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Un limite quantitativo alla emissione degli strumenti finanziar

2. La dissociazione rischio-potere a livello atomistico

2.1. Un limite quantitativo alla emissione degli strumenti finanziar

Per evitare che di fatto si verifichi un abbandono del principio one

share, one vote e, di conseguenza, della correlazione rischio-potere205

qualora si presuma che il primo rappresenti un corollario del secondo, una soluzione possibile potrebbe essere quella di stabilire a monte una soglia massima per l’emissione degli strumenti finanziari partecipativi da parte della società, limitando di fatto il rischio che soggetti non soci

2005, 2, p. 166, il quale, rispetto alla fattispecie in esame, definisce il legislatore come il Barbablù della favola di Perrault poiché lascia ampio spazio all’autonomia statutaria di definirne in concreto i contenuti, senza però dare alcuna garanzia sotto il profilo pratico delle reazioni che potranno avere il legislatore, la dottrina e (perché no?!) anche la prassi societaria.

205 Si veda MAROCCHI M., Sull’attualità della correlazione tra potere e rischio nella

s.p.a. riformata, in Contratto e impresa, 2014, 1, p. 221, il quale afferma che la corrispondenza tra rischio e potere non è ‹‹posta nel solo interesse della proprietà, bensì anche di tutti gli altri soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti dalle vicende della società azionaria››.

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possano assumere un ruolo determinante per alcune decisioni sociali rispetto alle quali vantino un diritto di voto.

Quando gli strumentisti concorrono con gli azionisti nell’assunzione di alcune decisioni, quindi in relazione agli specifici argomenti previsti nello statuto, i voti espressi dagli uni e dagli altri devono essere considerati unitariamente e, di conseguenza, ai fini del calcolo del

quorum deliberativo richiesto dalla legge bisogna prendere in

considerazione la sommatoria dei voti attribuiti complessivamente agli

azionisti e agli strumentisti206 (si ricava, in tal modo, il denominatore

del rapporto numerico).

Stabilendo un tetto massimo all’emissione degli strumenti finanziari partecipativi, per lo meno di quelli attributivi di prerogative amministrative, sarebbe possibile limitare a monte il rischio che si configuri una concentrazione del controllo nelle mani degli strumentisti e, quindi, che rispetto a determinate decisioni questi ultimi finiscano per esercitare un’influenza determinante.

Quanto ai limiti di emissione disciplinati dalla legge, esistono due norme di riferimento: l’art. 2412 e l’art. 2351 c.c.

La prima stabilisce che la società non possa emettere obbligazioni per un valore che superi il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili ed è diretta a limitare il ricorso da parte della società al capitale di debito. Ma l’estensione di questa norma agli strumenti finanziari partecipativi dev’essere subito esclusa per diverse ragioni.

Innanzi tutto, per motivi di tipo sistematico, dal momento che, come si è già detto, gli strumenti finanziari di cui all’art. 2346 co. 6 c.c., in quanto strumenti di rischio, fuoriescono dall’alveo di applicazione della

206 Si veda BARCELLONA E., Rischio e potere nel diritto societario riformato (fra golden

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disciplina obbligazionaria. Bisogna sempre tenere presente, infatti, che il legislatore segna una cesura tra strumenti con natura di rischio e di debito, di conseguenza non sembra possibile che una qualche norma dello statuto normativo dei titoli obbligazionari possa estendersi anche agli strumenti finanziari partecipativi. Quando, infatti, il legislatore ha voluto ampliare l’ambito applicativo della disciplina in tema di obbligazioni, lo ha fatto esplicitamente, come nel caso degli strumenti finanziari “comunque denominati”, di cui all’art. 2411, co. 3, c.c. Inoltre, il quantum del limite fissato dalla norma non si sposerebbe in ogni caso con lo scopo di evitare una eccessiva dissociazione di fatto tra rischio e potere per arginare le prerogative di voice degli strumentisti.

Ancora, la ratio stessa della norma di limitare l’indebitamento dell’impresa societaria sembra incompatibile con l’estensione di tale limite anche agli strumenti finanziari partecipativi. Invero, l’idea di voler fissare un qualche limite all’emissione di questi strumenti significherebbe vanificare lo scopo del legislatore della riforma di ampliare il catalogo dei canali attraverso cui la società può reperire risorse utili allo svolgimento dell’attività d’impresa207. L’assenza di un

limite espresso per gli strumenti finanziari partecipativi, a differenza degli strumenti obbligazionari, semmai conferma l’obiettivo della riforma di ampliare le chances di profitto delle imprese azionarie attraverso il ricorso a strumenti del tutto nuovi, non soggetti a quelle limitazioni che, invece, operano per il prestito obbligazionario.

207 Si veda VALZER A., Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle

società per azioni, Torino, 2012, pp. 119-120. L’a. parte da questa constatazione per arrivare ad affermare la natura di rischio degli strumenti di cui all’art. 2346 co. 6 c.c., in quanto i limiti fissati dall’art. 2412 c.c. non si porrebbero in linea con l’obiettivo della riforma di agevolare l’acquisizione di risorse, addirittura anche diverse da quelle strettamente conferibili.

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Peraltro, anche quando si ammettesse l’estensione di tale limite anche agli strumenti finanziari partecipativi, non si risolverebbe in toto la questione. L’art. 2412 c.c., infatti, non fissa una regola inderogabile. Il secondo comma stabilisce, ad esempio, che la soglia fissata dalla norma può essere anche superata quando le obbligazioni extra siano destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali208. Questo

dimostra che applicare tale limite agli strumenti finanziari partecipativi non arginerebbe sempre i rischi di una dissociazione di fatto tra rischio e potere.

Altra norma che ha come scopo quello di fissare un limite all’emissione di strumenti finanziari, e peraltro riferita a strumenti di rischio, è l’art. 2351 co. 2 c.c. dove si stabilisce che l’ammontare complessivo delle azioni senza voto, a voto limitato o condizionato non debba superare il valore della metà del capitale sociale.

Questa norma prevede un limite di emissione per le azioni a voto non

pieno e, secondo alcuni autori209, potrebbe estendersi anche agli

208 Si consente la deroga in quanto si tratta di sottoscrittori soggetti a vigilanza

prudenziale, che se decidono di trasferire tali obbligazioni rispondono della solvenza della società nei confronti degli acquirenti (se investitori non professionali). Si veda CAMPOBASSO G.F., Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, 9a ed., a cura di M.

Campobasso, Torino, 2015, p. 527.

209 Si veda BARCELLONA E., La separazione di proprietà e gestione nella società di

capitali: diritti particolari del quotista e ‹‹golden shares›› di s.p.a. in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, 1, diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, Torino, 2014, p. 222. Nello stesso senso anche LAMANDINI M., Autonomia negoziale e vincoli di sistema nella emissione di strumenti finanziari da parte delle società per azioni e delle cooperative per azioni, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, 5, p. 519, l’a. afferma che il limite in questione, posto a garanzia della correlazione rischio-potere, eviterebbe che ‹‹azionisti di controllo che avessero provveduto ad una piccola parte del fabbisogno finanziario della società rispetto alla ricchezza complessiva fornita da altri

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strumenti finanziari partecipativi in quanto anch’essi strumenti di rischio a voto limitato, cioè relativo solamente a specifici argomenti. Una prima osservazione che va fatta, dunque, è quella per cui il limite di cui all’art. 2412 c.c. ha portata generale e riguarda tutte le obbligazioni, mentre invece quello di cui all’art. 2351 c.c. è relativo solamente ad alcune categorie di azioni, quelle a voto non pieno. Se lo scopo, dunque, fosse quello di limitare la voice degli strumentisti, non avrebbe alcun senso, pur ammettendosi che la norma possa applicarsi in tale circostanza, estendere il limite a tutti gli strumenti finanziari emessi, bensì solamente a quelli che accordano il diritto di voto. Bisognerebbe poi riflettere sul fatto se il limite così esteso anche a tali strumenti sia inteso complessivamente, cioè riguardi insieme azioni a voto limitato e strumenti finanziari, che complessivamente non devono superare la metà del capitale sociale, o se, invece, sia applicato autonomamente alle due categorie di strumenti di rischio.

In realtà, il silenzio del legislatore quanto ai limiti per gli strumenti finanziari partecipativi può qui, ancora una volta, essere interpretato nel senso di attribuire all’autonomia statutaria la libera scelta di determinare il quantum dell’emissione a seconda della situazione in cui versa la società. Se non esiste alcuna norma espressa, come accade invece per gli strumenti obbligazionari, se ne può trarre la conseguenza che agli strumenti finanziari partecipativi non si possa e non si debba

estendere alcun limite210, e ciò indipendentemente dal fatto che essi

siano o meno dotati di prerogative amministrative.

sottoscrittori di strumenti finanziari potessero gestire la società senza correre un rischio d’impresa corrispondente al potere››.

210 Si veda COSTI R., Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, in Il nuovo

diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 734, il quale ritiene, appunto, che non vi sia la necessità di tenere conto dell’ammontare di tali strumenti al fine di verificare

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Se tale soluzione non si ritiene ammissibile, né sembra si possano rinvenire altrove indici diretti ad evitare in concreto che si realizzi una dissociazione tra rischio e potere, è forse il caso di riflettere sul perché il legislatore consentirebbe ciò. Cioè, per quale ragione non sono previsti rimedi stringenti alla possibile dissociazione tra rischio e potere se tale binomio rappresenta realmente un elemento insito nella natura della società?

Tale impostazione confermerebbe l’ipotesi per cui la correlazione non può ergersi a principio legato alla natura della società azionaria, quanto a frutto di una scelta politica del legislatore211 che resta ormai un

ricordo del passato. Un confronto con altri tipi societari può forse chiarire ulteriormente tale punto di vista.

3. Analisi del rapporto ownership-control a livello globale