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Lo spazio del nascondimento

Nel documento Confini della creatività (pagine 56-59)

I confini della sperimentazione

3.3 Lo spazio del nascondimento

Quello che l’uomo è sollecitato a riprendersi non è un percorso semplicemente sfiorato dalla leggerezza e dalla spensieratezza di una esperienza libera/liberata. Quello che l’uomo deve percorrere è un sentiero che ha origine da un lutto e dalla conseguente sofferenza: l’uomo che abbandona quella verità (prodotto della metafisica) nella quale si è ri-conosciuto e sulla quale ha edificato la propria storia è un uomo che sacrifica il proprio patrimonio di certezze, di fondamenti, di mete.

È, questo, un uomo che ha dovuto ripensare il proprio prendere forma, svolgendolo su di una unica dimensione. Quello che si scopre non è, tuttavia, un uomo parziale, orfano della pienezza e della totalità

56 «Comprendere la struttura del divenire, la forma della forza, è perdere il senso

mentre lo si conquista» (J. DERRIDA, L’écriture et la différence [1967], trad. it. G.

di un tempo passato. Non è, soprattutto, un uomo che rinuncia a comprendere se stesso nella propria possibile autenticità e verità.

Se non c’è identità da costruire, se non ci sono verità celate da portare alla luce, se non c’è un principio che deve essere fine, se non c’è infatti soggetto che possa controllare o verificare e non c’è verità che possa giudicare, l’inesauribilità e l’indeterminabilità, la relatività e la provvisorietà non si disperdono in un atteggiamento di attesa passiva degli eventi; al contrario, invitano a una intenzionalità immanente che muova verso una sperimentazione ulteriore, non ulteriore in ragione di un “più” o di un “meno”, bensì ulteriore in quanto “altra”.

Lo spazio Aperto dischiude, dunque, una possibilità inedita per il divenire dell’esistenza al mondo: in questo inedito spazio del molteplice divenire, la verità – ciò che è e può essere – si dà quale possibilità autentica e concreta, ma alle capacità dell’uomo si presenta inesauribile e indeterminabile, relativa e provvisoria, fondamentalmente sconosciuta.

Non si tratta di una sentenza che relega l’uomo a una condizione di impotenza generale e assoluta. L’uomo incapace di ri-conoscere ciò che è e può essere è quella “figura di uomo” che dà di se stesso versione parziale e, di conseguenza, fallace. È l’uomo contenuto e determinato da rapporti che lo scompongono e ricompongono in una unità finta quanto illusoria: quell’uomo che risponde a una logica di previsione che misura e riordina ogni cosa.

A quest’uomo la verità è “nascosta”: quella verità “fatta” dai “ritagli” di vero scartati dall’ambizioso progetto di una conoscenza unitaria e omogenea; quella verità fatta dai non-detti tralasciati dalle spiegazioni totalizzanti e dai silenzi non ascoltati nei lunghi discorsi sull’uomo. Non è, questa, una verità semplicemente nascosta. Non è nemmeno una verità chiusa: è verità che si nasconde.

È un nascondimento che sa di segreto. Non un segreto dai contorni mistici che attende, passivamente, la rivelazione, piuttosto un segreto che, al contrario, apre e libera lo spazio di una interiorità inoggettivabile, una interiorità che non ha né può avere “esterno” in

grado di marcarne inizio e fine, perché è unicamente un “interno incommensurabile”57.

La verità che si nasconde è un segreto che riguarda «il sempre-mio dell’esistenza». Come tale, è un “chi” e non un “che cosa”. Non è quindi un contenuto che – una volta scoperto – si ri-produce immutato perché vero proprio in quanto immutabile; non è affermazione che prova l’esistenza di un io integro e inviolabile.

È invece, prima di ogni contenuto e prima di ogni affermazione sullo stesso contenuto, una azione perché è verità di un essere che è divenire. In quanto tale, è azione che muove dall’interno verso l’esterno, una azione che è creazione generativa dell’io come

singolarità e, nello stesso tempo, come alterità, una azione sempre

diversa perché propria di un io che non può, tanto meno deve, chiudersi nell’identico a sé.

Non c’è, dunque, sguardo in grado di percorrere a ritroso tale azione e di coglierne il segreto. La verità che nell’Aperto si rivela e si dichiara resta inviolabile e inaccessibile.

Il nascondimento ha, però, valore di non-conoscenza unicamente per quell’atto conoscitivo che ha l’ambizione e la presunzione di controllare e di dominare sul mondo (e su tutto ciò che vi abita, compreso l’uomo) per contenerlo e includerlo, poi risolverlo, in un causa finale che ne vincoli e determini qualsiasi espressione.

Per quella conoscenza che, invece, desidera scoprire l’uomo secondo le possibilità (qualsiasi esse siano) di ciò che è, quel nascondimento è il gioco (il modo d’essere della verità) con cui l’uomo dà vita a quel mondo interiore che inesauribilmente diviene.

La verità, nascosta e segreta, è in realtà limpida e trasparente: essa opera nella massima “visibilità” proprio perché è la stessa molteplicità del divenire a creare l’effetto di un nascondimento58. La sua opera,

57 ID., Donner la mort [1999], trad. it. di I. Berta, Donare la morte, Jaca Book,

Milano 2002, p. 131.

58 Occorre comprendere con quale significato l’invisibilità accompagni il

nascondimento di questa verità. Infatti, «l’in-visibile si può intendere, per così dire, in due modi. 1. C’è l’in-visibile visibile, l’invisibile che è dell’ordine del visibile e che posso tener segreto sottraendolo alla vista. Questo invisibile può essere artificialmente sottratto alla vista pur restando in quella che si chiama esteriorità (se nascondo un arsenale nucleare in un seminterrato o un esplosivo in un nascondiglio, si tratta ancora di una superficie; e se nascondo una parte del mio corpo sotto un

infatti, si estende oltre il visibile, divenendo inaccessibile alla logica della vista. E, benché visibile perché esposta alla vista, la sua azione rimane segreta perché accessibile unicamente alla sensibilità degli altri sensi.

Non si tratta, pertanto, di ricercare il nascosto per fargli dire il non- detto. Si tratta, al contrario, di afferrare e di trattenere quanto in esso è già detto, per scoprirvi le occasioni e le forze con cui proseguire la sperimentazione del divenire.

Questa verità, proprio perché nascosta, va ricercata. E, nonostante tutto, può essere trovata. Ma l’azione che la ricerca e che la prova non è quella del soggetto che le sta di fronte per possederla e dominarla: l’azione che può ricercare e trovare la verità è unicamente quella che nasce dalla soggettività e che l’attraversa quale puro evento e pura potenza di una vita immanente. È la possibilità sottratta alla forma del- l’argomentazione e lasciata a una narrazione svincolata dal bisogno di sistema, ma non per questo s-regolata o arbitraria.

È, questa verità trovata, possibilità propria dell’“altra parte” del medesimo gioco che anima il divenire del divenire: “parte” in cui la verità che si nasconde gioca a svelarsi.

Nel documento Confini della creatività (pagine 56-59)