• Non ci sono risultati.

Una sintesi creativa

Nel documento Confini della creatività (pagine 74-78)

I confini del fare (atto primo)

4.2 Una sintesi creativa

Inizialmente, secondo questa particolare “svolta” compiuta dalla

teoria pedagogica nei confronti della posizione e del ruolo propri della maniera creativa all’interno dell’agire umano, la creatività è stata pensata come tratto essenziale di quel fare che “crea esperienza” nei termini di interazione del soggetto con l’ambiente fisico e sociale, nei termini cioè di una interazione che accetta la “predeterminazione” della realtà in cui si trova ad agire e che, nello stesso tempo, pone in questione la stessa realtà superandola attraverso le “proprie” condizioni che trae dalla realtà medesima.

Questa concezione di creatività assicura la stabilità e la continuità dell’esperienza della realtà e, insieme, ne alimenta e anima la forza

How we think [1933], trad. it. di A. Guccione Monroy, Come pensiamo, La Nuova

innovativa dando alla stabilità e alla continuità “freschezza” e “vitalità”.

È questo, infatti, il fare di una creatività che si compie come fare di “sintesi”.

La sintesi di cui è capace il fare creativo dell’uomo ha caratteristiche particolari. Non ha la connotazione dualistica (artificiosa e gratuita) che ne fa semplice combinazione di due parti (natura e uomo, istinto e abitudine, soggetto e oggetto, esistenza e essenza) isolate, diverse e opposte tra loro. È, al contrario, sintesi che opera in ragione di una connessione intrinseca e naturale di conoscere e agire, connessione per la quale non esistono spazi separati (uno per il conoscere e uno per l’agire) né oggetti separati (uno per il conoscere e uno per l’agire), ma esiste un unico spazio di “mediazione” e di “contrattazione” che – in quanto spazio di sintesi del conoscere e dell’agire – è spazio di una intelligenza creativa operativa.

L’attitudine della creatività non è, perciò, semplice spontaneità. Non è impulso che precipitosamente e, soprattutto, casualmente agisce nell’immediatezza di ciò che accade, restringendo il mondo a ciò che è direttamente presente.

Non è, però, nemmeno speculazione indipendente, che non ha alcuna responsabilità relativa all’esperienza reale. Non è curiosità verso argomenti astratti e remoti che impedisce una attenzione alla situazione concreta dell’esistenza.

L’attitudine creativa si presenta e si compie come una “attitudine riflessiva”.

In quanto tale è pensiero, ma, lontano dal presentarsi quale modalità di pensiero che ha unicamente e specificatamente valore teoretico, è pensiero che si definisce assumendo il proprio significato soltanto nell’ambito dell’esperienza reale: l’attività creativa è, di fatto, attività che “si sofferma a pensare”70. Attraverso questo rallentare che

contrasta e trasforma la rapidità dell’impulso, la sua azione supera l’immediatezza di ciò che accade, ne valuta il complesso intreccio degli antecedenti e delle conseguenze, ne mette infine in ordine gli elementi.

70 ID., Humane Nature and Conduct (1922), trad. it. di G. Preti e A. Visalberghi,

L’attività del fare creativo quale fare di attitudine riflessiva è, al tempo stesso, anche “attitudine operativa”.

In quanto pensiero che si sofferma, la creatività opera un lungo processo di selezioni. Superando l’immediatezza di ciò che accade, valutandone il complesso intreccio tra antecedenti e conseguenze e mettendone in ordine gli elementi, ne comprende il significato,

impiegandolo in una azione che è scelta marcata e decisa.

Proprio in quanto pensiero che agisce, la creatività non può essere imparzialità. Essa è fare coinvolto nello sviluppo dell’esperienza reale perché coinvolto nell’incremento e nella trasformazione della realtà,

secondo una particolare direzione.

Ne segue la possibilità di una esperienza che non è esperienza generica, tanto meno esperienza casuale della realtà. L’esperienza creata dal fare segnato dall’implicita ed essenziale capacità di sintesi riflessiva e operativa è esperienza che si sviluppa e si compie come esperienza trasformativa.

Esistono pertanto per l’uomo, seguendo l’articolazione propria della ricostruzione proposta da John Dewey, diverse possibilità di vivere effettivamente l’esperienza della propria presenza al mondo.

L’esperienza è “un punto di accesso al mondo” fatto “a doppia faccia”71.

Da un lato, esiste «un bruto e materiale essere al mondo» per il

quale l’uomo soggiace alla vicenda temporale senza alcun tentativo di risposta diversa da quella preordinata dallo stimolo.

71 «Quando diciamo che l’esperienza è un punto di accesso alla spiegazione del

mondo nel quale viviamo, intendiamo per esperienza qualcosa che sia vasta, profonda e piena almeno quanto tutta la storia su questa terra; una storia la quale (poiché la storia non accade nel vuoto) include la terra e i correlati fisici dell’uomo. Quando assimiliamo l’esperienza alla storia indichiamo che la storia denota sempre le condizioni oggettive, le forze, gli eventi fatti dall’uomo. L’esperienza denota tutto ciò che è sperimentato, tutto ciò che si subisce e si prova. (…) Senza il sole, la luna, le stelle, le montagne e i fiumi, le foreste e le miniere, il suolo, la pioggia e il vento, la storia non ci sarebbe. Queste non sono condizioni esterne della storia e dell’esperienza; fanno integralmente parte di esse. Ma dall’altro lato senza gli

atteggiamenti e gli interessi umani, senza la registrazione e l’interpretazione queste cose non sarebbero storia» (ID., Experience and Nature [1925], trad. it. di N.

È, questa, l’esperienza di una presenza che, per quanto essenziale poiché primaria e vitale, si risolve in un atto compiuto in funzione della conservazione della vita. È l’esperienza di una presenza che si muove seguendo un ordine – fatto e da fare – scandito dalle leggi di natura: la “creatura viva” partecipa direttamente al procedere del mondo nel quale vive, facendo esperienza delle qualità rese dalla stessa partecipazione.

Si tratta, tuttavia, di una esperienza ancora “iniziale” e dai contorni approssimativi. La creatura vive i rapporti tra i vari momenti, ma senza un movimento di risposta che tenti, prima di tutto, di comprendere i modi in cui tali connessioni avvengono e,

successivamente, di pensarne uno nuovo e diverso per migliorare le

connessioni stesse.

Dall’altro lato, esiste una esperienza nella quale è data all’uomo la

possibilità di sottrarsi alla stretta presa di ciò che accade e di agire al suo interno in qualità di “fattore dinamico di ricostruzione”72,

determinandone il procedere in altra direzione.

In quanto parte integrante del corso degli avvenimenti, l’uomo ha la capacità di sottrarsi all’immediatezza del presente, anticipandone le richieste e indirizzandone il corso.

Non si tratta pertanto dell’esperienza, che rimanda alla “semplice” relazione conoscitiva tra un soggetto e la realtà che si trova di fronte, per la quale fare esperienza è aumentare, elaborare e affinare quanto conosciuto. È il caso, invece, di una autentica esperienza di revisione vissuta e da vivere come rapporto intelligente e creativo tra l’essere vivente e il suo ambiente fisico e sociale: questa forma intelligente e creativa di esperienza «è sperimentale, [è] sforzo di cambiare il dato; è caratterizzata da una proiezione, da un protendersi verso il futuro; il suo tratto saliente è la connessione con il futuro»73. La realtà di questa

72 Si tratta di una delle idee portanti del pragmatismo: nei confini di questa teoria,

l’azione dell’uomo può essere trasformazione, svolgimento e progresso. In quanto tale, sostiene Dewey introducendo la questione del progresso intellettuale, «è mutamento qualitativo non semplicemente quantitativo. È cambiamento, non solo aggiunta» (ID., The Need for a Recovery of Philosophy i n ID. et al., Creative

Intelligence. Essays in the Pragmatic Attitude [1917], trad. it. di L. Borghi, L’intel- ligenza creativa, La Nuova Italia, Firenze 1957, pp. 4, 31).

esperienza è, infatti, anche e soprattutto in funzione dell’accresci- mento della vita.

Riconosciuta in questi confini, l’esperienza – non più semplicemente bruta e materiale – raccoglie e risponde alla sfida che una natura instabile, precaria e casuale pone all’uomo per la sua capacità di stabilità, di continuità e di ordine; una sfida che la natura (instabile, precaria e casuale) pone, perché viva e vivente, e che la stessa natura rinnova continuamente poiché continuamente raccolta, e rilanciata, dalle capacità di sintesi – di riflessione e di innovazione – proprie del fare creativo.

Questa continuità non può essere lasciata al caso dell’episodio isolato né alla spontaneità del singolo atto di risposta. Essa deve divenire abitudine (intelligente e creativa)74. Solo nell’esperienza di

questa rinnovata sfida, per un verso, posta e, per l’altro, raccolta c’è la possibilità di una “vivificazione” dello stare al mondo; solo in questa “animazione” c’è storia. Altrimenti, fuori dai confini di questa esperienza di sintesi, la vita – fondamentalmente ferma – ristagna, in una ripetizione meccanica o in un cieco movimento.

La risposta che l’intelligenza creativa dà con la propria azione di sintesi ha un significato che incide marcatamente e profondamente sulla realtà, sul suo presente e sul suo futuro.

Nel documento Confini della creatività (pagine 74-78)