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Una esperienza “impegnata”

Nel documento Confini della creatività (pagine 78-81)

I confini del fare (atto primo)

4.3 Una esperienza “impegnata”

Il significato del valore creativo dell’atto che l’intelligenza compie in risposta a quanto presentato dall’esperienza non trova spiegazione semplicemente in un atto di compimento con-tenuto e risolto nella relazione tra implicito ed esplicito, tra dover-essere ed essere, tra potenza e atto. La continuità che vivifica e anima l’esperienza della

74 È la lezione che riconosce nell’abitudine la possibilità di alimentare un

pensiero che «nota gli ostacoli, inventa gli strumenti, concepisce gli scopi, dirige la tecnica, e che così converte l’impulso in una arte che vive negli oggetti». Occorre coltivare “questa” abitudine e contrastare quella che compie la vita come routine. Pertanto, l’opposizione reale «non è tra la ragione e l’abitudine, ma tra la routine, l’abitudine senza intelligenza, e l’abitudine intelligente, o arte» (ID., Natura e

realtà, trasformandola, traduce un atto che ha una portata qualitativa maggiore di una mera traduzione.

Ciò che il fare pensato creativamente fa essere non è già implicito, implicato, latente o potenziale nell’esperienza concreta; l’atto creativo non è solo esplicitazione, manifestazione o realizzazione75.

Ciò che l’atto creativo fa essere non dipende da una potenza (completa, inerente e necessaria) propria dell’oggetto che persiste indefinitamente in quanto tale; così come lo stesso atto creativo non è prova dell’esistenza di una facoltà superiore che agisce applicando al mondo le teorie elaborate.

Ciò che il fare pensato creativamente fa sono «le possibilità ancora irrealizzate del presente»: è, questo, il fare in una intelligenza creativa che ha una posizione e una collocazione nel mondo. È, questo, il fare creativo di una “esperienza impegnata”.

In tale caso, la creatività è processo di una situazione integrale che include l’uomo e l’ambiente, non più separati né separabili, non più indipendenti, ma com-presi in una esperienza aperta; è, di fatto, processo che include tutti gli elementi e che lavora a una ricostruzione che sia per tutti gli elementi una nuova situazione.

In ragione di questo impegno che è dovere assolutamente umano quanto assolutamente naturale, l’uomo deve mostrarsi capace di pensare l’esperienza della realtà provandola e trasformandola attraverso una esperienza “ideale”.

Non è questione di perfezione o di eccellenza. L’elemento ideale che l’intelligenza creativa deve impegnarsi a fare non è «fatto di materia immaginaria», non è separato dalla realtà, non è misura da

75 La creatività propria dell’intelligenza umana, per essere compresa nel suo

significato profondo, richiede un esercizio teoretico che abitui a una visione fedele al tratto naturale dell’esperienza. Non ci sono parti da unire. Non c’è ponte da costruire. Tutto è già nella natura. La natura è già tutto: «Nella vecchia disputa se un cervo corre perché ha le gambe lunghe e snelle o se ha le gambe lunghe e snelle per poter correre, entrambi i partiti trascurano il lato naturale e descrittivo; cioè che è proprio della natura di ciò che accade nel mondo che il cervo abbia lunghe gambe e che, avendole, corra. Quando si dice che lo spirito è implicito, implicato e latente o potenziale nella materia e che il mutamento esteriore lo rende esplicito, evoluto, manifesto e reale, ciò che accade è la scissione arbitraria ed astratta in due parti di un processo naturale» (ID., Esperienza e natura, cit. p. 108).

imporre alla realtà. Al contrario, esso è «fatto della dura materia di cui è composto il mondo dell’esperienza fisica e sociale»76.

L’ideale è, infatti, costituito dalle possibilità di sviluppi futuri

contenuti nella stessa situazione reale: è il possibile rispetto a una data

situazione presente ed è ideale per quella particolare situazione77.

La visione, nuova e ideale, delle cose emerge creativamente attraverso l’indagine e la valutazione sulla situazione presente, la costruzione di un giudizio e la promozione di un significato. L’esperienza «mostra le cose nel loro aspetto non finito che avanza verso conclusioni determinate. Ciò che è finito e concluso ha importanza in quanto influisce sull’avvenire, non per se stesso; in breve, in quanto non è realmente finito»78.

Non finita, da finire e mai realmente finita, la realtà della quale e nella quale l’uomo fa esperienza non è una realtà compresa in un processo rigido che – seppur in svolgimento – porta a conclusioni determinate. La realtà che si compie nell’esperienza è una realtà in

processo di sviluppo, una realtà “ancora plastica” che permette al suo interno atti distintivi in grado di modificarla.

Questo processo di sviluppo non ha luogo nel vuoto. È, al contrario, un movimento del mondo e nel mondo, correlato dinamicamente e funzionalmente ai movimenti di altri elementi in modo sempre diverso, molteplice, intimo e penetrante.

L’ideale per il quale e nel quale l’uomo si impegna è, allora, esperienza della stessa esperienza. È possibile trasformare l’esperienza, selezionando – da qui la responsabilità dell’atto creativo nonché l’implicita connotazione morale – e sviluppando le qualità vissute nell’immediatezza di ciò che accade come stimoli, semplici e diretti, di risposta.

76 ID., A Common Faith (1934), trad. it. di G. Calogero, Una fede comune, La

Nuova Italia, Firenze 1961, p. 45.

77 «L’ideale, il valore, il significato rappresentano le possibilità ancora

irrealizzate dell’esperienza presente, nella quale si accoglie il passato. L’intelligenza, come strumento per prospettare e per rendere attuali queste possibilità, è il vero organo atto a “sviluppare e perfezionare il valore”. Questo è il senso in cui essa è veramente “creativa”. L’ideale non è realtà per eccellenza, un fine in sé, un assoluto dotato di perfezione, ma è il lievito della stessa esperienza» (ID., Intelligenza

creativa, cit., p. 16).

L’esperienza, pertanto, non è un insieme più o meno approssimativo e più o meno correlato. Ogni cosa che sia parte dell’esperienza può, difatti, operare come significato poiché riconoscibile nei termini di indicatore di conseguenze.

Compresa in questi confini, la questione creativa si fa, dunque, “pratica, sociale e di civiltà”. Pratica perché, inclusa nell’esperienza della realtà, contribuisce a formulare “piani d’azione” da impiegare come ipotesi operative per affrontare e risolvere efficacemente i problemi reali. Sociale perché l’intelligenza creativa è impegnata a guidare la costruzione di una realtà comune senza altra autorità che non sia quella della volontà di partecipare e di cooperare. Di civiltà perché soltanto nel fare dell’intelligenza creativa la storia ha l’occasione di uscire dal tracciato nel quale la consuetudine tende a portare l’attività dell’uomo e di liberare la ricerca di soluzioni cooperative (democratiche) dei problemi che la realtà nel suo processo di sviluppo può presentare.

Il suo pensiero, pertanto, è “fare impegnato”. Mai asservito. Sempre critico e innovatore.

Nel documento Confini della creatività (pagine 78-81)