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L’agire creativo quale opera di previdenza

Nel documento Confini della creatività (pagine 91-95)

I confini del fare (atto primo)

4.6 L’agire creativo quale opera di previdenza

Nell’esperienza dell’atto creativo la realtà – per l’intrinseca connessione tra gli elementi e i fatti implicati – si rinnova nella sua totalità. Tale rinnovamento non è lasciato a sé. Non lo è perché non corrisponde semplicemente a una operazione del fare. Non è lasciato a sé perché questo rinnovamento è operazione di un fare creativo che corrisponde a una condotta che accresce e chiarisce l’agire umano.

Il rinnovamento che l’uomo sviluppa nell’esperienza è, in tal modo, una ricostruzione che deve prendere una “direzione previdente”.

A questa direzione, di cui si fanno carico l’attività creativa e con essa quella educativa, l’uomo consegna ogni sua speranza per il futuro della condizione umana93.

Tale virtù (perché la speranza è una virtù) deve avere consistenza e relazione con la realtà. La speranza per il futuro deve ancorarsi a un atto che sconfessi e che superi l’autorità della ragione (una ragione estraniatasi dalla realtà) che facilmente cade nell’errore quando le sue argomentazioni perdono contatto o interesse nei confronti dell’espe- rienza diretta della realtà.

L’impegno, nel quale si spera, è da rivolgere a una creatività che liberi il proprio spirito di autonomia e che agisca criticamente per far sì che il cambiamento continuo, a cui nulla si sottrae, sia effettivamente crescita anche della condizione umana.

93 Così scrive lo psicologo Viktor Lowenfeld, a metà del XX secolo, denunciando

l’urgenza di un impegno comune nella scoperta di che cosa renda altamente creativo un individuo affinché possa partecipare con interesse e passione, con entusiasmo e dedizione alla costruzione di qualcosa di importante per sé e per la società: «Nella nostra era che vede l’aumento della delinquenza giovanile e delle psicopatie, nella nostra era in cui l’uomo sembra sotto la spada di Damocle dell’autodistruzione per effetto delle forze portentose scatenate dalla sua mente, è nostro dovere scoprire metodi che consentano di impiegare creativamente il potere del suo intelletto, che ci mettano in grado di costruire anziché distruggere. E non c’è tempo da perdere (…). Possiamo insegnare argomenti e materie a non finire; possiamo “adattare” fin che vogliamo un ragazzo al suo ambiente; con il concorso di una buona dose di fortuna possiamo perfino escogitare la maniera per insegnargli una materia (vale a dire i dati storici, matematici, scientifici e così via) e di “adattarlo” a un tempo ma – e questo è il nocciolo della questione – se il ragazzo non sarà capace di applicare creativamente quanto ha imparato, non potrà mai dare alla società quei contributi che “sfondano le barriere”. Non potrà mai impiegare le sue conoscenze e le sue energie nella

fruttuosa ricerca di nuovi modi di vita, di lavoro, di divertimento e realizzarli in un mondo pacifico anziché sconvolto dalle guerre. (…) Abbiamo accumulato una

quantità di nozioni e una quantità di Know how, di abilità in campo tecnico. Adesso

è il momento di conciliare le conoscenze acquisite con il loro impegno sociale» (V.

LOWENFELD, Creatività. La Cenerentola dell’educazione, in S.J. PARNES, H.F. HARDING, [edd.], A Source book for Creative Thinking [1962], trad. it. di L.

Magliano, Educare al pensiero creativo, La Scuola, Brescia 1972, pp. 29, 31, 41,

La speranza deve potersi affidare a un atto che – laddove sia coltivato da una abitudine intelligente – si faccia continua ed effettiva possibilità di ricostruzione, quindi di senso, della realtà e dell’esperienza della vita umana quale spazio di vita sociale, quale spazio della mediazione che determina, elabora e risolve i problemi che possono nascere all’interno della “coordinazione” dell’agire sociale.

La speranza e la connessa ansietà, «che sono non conclusi stati di sentimento ma atteggiamenti attivi di accoglimento e di cautela», devono allora farsi ed essere qualità dominanti dell’esperienza94,

qualità che potranno mantenere viva l’attenzione di quel fare che, pensato creativamente, deve promuovere il vivere democratico.

Di fronte alla speranza e all’ansietà, affinché il fare dell’intel- ligenza creativa sia «a servizio di una vita veramente umana»95, è

dunque necessario che il pensiero – in primo luogo – agisca avendo sempre presente i problemi realmente vissuti nell’esperienza della vita e – nello stesso tempo – agisca alla ricerca di una loro soluzione sempre rivedibile.

In particolare, i cambiamenti attuali (in ragione di una attualità che perdura) sempre più rapidi, in uno spazio sempre più ampio e con una penetrazione sempre più profonda hanno bisogno di una ricostruzione che sia realmente attenta al tessuto nel quale deve prodursi: «La ricostruzione da intraprendere non consiste nell’applicare l’“intelligenza” come qualcosa di pronto all’uso»96. Non ci si può

affidare a decisioni o princìpi passati. L’esperienza richiede un atto creativo che, con il suo fare reale e sperimentale, ponga – per la speranza e l’ansia dette – la questione delle conseguenze.

La creatività – soffermandosi a pensare, contrastando la rapidità dell’impulso, superando l’immediatezza di ciò che accade, valutando il complesso intreccio degli antecedenti e delle conseguenze e mettendone in ordine gli elementi – deve quindi trasformare l’esperienza secondo prospettive che siano autentiche (nel senso di reali) occasioni di libertà e di felicità.

94 Ibidem, p. 44.

95 J . DEWEY, Individualism old and new (1930), trad. it. di F. Villani,

Individualismo vecchio e nuovo, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 129.

«È possibile essere a un tempo gioiosi e seri»97. Questa è la

condizione ideale affinché l’uomo possa agire nel mondo e per il mondo.

Lo stesso Dewey consegna al lettore il suo tentativo di rispondere alla necessità di risanare il pensiero dell’uomo sul mondo – e, per l’intrinseca e naturale connessione tra pensiero e azione, anche l’azio- ne dello stesso uomo nello stesso mondo – definendolo “una fede”: «La fede nel potere dell’intelligenza a immaginare un futuro che è la proiezione di ciò che è desiderabile nel presente e a inventare gli strumenti della sua attuazione è la nostra salvezza. Ed è una fede che

deve essere alimentata»98.

La storia dell’umanità è lunga. Al fare pensato creativamente occorre allora affidare il compito di trovare soluzioni intelligenti che ne esaminino, espandano e accrescano le possibilità migliori: quelle “libere” e “felici”99.

97 ID., Come pensiamo, cit., p. 251.

98 ID., L’intelligenza creativa, cit., p. 110, corsivo nostro.

99 «La storia dell’umanità è lunga: c’è una lunga testimonianza di passate

esperienze di condotta e vi sono delle cumulative verifiche che danno a molti princìpi un prestigio ben meritato. Trascurarli con leggerezza è il colmo della stoltezza. Ma la situazione sociale si muta; ed è altresì stolto il non osservare come i vecchi princìpi agiscono attualmente in condizioni nuove, ed il non modificarli in modo da renderli strumenti più efficaci nel giudicare i nuovi casi. Non si tratta di scegliere tra il gettar via le regole sviluppatesi precedentemente o l’attaccarsi ostinatamente ad esse: la soluzione intelligente è di esaminarle, espanderle e aiutarle» (ID., Natura e condotta dell’uomo, cit., pp. 254-255).

I confini del fare

Nel documento Confini della creatività (pagine 91-95)