• Non ci sono risultati.

L’evoluzione del principio “one share, one vote” nella legislazione

atomistico. 2.1. Un limite quantitativo alla emissione degli strumenti finanziari partecipativi. 3. Analisi del rapporto ownership-control a livello globale. 3.1. Strumenti finanziari nella s.p.a. 3.2. Golden quota nella s.r.l. 3.3. La dissociazione nelle società di persone. 4. Il principio di correlazione rischio-potere: canone fondamentalissimo o principio ormai superato?

1. L’evoluzione del principio “one share, one vote” nella

legislazione societaria

Nonostante sia oramai trascorso più di un decennio dalla riforma del diritto societario del 2003, questa continua ad essere considerata uno degli interventi più profondi sulla struttura della società per azioni176,

poiché ha segnato la modifica di diversi istituti preesistenti e l’introduzione di fattispecie del tutto nuove.

Come si è già avuto modo di precisare, il legislatore nel semplificare la disciplina delle società di capitali (e segnatamente delle s.p.a.) e nel

176 Si veda NOTARI M., Problemi aperti in tema di struttura finanziaria della s.p.a., in

Le società, 2005, 1, p. 5, il quale mette in risalto il fatto che diversi sono i profili problematici della riforma e afferma che ‹‹taluni sono problemi di scelta e, quindi, problemi ancora, se possibile, de iure condendo; altri sono invece problemi di ricostruzione del sistema che si è venuto a creare con le numerose novità legislative, e, quindi, problemi de iure condito››.

114

favorire la raccolta di capitali e l’accesso ai mercati finanziari ha valorizzato oltremodo il ruolo dell’autonomia statutaria attenuando l’autorità di diversi principi del diritto societario che in passato erano considerati intangibili. Come si evince dalle norme stesse, non è sempre facile riuscire a individuare i punti di equilibrio tra le istanze di liberalizzazione ed il rafforzamento di regole inderogabili177.

Nel sistema così riformato, la fattispecie degli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346 co. 6 c.c. sembra aver segnato un cambiamento epocale della società azionaria e, in particolar modo, della sua struttura finanziaria, da sempre imperniata sul modello binario azione-obbligazione, e della compagine sociale, oggi non più omogenea.

Terminato il tentativo di ricostruzione sistematica e applicativa dell’istituto, è doveroso chiedersi, allora, quali conseguenze gli strumenti finanziari abbiano determinato sul modello della società per azioni sotto un ulteriore profilo, quello della correlazione rischio- potere, ritenuto da sempre elemento caratterizzante le società per azioni178.

Il binomio rischio-potere179 è considerato fin dall’origine uno dei

pilastri del sistema capitalistico e principio fondamentale su cui è

177 Si veda MONTALENTI P., La riforma del diritto societario: prime valutazioni e

prospettive, in Le società, 2005, 1, p. 16.

178 È necessario per lo meno riflettere sulle implicazioni degli istituti che sembrano

deviare dallo standard del principio di proporzionalità. Si veda POMELLI A., Rischio d’impresa e potere di voto nella società per azioni: principio di proporzionalità e categorie azionarie, in Giur. comm., 2008, I, p. 510.

179 È dibattuto in dottrina quale posizione assumano i due termini all’interno del

binomio, se, cioè, si debba parlare di corrispondenza rischio-potere o di potere- rischio. Una trattazione logica che tenga conto della ratio da cui originerebbe tale relazione imporrebbe di dover anteporre il rischio al potere, poiché è dal primo che conseguirebbe il secondo. È dall’investimento, che ha natura di rischio, che nasce la

115

costruita la società per azioni ‹‹tanto da potersi forse affermare che la

storia stessa della società azionaria è, almeno in parte, la storia della corrispondenza tra proprietà e gestione180››181.

Sulla base di questo principio di correlazione chi investiva nella società azionaria poteva limitare la propria responsabilità a quanto apportato ed esercitare un’influenza sulla gestione mediante l’esercizio del diritto di voto, ad esempio attraverso la nomina e la revoca degli amministratori. Di fatti, sono considerati due corollari della relazione tra rischio e potere il principio della responsabilità limitata ed il principio maggioritario.

Il meccanismo per cui chi rischia in società debba essere dotato di un

minimum del potere decisionale trova riscontro sin da subito nella

disciplina normativa del diritto di voto182, che consentiva a tutti gli

necessità di esercitare un controllo sull’attività economica e sulla sua corretta gestione per accrescere al massimo la redditività dell’investimento e ridimensionare il rischio stesso.

180 Il principio di correlazione rischio-potere è talvolta riportato come legame fra

proprietà e gestione della società. Ci si riferisce in ogni caso al legame che si presume sussistente fra l’investimento di capitale in società e la partecipazione attiva alla gestione in proporzione al quantum investito. In proposito, CINCOTTI C., Le preferred shares nel diritto italiano: proprietà della società per azioni e strumenti finanziari ibridi, in Giur. comm., 2003, 5, p. 673, rileva come l’attuale struttura finanziaria e di controllo della società sia riconducibile a un insieme di contratti conclusi tra società e soci, tra società e terzi, o a un ‹‹coacervo di strumenti finanziari››.

181 MAROCCHI M., Sull’attualità della correlazione tra potere e rischio nella s.p.a.

riformata, in Contratto e impresa, 2014, 1, p. 221.

182 Sebbene non avesse originariamente la portata che poi assunse nella codificazione

del ’42, il principio per cui ‹‹a chi rischia dev’essere attribuito un sia pur minimo potere decisionale›› trovò espressione già nel Codice del commercio del 1882, ove si stabiliva che a ogni azionista doveva attribuirsi il diritto di voto nell’assemblea. Tuttavia, nemmeno allora poteva parlarsi di una precisa proporzionalità tra rischio e potere. Si veda MAROCCHI M., op. cit.

116

azionisti la partecipazione all’assemblea generale. La partecipazione all’assemblea, infatti, è da sempre considerata prerogativa dei soci, cioè di coloro che sottoscrivono il contratto sociale dando vita alla società. Ed è proprio nelle regole legate al diritto di voto che cominciò a farsi strada l’idea di una proporzionalità tra rischio, rappresentato dall’apporto a capitale sociale, e poteri di voice nell’impresa, traducibile inizialmente nel principio “un’azione, un voto”183.

Tale correlazione tenderebbe ad assicurare, sebbene non in maniera assoluta, che l’impresa societaria sia gestita in maniera efficiente poiché chi rischia di più, e quindi ha maggior potere decisionale, è incentivato a una gestione prudente.

La mancata proporzionalità tra rischio e potere di chi investe nell’impresa, infatti, può avere conseguenze negative sulla gestione. Basti pensare al rischio di mala gestio cui potrebbe andarsi incontro qualora alcuni soci a fronte di un rischio modestissimo siano, invece, dotati di poteri (diretti o indiretti) nella gestione capaci di determinare un’influenza non indifferente.

183 SAGLIOCCA M., Il definitivo tramonto del principio “un’azione, un voto”: tra azioni

a voto multiplo e maggiorazione del voto, in Riv. not., 2014, 5, p. 921, chiarisce in modo esaustivo come in origine il principio “un’azione, un voto” fosse in realtà il frutto dell’unione di tre differenti regole: 1 - non era possibile attribuire il diritto di voto a soggetti diversi dai soci (“nessun voto senza azione”); 2 - non era possibile privare i soci del diritto di voto (“nessuna azione senza voto”); 3 - infine, non era possibile l’emissione di azioni a voto plurimo (“una azione, un voto soltanto”). Secondo SPOLIDORO M. S., Il voto plurimo: i sistemi europei, in Riv. soc., 2015, 1, p. 134, invece, tale principio riassumeva ben sei enunciati: 1 - tutte le azioni hanno diritto almeno a un voto; 2 - ogni azione ha un voto in tutte le assemblee; 3 - l’attribuzione e l’esercizio del diritto di voto non sono subordinati a condizioni; 4 - nessuna azione ha più di un voto; 5 - il voto di chi ha più azioni vale tanti voti quante sono le azioni possedute per cui interviene in assemblea; 6 - solo chi è legittimato dal possesso qualificato di azioni può intervenire all’assemblea e può votare.

117

La correlazione rischio-potere, dunque, si ritiene permei da sempre la normativa societaria, nonostante non si ritrovi in alcuna espressa

previsione legislativa184, in quanto la sua esistenza sarebbe intrinseca

al fenomeno societario in sé. Ne costituirebbe la prova il fatto che la stessa codificazione del 1942 sancì uno dei suoi principali corollari proprio in apertura dell’art. 2351 c.c., stabilendo che ad ogni azione dovesse corrispondere il diritto a un voto (veniva sancito, appunto, il principio “un’azione, un voto”).

Questo quadro originario sembra aver subito nel tempo diverse modifiche che hanno condotto a un affievolimento graduale della correlazione rischio-potere, consolidatosi poi ulteriormente proprio con la riforma societaria del 2003. Per tale ragione, bisogna chiedersi se, guardando alla situazione attuale, una correlazione tra rischio e potere esista e sia necessaria nella società per azioni, nonché in che modo il legislatore e l’autonomia privata possano interagire rispetto a questo profilo.

La possibilità di derogare alla proporzionalità fra conferimento a

capitale e numero di azioni assegnate185 aveva già rappresentato una

184 Si veda SPOLIDORO M. S., op. cit. Secondo l’a. il principio one share, one vote, così

come quello della correlazione rischio-potere, sarebbero semplicemente il frutto di una scelta politica, non degli elementi insiti nella natura della società per azioni. Infatti, è vero che per garantire una sana gestione ‹‹occorre riconoscere maggior potere a chi rischia di più››, tuttavia ‹‹non vi è alcuna garanzia che chi rischia di più sia più cauto, più assennato e lungimirante di chi rischia meno››.

185 Parte della dottrina ritiene addirittura che, purché sia coperto per intero il capitale

sociale, un socio possa anche ottenere un certo numero di azioni a fronte di un conferimento pari a zero. Si veda MAGLIULO F., Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Ipsoa, 2004, p. 18. Tuttavia, bisognerebbe poi riflettere sulle conseguenze che si determinerebbero sullo status di socio e sui relativi diritti che, invece, dipenderebbero proprio dall’esecuzione del conferimento. Sulla possibile diversità di trattamento dei soci solleva interrogativi OPPO G., Quesiti in tema di

118

prima forma di indebolimento del binomio rischio-potere, nonostante tale modus operandi non venisse a sostituirsi alla regola generale della proporzionalità.

Tuttavia, una delle tappe più significative di questo percorso è sicuramente rappresentata dall’introduzione delle azioni di risparmio con la l. 216/1974, in quanto la norma colpì in maniera diretta il principio one share, one vote stabilendo la possibilità di privare i soci del diritto di voto. Fu di assoluta novità il fatto che la società potesse emettere azioni senza diritto di voto al fine di attrarre investitori unicamente interessati al profilo remunerativo dell’investimento e privi, invece, di alcun potere di stampo amministrativo.

In realtà, sebbene a un primo sguardo la c.d. miniriforma del ‘74 sembrò infliggere un durissimo colpo al principio “un’azione, un voto”, essa non ebbe le medesime conseguenze impattanti anche sul binomio rischio-potere186. Infatti, è vero che per la prima volta si consente

l’emissione di azioni del tutto prive del voto creando una distinzione tra azionisti risparmiatori e azionisti imprenditori187, tuttavia il

legislatore mantiene l’idea di una, sia pure diversa, proporzionalità

azioni e strumenti finanziari, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 717. Sottolinea, peraltro, una dissociazione potenzialmente massima in questi casi BARCELLONA E., Rischio e potere nel diritto societario riformato (fra golden quota di s.r.l. e strumenti finanziari di s.p.a.), Torino, 2012, p. 68.

186 Se ne desume che tra il principio di correlazione rischio-potere e il principio

“un’azione, un voto” non dev’esserci necessariamente un rapporto di genus a species. Si veda SPOLIDORO M. S., op. cit.

187 Si realizza così la compartecipazione tra un ristretto numero di soci animati da

spirito imprenditoriale (imprenditori) e un gran numero di piccoli azionisti (risparmiatori) interessati alla remuneratività dell’investimento. Si veda CAMPOBASSO G.F., Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, 9a ed., a cura di M.

119

facendo operare meccanismi correttivi a fronte dello svantaggio conseguente alla privazione del voto.

In primis, stabilendo la necessità che la situazione deteriore sotto il profilo amministrativo rispetto agli altri azionisti fosse riequilibrata dal riconoscimento di un privilegio patrimoniale; in secundis, fissando un limite quantitativo all’emissione, per cui le azioni prive del diritto di voto non potessero rappresentare più della metà del capitale sociale. Dunque, nonostante il principio “un’azione, un voto” risulti fortemente indebolito dalla presenza delle azioni di risparmio, sembrerebbe ancora di tutta attualità nella società azionaria un nesso tra rischio e potere.

Un altro passo significativo del distacco dal principio suddetto si realizza, però, attraverso la riforma societaria del 2003. La tendenza sempre maggiore da parte del legislatore all’abbandono di modelli rigidi di investimento nell’impresa con conseguente modulazione dei diritti attribuibili ai titolari degli strumenti finanziari, principalmente azionari, e la propensione ad un coinvolgimento nella società anche di soggetti titolari di particolari interessi hanno determinato

un’evoluzione della società che la rende quasi irriconoscibile188. Questa

propensione può apprezzarsi principalmente sotto il profilo della disciplina dei diritti amministrativi attribuibili ai titolari di strumenti di rischio, naturalmente con conseguenze di riflesso anche sul versante patrimoniale.

Il percorso cominciato con la legge del ’74 sulle azioni di risparmio, infatti, trova conferma nella riforma legislativa del 2003. Quest’ultima, nel contribuire ulteriormente all’affievolimento di una correlazione rischio-potere, si muove in due direzioni: da una parte, consente una modulazione del contenuto delle azioni, dall’altra, introduce nuovi

120

strumenti finanziari di rischio partecipativi che possono essere dotati anche di diritti amministrativi e la cui configurazione in concreto è lasciata all’autonomia statutaria189.

Sotto il primo profilo, si consente anche alle società non quotate di emettere azioni senza diritto di voto, nonché a voto limitato ad alcuni argomenti o a voto subordinato a condizioni non meramente potestative (art. 2351 co. 2 c.c.). Il legislatore, inoltre, abbandona l’idea che ad una diminuzione dei diritti amministrativi debba necessariamente corrispondere un riequilibrio in termini patrimoniali, compiendo un passo più in là rispetto alla disciplina delle azioni di risparmio e mantenendo, tuttavia, il limite della metà del capitale sociale per le azioni a voto non pieno sancito all’art. 2351 co. 2 c.c. La possibilità che a una limitazione del diritto di voto non consegua

necessariamente190 un meccanismo correttivo diretto a mantenere

una corrispondenza rischio-potere induce forse a riflettere sulla natura stessa di questo principio. È ben possibile che, guardandosi all’evoluzione normativa, non si tratti allora di un elemento insito nel paradigma della società azionaria, bensì frutto di una scelta del

legislatore forse ormai abbandonata191.

189 Si veda CORSI F., La nuova s.p.a.: gli strumenti finanziari, in Giur. comm., 2003, I,

p. 414, secondo il quale dinanzi alla fattispecie di cui all’art. 2346 co. 6 c.c. si assiste chiaramente ad una ‹‹legittimazione dell’atipico››.

190 Si veda NOTARI M., Azioni e strumenti finanziari: confini delle fattispecie e profili

di disciplina, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, 1, p. 542, il quale afferma che, mentre in passato la funzione di riequilibrio era imposta dalle norme imperative, oggi è ‹‹interamente affidata al mercato o comunque alla libera negoziazione tra i diversi soggetti coinvolti››.

191 In proposito, si veda ANGELICI C., La riforma delle società di capitali. Lezioni di

diritto commerciale, Padova, 2006, p. 51, il quale dopo aver affermato che i soci, in quanto residual claimants, debbano essere titolari di un power of control, constata come da tempo ormai ‹‹la pratica e gli ordinamenti giuridici consentono di

121

Quanto al secondo profilo, invece, si modifica la regola per cui solamente agli azionisti possa essere attribuito il diritto di voto. Infatti, ai sensi dell’art. 2346 co. 6 c.c. i portatori di strumenti finanziari partecipativi possono essere titolari di diritti patrimoniali e amministrativi e, in particolar modo, ai sensi dell’art. 2351 co. 5 c.c. può essere loro attribuito anche il diritto di voto, sebbene limitatamente ad argomenti specificamente indicati.

Nell’ipotesi in cui la società decida di diversificare la propria struttura finanziaria per esigenze economiche, infatti, a fronte della emissione di strumenti finanziari partecipativi dotati anche di diritti amministrativi, in sostanza, si viene a determinare un assetto in cui anche soggetti non

soci possono prendere parte alle decisioni della società192 su argomenti

individuati preventivamente dallo statuto e, addirittura, essere titolari di poteri di nomina di un componente degli organi sociali.

Si tratta di un fenomeno assolutamente rivoluzionario per la società azionaria, indipendentemente dal fatto che la si ritenga o meno in origine un modello rigidamente improntato alla correlazione rischio- potere, e dove oggi, invece, sembra possibile che anche a fronte di un rischio non azionario si possa configurare una partecipazione al momento deliberativo. È questo, infatti, che si verifica consentendo ai

variamente articolare entrambi gli aspetti››, cioè rispettivamente del rischio e del potere.

192 Si tratterebbe della c.d. dissociazione rischio-potere a livello atomistico, perché

relativa alla posizione di ogni singolo soggetto attratto da questa tipologia di investimento. Diversa, invece, sarebbe la c.d. dissociazione a livello globale, che si può apprezzare guardando alla società da un punto di vista macroscopico. In proposito, si veda BARCELLONA E., La separazione di proprietà e gestione nella società di capitali: diritti particolari del quotista e ‹‹golden shares›› di s.p.a. in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, 1, diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, Torino, 2014.

122

portatori di strumenti finanziari di esprimere il voto su specifici argomenti: si consente a un soggetto non socio, che non ha effettuato apporti a capitale, di concorrere con i soci nelle decisioni legate alle scelte della società emittente. Il legislatore non si era mai spinto così oltre, attribuendo cioè un diritto proprio dei soci anche a soggetti diversi. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che rispetto agli strumenti di cui all’art. 2346 co. 6 c.c. si assiste alla nascita non di un semplice strumento finanziario che amplia la struttura finanziaria della società, ma di una forma di partecipazione sociale nuova che affianca quella azionaria e che si radica anch’essa nel contratto sociale.

Peraltro, l’affievolimento del principio “un’azione, un voto” non si realizza solamente nei casi di modificazione in peius dei diritti amministrativi attribuiti all’azionista, ma anche nelle ipotesi di emissione di azioni a voto multiplo o maggiorato, istituti che secondo alcuni autori avrebbero addirittura rappresentato il passo decisivo per

un suo totale superamento193. Con d.l. 91/2014 il legislatore ha

previsto la possibilità per le società chiuse di emettere azioni a voto plurimo che attribuiscono all’azionista il diritto ad esprimere più di un voto194 o in relazione a tutte le decisioni di competenza dei soci o

193 Si veda SAGLIOCCA M., Il definitivo tramonto del principio “un’azione, un voto”: tra

azioni a voto multiplo e maggiorazione del voto, in Riv. not., 2014, 5, p. 921, secondo cui, attraverso le modifiche apportate dal c.d. decreto Competitività, si sarebbe prodotto un definitivo “sgretolamento” del principio “un’azione, un voto” sopravvissuto ai precedenti interventi legislativi, finanche alla riforma del 2003. Fino al decreto del 2014, infatti, si era consentita solamente un’alterazione in minus della regola “un’azione, un voto” senza mai permettere che il potere, dunque il peso nell’assunzione delle decisioni, superasse il rischio corso dall’azionista.

194 Si veda GUERRERA F., La scissione tra proprietà e voto nella s.p.a.: doveri, abusi,

rimedi, in Giur. comm., 2017, 2, p. 191, il quale mette in risalto i rischi di abuso che si possono configurare quando si incrementa la “forza di voto” di alcuni azionisti mentre restano invariati i diritti patrimoniali.

123

solamente in relazione a specifici argomenti; inoltre, ha previsto per le società aperte la possibilità di prevedere azioni a voto maggiorato a favore degli azionisti più fedeli alla società. La novità del decreto, in particolare, è stata quella di consentire di cumulare le due tecniche dell’emissione di azioni senza diritto di voto o a voto limitato e dell’emissione di azioni a voto plurimo o maggiorato, il che può condurre ad un abbassamento sensibile della partecipazione di controllo.

Quanto emerge da questa analisi è che mentre la regola one share, one

vote rappresenta un principio sancito a livello normativo dall’art. 2351

c.c. che si ritrae dinanzi ad istituti che trovano giustificazione in interessi altrettanto meritevoli di tutela, ciò non implica che si debba attribuire stesso rango anche al principio di correlazione rischio- potere195. L’esistenza di una corrispondenza tra rischio e potere è

semplicemente presunta e deriverebbe dalla necessità di incentivare chi rischia in società ad una gestione virtuosa. Tuttavia, bisogna prendere atto dell’esistenza di fenomeni di dissociazione che il legislatore consente entro limiti più o meno ampi e che di conseguenza inducono a ripensamenti sulla necessità di invocare l’esistenza di un principio di corrispondenza nel sistema attuale.

Peraltro, anche in astratto non è detto che una correlazione tra rischio