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Una creatività composta

Nel documento Confini della creatività (pagine 132-136)

I confini dell’essere

6.4 Una creatività composta

Non si tratta di cancellare quanto è stato creato. In questione non c’è tanto “la cosa fatta”. L’alterazione subita non porta nemmeno ad accusare o a rifiutare i sogni o l’artificio di cui l’uomo da sempre si mostra capace e con cui, di volta in volta, ha portato avanti un progetto di esistenza.

Occorre, invece, studiare “l’azione che fa” e riconoscere come opera il pensiero che la compie, per comprendere dove ha potuto cominciare a farsi scomposta ed esagerata.

Nella trasformazione compiuta su ispirazione di un sogno che interpreta la realtà, l’“azione che fa” – azione propria del pensiero che crea – vede necessariamente il concorso di “valore” e di “produzione”160.

«Il vero senso di una certa scelta o di un certo sforzo di un creatore si trova spesso al di fuori della creazione stessa, e risulta da una

158 «Le condizioni della vita moderna tendono in maniera inevitabile,

implacabile, a livellare gli individui, a livellare i caratteri, ed è, purtroppo e senza scampo, sul livello più basso che la media tende a uniformarsi. La cattiva moneta caccia la buona» (ID., La politica del pensiero, nostro sommo bene, cit., p. 78).

159 Ibidem, p. 79.

160 Lo stesso Valéry dichiara di prendere a prestito i termini di “valore” e di

“produzione” dall’economia: «Sia per la loro somiglianza che per le loro diverse applicazioni, questi concetti espressi con termini identici ci ricordano come, in due ordini di fatti apparentemente molto distanti gli uni dagli altri, si pongano i problemi della relazione tra le persone e il loro ambiente sociale» (ID. , Première leçon du

cours de poétique [1937], trad. it. di M.T. Giaveri, Prima lezione del corso di poetica, in ID., La caccia magica, Guida Editori, Napoli 1985, pp. 128-130).

preoccupazione più o meno cosciente dell’effetto che verrà prodotto e delle conseguenze per il produttore»161.

Allo stesso modo il pensiero, nel creare passando dal sogno all’arti- ficiale, lavora alla continua revisione di quanto produce la propria immaginazione, poiché passa incessantemente dal “Medesimo” al- l’“Altro” e dall’“Altro” al “Medesimo”, dal produttore al

consumatore e dal consumatore al produttore.

Nell’esperienza “equilibrata” dell’artificiale, il pensiero opera al- l’interno di una esperienza che presenta due ordini distinti, ma comunque compresi in un unico e unitario processo di creazione: l’or- dine di colui che produce e l’ordine di colui che, destinatario della produzione, prosegue la trasformazione della realtà usufruendo di quanto prodotto.

La scena dell’artificiale è, dunque, teatro di una esperienza di pensiero più ampia, poiché esperienza di un pensiero che, nel creare, produce e – nello stesso tempo – valuta.

Il circuito produttivo si estende oltre il termine della produzione (il prodotto) e comprende una nuova trasformazione che inizia con l’azione del consumo del prodotto finito: in ragione di questo prosieguo (che ha le caratteristiche non soltanto del “seguito”, ma soprattutto della “conseguenza”), il pensiero che trasforma la realtà, segnandola artificialmente, è pensiero che agisce facendo della propria azione una produzione che non può non implicare la valutazione dell’azione che la seguirà come conseguenza.

La produzione del pensiero creativo deve necessariamente essere, per evitare la deriva e la conseguente oppressione dell’artificiale, “produzione di valore”.

Una produzione di valore è la produzione compiuta avendo sempre l’attenzione rivolta allo scenario produttivo completo: uno scenario all’interno del quale la produzione, non terminando con il prodotto, ma proseguendo nei gesti di coloro che lo ricevono e lo consumano, è pensata nel rispetto di tutti i suoi attori.

È di valore, poi, quella produzione che ha come punto di riferimento l’uomo compreso non semplicemente quale attore di

produzione e di consumo, ma come espressione di una “vita interiore” fatta anche e soprattutto di legami relazionali e sentimentali.

Per essere di valore, la produzione non si può pertanto esaurire nel risultato di processi riconducibili a operazioni materiali, funzionali e strumentali.

L’artificiale a cui il pensiero deve dedicare la propria forza creativa non ha unicamente lo statuto dell’oggetto, definito o definibile al punto tale da avere una esistenza propria, distinta da quella del pensiero che l’ha creato.

L’artificiale non può scavalcare il pensiero, decidendone l’azione. L’artificiale non può, se non a scapito dell’equilibrio della stessa trasformazione, decidere di sé da sé e auto-prodursi.

Al contrario, la produzione dell’artificiale va vissuta e interpretata dal pensiero che la compie come una “opera di emanazione”. Se così è, diventa impossibile che tale produzione non dica dell’essere che la compie. Se così è, il pensiero che trasforma con la propria produzione la realtà ha nell’“essere dell’uomo” il “limite”, oltre il quale non è possibile andare, e il “criterio”, con cui decidere delle scelte di produzione162.

Per essere di valore, per poter avere un significato che va oltre il mero consumo, ogni produzione non può né deve così risolversi nella somma dei suoi componenti, nell’impianto del suo progetto, nel suo meccanismo di funzionamento.

Nella produzione, il pensiero ha il compito di porre le condizioni affinché quanto prodotto/fatto/creato abbia la forma e la forza della “azione”, abbia – cioè – la forma e la forza di un movimento che segna il senso e la direzione del futuro dell’uomo.

Il pensiero, proprio in quanto capacità creativa, deve allora produrre una opera che implichi “un legame continuato” tra quanto

162 La forza creativa del pensiero che agisce avendo nell’“essere dell’uomo” il

proprio limite e il proprio criterio definisce una singolare attività: «Quello che è essenziale nel creatore – scrive Gabriel Marcel – è l’atto mediante il quale egli si mette a disposizione di qualcosa che dipende in un certo senso da lui per esistere, ma che nello stesso tempo gli si presenta come al di là di ciò che egli è e può credersi capace di trarre direttamente e immediatamente da sé» (G. MARCEL, Homo viator:

prolégomènes à une métaphysique de l’espérance [1945], trad. it. di L. Castiglione e

M. Rettori, Homo viator: prolegomeni a una metafisica della speranza, Borla, Torino 1967, p. 33).

prodotto e quanto verrà prodotto dal consumo che ne sarà fatto da altri pensieri163; un legame che sia costruzione di un “destino” comune; un

legame che non vincola alla ripetizione il consumo che segue la produzione, ma che lo richiama e lo impegna in una nuova produzione, altrettanto creativa, del medesimo senso.

Se questa ha da essere la struttura del pensiero che crea “l’azione che fa”, la creatività ha la possibilità di riscattare l’artificiale attuale e di restituirlo al sogno164.

Per poter ancora fare dell’artificiale una esperienza di valore umano, per poterne ancora fare una esperienza il cui senso non si consuma nell’immediatezza della situazione presente, è indispensabile riconoscere nella capacità creativa del pensiero una capacità di “composizione”165.

Nella trasformazione della realtà in esperienza artificiale, il pensiero compone una azione di “combinazione” con una azione di “scelta”. Combinare e scegliere sono gli atti che compongono il pensiero creativo: l’azione con cui il pensiero trasforma la realtà, per poter essere trasformazione di valore, deve essere “composta”.

Il riscatto dell’artificiale passa necessariamente per una creatività che torna a scegliere e che torna a scegliere “per il bene”.

La scelta da recuperare non può essere, dunque, la scelta dell’uomo che crea solo per sé. La sola scelta che è in grado di riportare l’artificiale a un sogno “reale” è quella che risponde “in nome” dell’uomo e “per” l’uomo.

163 È un pensiero che crea poeticamente: «Una poesia è un discorso che esige e

implica un legame continuato tra la voce che è e la voce che viene e deve venire» (P. VALÉRY, Prima lezione del corso di poetica, cit., pp. 135)

164 «Una goccia di vino che cade nell’acqua la colora appena e tende a

scomparire, dopo una nuvola rosa. Questo è il fenomeno fisico. Ma supponete ora che poco tempo dopo questa scomparsa e questo ritorno alla limpidezza, in quel vaso che sembrava di nuovo ricolmo d’acqua pura, si formino, qua e là, delle gocce di vino scuro e puro: che stupore …» (ID., La crisi del pensiero, cit., p. 39).

165 «Bisogna essere in due per inventare. L’uno forma le combinazioni, l’altro

sceglie, riconosce quello che desidera e che gli interessa nell’insieme dei prodotti del primo. Ciò che chiamiamo “genio” è molto meno l’atto del primo – l’atto che combina – e molto più la prontezza del secondo a comprendere il valore di ciò che è appena stato creato e ad afferrarne il prodotto» (ID., De la simulation, in «Nuovelle

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