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3. Il divieto di concessione dei benefici penitenziari: l’art. 4-bis ord. penit

3.1. L’evoluzione normativa

2 Cfr. B.GUAZZALOCA –M.PAVARINI,L’esecuzione penitenziaria, in F.BRICOLA –V.ZAGREBELSKY

Il d.l. 152/1991, come appena ricordato, introduceva l’art. 4-bis ord. penit. nell’ordinamento penitenziario, modificato poi a più riprese fino alla l. 172/2012. In questa sede ci limiteremo ad un’analisi dei più rilevanti mutamenti normativi dell’istituto3.

Nella sua prima formulazione l’art. 4-bis ord. penit. prevedeva una disciplina differenziata da quella ordinaria per la concessione di benefici penitenziari e misure alternative nei confronti di alcune categorie di condannati, individuati sulla base del titolo del reato. Le categorie erano essenzialmente due.

Alla prima categoria appartenevano i condannati per i reati di c.d. prima

fascia, cui appartenevano gli autori dei reati inerenti alla criminalità organizzata. In

questo caso la concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative era subordinata alla prova dell’assenza di collegamenti con le associazioni criminali e all’espiazione di una parte di pena più consistente rispetto al regime ordinario4.

La seconda categoria di condannati riguardava gli autori di reati (c.d. seconda

fascia) di grave allarme sociale anche in assenza di collegamenti di tipo associativo5. Questi soggetti potevano accedere alle misure alternative e ai benefici penitenziari dopo l’espiazione di una parte di pena più lunga richiesta agli altri condannati, salvo

3 Per un’analisi più approfondita si rinvia a C.CESARI –G.GIOSTRA,Art. 4-bis, in V.GREVI -G. GIOSTRA –F.DELLA CASA (a cura di),Ordinamento penitenziario commentato, Padova, 2011, p. 47 ss.

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I reati di prima fascia erano: i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, i delitti di cui all’art. 416-bis c.p. e quelli commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare le associazioni previste dall’art. 416-bis c.p., i delitti di cui all’art. 630 c.p. e i delitti di cui all’art. 74 D.P.R. 309/1990.

5 I reati di seconda fascia erano: i delitti di cui agli artt. 575 c.p., 628 co. 3 c.p. e art. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate di cui all’art. 80 co. 2 DPR 309/1990.

che non ci fossero elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata.

Tuttavia, per le categorie di condannati contemplate nell’art. 4-bis ord. penit., l’art. 58-ter ord. penit. consentiva l’accesso alle misure alternative e ai benefici penitenziari nel caso in cui ci fosse stata un’utile collaborazione con la giustizia del condannato6 senza dover espiare i termini più lunghi di pena previsti per i non collaboranti. In questo modo la collaborazione era uno strumento per parificare alla generalità dei condannati determinate categorie di condannati considerati più pericolosi in base al titolo del reato7.

Introdotto a seguito delle stragi di Capaci e via D’Amelio nelle quali erano stati uccisi i giudici Falcone e Borsellino, il d.l. 306/1992 ha modificato l’impianto dell’art. 4-bis ord. penit. incidendo in modo significativo sulla disciplina riguardante i condannati ai reati di prima fascia, ossia inerenti la criminalità organizzata. Per questi soggetti la concessione dei benefici penitenziari era subordinata alla collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter ord. penit. In questo modo la collaborazione diventava una condicio sine qua non per l’accesso a forme

6 Art. 58-ter originario: “Le disposizioni del comma 1 dell'articolo 21, del comma 4 dell'articolo 30- ter e del comma 2 dell'articolo 50, concernenti le persone condannate per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell'articolo 4-bis, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati. Le condotte indicate nel comma 1 sono accertate dal tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione.

7 A.DELLA BELLA,Il regime detentivo speciale del 41-bis: quale prevenzione speciale nei confronti della criminalità organizzata?, Milano, 2012, p. 118.

extramurarie di esecuzione della pena. La ratio di tale previsione è rintracciabile in una presunzione assoluta di pericolosità del condannato, fondata a sua volta sulla presunzione della persistenza in capo al condannato del vincolo con l’associazione criminale di appartenenza dopo la condanna8. La presunzione è superabile solo con la collaborazione, unica condotta ritenuta idonea a rompere il vincolo associativo9. Da questo momento in poi l’elemento della collaborazione assumerà un ruolo centrale nella configurazione dell’art. 4-bis ord. penit.10

La scelta legislativa sottesa alla decretazione antimafia è stata quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per determinati delitti (in particolare delitti di criminalità organizzata) secondo la formula del c.d. doppio

binario mirante alla diversificazione del trattamento dei condannati in ragione del

differente grado di pericolosità sociale.

La novella del 1992 prevedeva inoltre l’equiparazione della collaborazione utile ex art. 58-ter ord. penit. a forme di collaborazione oggettivamente irrilevante nel caso in cui erano state applicate le circostanze attenuati di cui agli artt. 62 n. 6, 114, 116 n. 2 c.p. e fosse stata accertata la mancanza dell’attualità di collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza. Dunque in questo caso l’accesso ai benefici

8 Dati oggettivi dimostrano come spesso il vincolo mafioso non si spezza nemmeno dopo la condanna definitiva. Gli episodi sono numerosi: emblematico fu il brindisi nel carcere di Ucciardone per festeggiare la strage di via D’Amelio, con champagne portato in carcere i giorni precedenti all’attentato. Oppure l’omicidio di Pietro Marchese nel 1982, su ordine di alcuni boss detenuti. Per ultimo si cita il caso del boss dei Casalesi Giuseppe Setola che il 12/11/2014, durante il processo, ha deciso di non collaborare più con la giustizia, affermando di aver collaborato solo per avere un trattamento penitenziario di favore, inventando storie e versioni inesistenti; cfr. M.PAVARINI, Art. 4-bis, in B.GUAZZALOCA (a cura di), Codice commentato dell’esecuzione penale, Torino, p. 7 ss.

9 Cfr. A.DELLA BELLA,Il regime detentivo speciale del 41-bis, Ibidem.

penitenziari era permesso con la sola “offerta” di una collaborazione anche se poi risultava inutile11.

Recependo le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, il legislatore ha poi esteso la disciplina della collaborazione inutile a tutti i casi in cui l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia12.