• Non ci sono risultati.

Lo spazio del disvelamento

Nel documento Confini della creatività (pagine 59-62)

I confini della sperimentazione

3.4 Lo spazio del disvelamento

Questo stesso spazio del nascondimento, non un altro diverso e successivo, è lo spazio del disvelamento. La verità che si nasconde è verità che si disvela.

vestito o un velo, si tratta ancora di nascondere una superficie sotto un’altra superficie: tutto quello che si nasconde in questo modo diventa invisibile ma resta nell’ordine della visibilità, costitutivamente visibile (…). 2. Ma c’è anche l’invisibilità assoluta e assolutamente non visibile, tutto quello che non dipende dal registro della vista: il sonoro, il musicale, il vocale o il fonico, ma anche il tattile e l’odorifero. E il desiderio, come la curiosità, come l’esperienza del pudore e della messa a nudo del segreto, lo svelamento delle pudenda o il “vedere nel segreto” (vivere in abscondito), tutto questo movimento che porta nel segreto al di là del segreto gioca senza tregue, non può che giocare tra questi pentagrammi dell’invisibile: l’invisibile come visibile nascosto, l’invisibile criptato o il non- visibile come altro dal visibile» (ibidem, pp. 121-122).

Quello che l’uomo deve recuperare resta un percorso da aprire e a cui aprire l’esistenza. Il divenire, non più immaginato (né immaginabile) come l’alternanza di opposti che, seppur legati, trovano la propria affermazione nella negazione dell’altro, è un processo di trasformazione, molteplice e costante, di molteplici divenire. E la realtà, non più organizzata in modo binario (soggetto-mondo) né ordinata su una causa finale, è una molteplicità di piani.

Nel nascondimento, nella molteplicità di cui è ricco il nascondimento, c’è pertanto – immanente – la possibilità (sempre inedita e diversa) della creazione quale sperimentazione del disvelamento dell’unica verità possibile (il divenire): creazione, dunque, quale sperimentazione della genesi stessa del divenire.

La verità, proprio in quanto accadere di ciò che l’esistenza è e può essere, è libertà creativa. Come tale, le è del tutto estraneo il modo di darsi come mera replica dell’esistenza già vissuta: essa è ed esiste sempre e unicamente come possibilità “supplementare”.

Tale sperimentazione, per la sua immanenza costitutiva, è attività del divenire che può manifestare incompletezza, lacunosità e confusione. Ma quello che può apparire una mancanza da colmare e da risolvere in un completamento è, al contrario, il segno di una inesauribile ricchezza: il gioco della genesi della vita del divenire può soltanto essere giocato da una creatività all’opera come tatônnement.

Nel tatônner non c’è prospettiva ultima, non c’è prima né dopo, non c’è previsione che dica del divenire prima che divenga. Toucher è il solo gesto con cui la soggettività dell’individuo genera e fa essere il divenire: il gesto di una creatività che è affermazione della vita, affermazione della vita quale evento e, in quanto tale, della vita come imprevisto imprevedibile; l’atto di una creatività che esplora nella notte.

Lo “statuto” del tatônnement (diverso e distante dalla prova o dal compito quali figure pedagogiche che danno forma di necessità al processo educativo) fa di questa sperimentazione, che è genesi, una δόξα, una verità cioè che fa la propria comparsa e, subito dopo, scompare, senza lasciare traccia di significato vincolante e determinante per altra azione o altro essere.

In questo flusso di creatività che lascia essere, l’opera creativa non è, dunque, azione che vuole significare una appartenenza (a colui che

ne è l’autore). Né è azione che vuol significare una dipendenza: non è infatti rivolta alla costruzione di un soggetto chiuso, sempre identico a sé.

È soltanto attraverso una azione creativa quale espressione libera (parola, gesto, relazione) che questo scenario apre all’uomo ciò che è e che, insieme, deve diventare. L’opera della creatività immanente alla soggettività che diviene è, e non potrebbe essere altro, attraversamento che crea (modi di) esistenza59.

La creatività che disvela si fa così “speculazione che si avventura”60.

È una creatività che si fa debordante. Si tratta di un lasciar essere che non si misura se non con se stessa in quanto potenza: è – di fatto – azione che, nel creare, fa accadere l’evento incrociando le forze che vivono nell’unico piano possibile, quello (caotico, pieno e indefinito) dell’esistenza immanente alla realtà.

L’azione creativa è in tal modo immancabilmente “eccedenza”, grazie alla quale è possibile divenire e continuare a divenire altro, veicolando inedite forze.

Solo in questa apertura, lasciata alle possibilità che porta con sé l’accadere di un momento, è custodita una abbozzata promessa di felicità. Il criterio, impropriamente definito criterio, del “momento” non abbandona l’uomo e la sua esistenza all’apparenza o al capriccio, all’isolamento o al disordine del frammento. Esso vuol essere la “misura/dismisura” di uno spazio sempre a p e r t o i n c u i , nell’espressione che ne dà la singola azione, colui che diviene può essere e sentirsi felice.

Questa tensione verso un ulteriore altro momento non ha il senso pedagogico (il rigore o i vincoli di una educazione metafisicamente ispirata) di un compimento. Il principio che muove l’intenzione verso

59 «Un modo di esistenza è buono o cattivo, nobile o volgare, pieno o vuoto,

indipendentemente dal Bene e dal Male e da ogni valore trascendente; non c’è mai stato altro criterio che il tenore di esistenza, l’intensificazione della Vita» (G. DELEUZE, F. GUATTARI, Qu’est-ce que la philosophie? [1991], A. De Lorenzis, Che

cos’è la filosofia?, Einaudi, Torino 1996, p. 54).

60 J. DERRIDA, Mémoire d’aveugle. L’autoportrait et autres ruines (1990), A.

Cariolato e F. Ferrari, Memorie di cieco: l’autoritratto e altre rovine, Abscondita, Milano 2003, p. 9.

una ulteriore soluzione non è la perfezione, bensì l’impossibilità ontologica di raggiungere una forma adeguata e conforme a una qualche identità riconosciuta quale vera e immutabile.

Non esiste una forma universalmente riconoscibile che contenga, piegata in essa, l’infinita possibilità d’essere propria del divenire. Non esiste forma che orienti, attraverso una sorta di anticipazione, di proiezione o di progetto, il percorso dell’esistenza al mondo secondo un solo e unitario senso.

Il divenire coincide con un processo di identificazione di sé, in quanto sé e per sé. Ma, dal momento che nemmeno il sé può esistere come centro da confermare e al quale ritornare, tale costruzione è nello stesso tempo decostruzione61: se la vita del soggetto, per la

propria immanenza e per la propria potenza, smette di essere personale (laddove la “persona” è concepita quale contenitore nel quale piegare l’infinita possibilità del divenire), quel gioco che si fa nascondimento e disvelamento si fa, ugualmente, decostruzione.

Nel documento Confini della creatività (pagine 59-62)