalmente in te, siccome tanto mi si raccomanda il segreto, anima principale di ogni impresa, Conosco che io più d’ogni altro avrei dovuto serbarlo, ma io non poteva trattenermi di significartelo, siccome sempre tu fosti quello in cui io deposi ogni pensiero, e conosci qualunque movimento di ogni mia azione, della vita mia. […]23

Ciò che li tiene vicini è il tedio del fare ogni giorno la stessa cosa, il bisogno di sentire pulsare il sangue per le nuove intraprese, che in Ghetti prendono la forma del lavoro

Dal Registro Matricola della Guardia Nazionale, 1859.

Rimini, Archivio di Stato, Leva militare, Guardia Nazionale.

industrioso, in Grandi della passione cospirativa. Doti che i due sodali cercano di tra-smettersi. Fuggiasco e alla ricerca di mezzi di fortuna, il tipografo riminese escogitò la possibilità di «lucrare un qualche franco», raccogliendo informazioni sui costi del fosforo, del clorato di potassio, sullo stato della fabbricazione dei fiammiferi, fino a vagheggiare la possibilità di racimolare denaro per recarsi ad Algeri «non per aprire una fabbrica di fiammiferi all’uso di Romagna», come gli era stato suggerito, ma per acquistare terreni24.Nicola Ghetti non lesse la lettera, che fu fermata dalla sorveglian-za pontificia prima ancora che lo facesse il carcere in cui era stato rinchiuso.

Provvidenzialmente Pio IX, eletto papa il 21 giugno 1846, decretò l’amnistia generale.

Gli esuli tornarono in patria. Con giochi, luminarie, spettacoli e fogli volanti, la città espresse il proprio giubilo.