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Pena, rieducazione e Costituzione. – 4. Ergastolo e principio rieducativo. – 4.1. L’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 16 giugno 1956. – 4.2. Le critiche all’ordinanza. – 4.3. La sentenza 264/1974 della Corte costituzionale – 4.4. (Segue): La polifunzionalità della pena. – 4.5. (Segue): La liberazione condizionale come condizione di compatibilità dell’ergastolo con la Costituzione. – 4.6. La sentenza 274/1983 della Corte costituzionale e l’evoluzione del concetto di reinserimento sociale. – 5. Il carattere fisso dell’ergastolo. – 6. La presunta incostituzionalità dell’art. 22 c.p. per disparità di trattamento tra ergastolani. – 7. Ergastolo e divieto di trattamenti inumani. – 8. Applicabilità dell’ergastolo al minore imputabile. – 9. Il c.d. ergastolo ostativo: questioni di costituzionalità di una pena effettivamente perpetua (rinvio).

1. Introduzione al problema.

L’ergastolo è da molti anni al centro di una disputa dottrinale che ha portato a dubitare seriamente della legittimità costituzionale di tale pena. Le critiche mosse all’ergastolo in termini di sua legittimità, sono molteplici e se ne darà conto nel corso del capitolo, ma quelle più rilevanti che sono state oggetto di maggior attenzione, sono essenzialmente due.

In primo luogo, l’ergastolo sembra urtare con il principio rieducativo sancito nell’art. 27 co. 3 Cost. che consiste in un processo volto a restituire al condannato l’idoneità a vivere nell’ambiente sociale1.

In secondo luogo, sembra creare problemi di legittimità costituzionale il carattere fisso dell’ergastolo che si porrebbe in contrasto con le esigenze di individualizzazione della pena che si ricavano dagli artt. 3 e 27 Cost.2.

La Corte costituzionale è intervenuta a più riprese su questo argomento sostenendo sempre la compatibilità della pena dell’ergastolo con l’ordinamento costituzionale.

2. Le teorie della pena.

Per comprendere i rapporti tra l’ergastolo, la sua finalità e la sua legittimazione, è doveroso richiamare le teorie della pena alla luce delle pronunce della Suprema Corte e della Corte costituzionale sulla legittimità dell’art. 22 c.p.

2.1. La teoria retributiva.

1

G.MARINUCCI -E.DOLCINI,Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2012, p. 556. “Una pena che, per il suo carattere di perpetuità, escluderebbe a priori il ritorno del condannato nella società sembra urtare contro il principio sancito nell’art. 27 co. 3 Cost”; Cfr. E.DOLCINI,La commisurazione della pena, Padova, 1979, p. 107.

2 Cfr. L.BROLI – F.KING,Art. 22 c.p., in E.DOLCINI –G.MARINUCCI (a cura di), Codice penale commentato, Milanofiori, Assago, 2011, p. 316.

La teoria retributiva si caratterizza per la legittimazione della pena statuale mediante l’inflizione di un male da parte dello Stato per compensare il male che un uomo ha inflitto ad un altro uomo o alla società3.

E’ una teoria c.d. assoluta poiché disinteressata agli effetti della pena e svincolata da un qualsiasi fine da raggiungere con la medesima. Si punisce perché è giusto, senza assegnare uno specifico scopo alla pena.

La concezione odierna di retribuzione non fa riferimento alla sola prospettiva degli scopi della pena, ma implica l’idea di proporzione tra entità della sanzione e gravità dell’offesa arrecata. Ciò fa sì che il reo avverta la sanzione penale come giusta assumendo un atteggiamento di maggiore disponibilità verso il processo rieducativo4.

2.2. La teoria generalpreventiva.

La teoria generalpreventiva rientra nel novero delle teorie c.d. relative, incentrate sugli effetti della pena.

La generalprevenzione legittima la pena come mezzo per orientare la collettività nelle proprie scelte comportamentali e ridurre il tasso di criminalità: in primo luogo, mediante l’intimidazione correlata al contenuto afflittivo della sanzione, la pena viene legittimata poiché si pone come deterrente rispetto al compimento dei reati (c.d. prevenzione generale negativa)5. In secondo luogo, la

3 G.MARINUCCI -E.DOLCINI,Manuale di diritto penale, op. cit., p. 4.

4 Cfr. G.FIANDACA –E.MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2010, p. 716.

5 Cfr. C.E.PALIERO,Oggettivismo e soggettivismo nel diritto penale italiano, Milano, 2006, p. 46; G. MARINUCCI -E.DOLCINI,Manuale di diritto penale, op. cit., p. 4 ss.

funzione generale della pena esplicherebbe la propria efficacia anche come meccanismo di ingegneria sociale6 poiché, nel lungo periodo, l’applicazione della pena legittima il sistema penale agli occhi dei consociati. In altre parole, l’effetto di orientamento culturale dovrebbe sostituirsi all’obbedienza dettata dal timore della pena (c.d. prevenzione generale positiva).

Le funzioni di deterrenza e di orientamento culturale rispetto alla generalità dei cittadini sono determinanti soprattutto nella fase della minaccia perché se l’obiettivo è impedire la commissione di fatti socialmente lesivi, si deve fare in modo che l’ordinamento penale eserciti la sua influenza prima della loro commissione7.

In fase di commisurazione della pena, la prevenzione generale svolge un ruolo marginale. Il giudice non può quantificare la pena con lo scopo di determinare una pena esemplare nel tentativo di distogliere i cittadini dalla commissione di un reato della stessa specie di quello oggetto della condanna8.

Le pene esemplari si pongono in conflitto con due principi costituzionali. In primo luogo con il principio della personalità della responsabilità penale (art. 27 co. 1 Cost.), perché una parte di pena irrogata al singolo si fonderebbe non su ciò che ha fatto, ma su ciò che potrebbero fare in futuro altre persone e, in secondo luogo, con il

6 C.E.PALIERO,Oggettivismo e soggettivismo, Ibidem.

7

G.FIANDACA –E.MUSCO,Diritto penale, op. cit., p. 714.

8

E.DOLCINI,La commisurazione della pena, op. cit., p. 112. “Il rafforzamento della fiducia e del timore dei consociati nell’ordinamento penale non può essere motivo per l’applicazione di pene più elevate del necessario a conseguire le finalità essenziali. La prevenzione generale risulterà d’altra parte assicurata, in quanto ai potenziali trasgressori dei precetti penali si offra la possibilità di verificare il concretarsi della minaccia nella condanna”.

principio della dignità dell’uomo, in base al quale l’uomo non può essere un mezzo per conseguire scopi estranei alla sua persona9.

Infine, nella fase di esecuzione della pena, la prevenzione generale svolge un ruolo marginale: qui le attenzioni sono spostate sul trattamento rieducativo, e la deterrenza rimane in secondo piano.

2.3. La teoria specialpreventiva.

La specialprevenzione è una delle teorie relative della pena, e si caratterizza per concepire la pena come strumento per prevenire che l’autore di un reato commetta in futuro altri reati.

La teoria specialpreventiva si articola in quattro diverse forme. In primo luogo la prevenzione speciale può assumere la forma della risocializzazione, ove l’obiettivo prioritario è reintegrare il reo nella società nel rispetto della legge10. In secondo luogo, la specialprevenzione si manifesta nella forma della intimidazione rispetto a quelle persone per le quali la pena non può essere risocializzante11

Una terza subfunzione si realizza nella forma della neutralizzazione del condannato. L’obiettivo è rendere il condannato inoffensivo e metterlo

9 Cfr. G.MARINUCCI –E.DOLCINI,Manuale di diritto penale,op. cit., p. 15 ss.

10 Per realizzare tale istanza, la l. 354/1975 ha introdotto nell’ordinamento deli strumenti funzionali a consentire un’espiazione extra-murale della pena detentiva, si pensi a misure non strettamente custodiali come la semilibertà, l’affidamento in prova ai servizi sociali e la detenzione domiciliare.

11 Cfr. F.PALAZZO,Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2013, p. 15.L’autore sostiene che la prevenzione mediante intimidazione speciale consista nell’effetto intimidativo verso lo stesso soggetto cui è irrogata la sanzione che viene così ammonito a non reiterare la violazione dei precetti dell’ordinamento.

nell’incapacità materiale di violare norme penali per un certo lasso di tempo. Si realizza quando il destinatario della pena non risulti suscettibile di risocializzazione e non appaia sensibile agli effetti ammonitrici della pena.

Secondo parte della dottrina, un ulteriore corollario della teoria specialpreventiva si può individuare nella sua funzione di non ulteriore desocializzazione12. L’obiettivo è evitare che l’esecuzione della pena detentiva funga da strumento di ulteriore desocializzazione per il condannato. Questo è possibile grazie ad istituti come il lavoro all’esterno, i permessi premio e altre forme in grado di mitigare gli effetti di segregazione connaturati all’espiazione della pena.