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Gli strumenti finanziari partecipativi nella società per azioni e la dissociazione rischio-potere

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione ... 3

Capitolo I ... 8

Riforma del 2003 e nuova struttura finanziaria della s.p.a. ... 8

1. Nozione di “strumento finanziario” nel TUF e nel codice civile ... 8

2. La struttura finanziaria della società per azioni alla luce del d.lgs. 6/2003 ... 17

3. Il genus strumenti finanziari: ricostruzioni della dottrina ... 27

3.1. Gli strumenti ibridi come unica categoria... 27

3.1.1. Le nozioni di Eigenkapital e Fremdkapital ... 31

3.2. Diverse tipologie di strumenti finanziari: un tentativo di superamento dell’ibrido e la neutralità causale ... 35

4. Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi ... 38

4.1. “Partecipatività” come sinonimo di diritti amministrativi ... 38

4.2. La summa divisio tra equity e debt ... 44

4.2.1. Una partecipazione non azionaria ... 47

Capitolo II ... 54

Strumenti finanziari partecipativi: disciplina legale e autonomia privata ... 54

1. Emissione degli strumenti finanziari partecipativi e tutela dell’investimento ... 54

1.1. Organo competente ... 54

1.2. Diritto d’opzione ... 71

2. I diritti attribuibili ai sensi dell’art. 2346 c.c.: una questione interpretativa ... 75

3. Diritti patrimoniali... 78

3.1. La partecipazione agli utili e alle perdite ... 78

3.3. Liquidazione degli strumenti finanziari partecipativi... 87

3.3.1. Diritto di recesso ... 87

3.3.2. Un’ulteriore strategia di exit: il diritto di riscatto ... 90

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4.1. Il diritto di voto ... 93

4.1.1. Diritti amministrativi cc.dd. minori e la correlazione con il diritto di voto: il diritto di intervento e il potere di impugnazione delle delibere assembleari ... 104

4.2. Il potere di nomina di un membro indipendente dell’organo gestorio o di controllo ... 107

Capitolo III ... 113

La dissociazione tra rischio e potere nella moderna società per azioni ... 113

1. L’evoluzione del principio “one share, one vote” nella legislazione societaria ... 113

2. La dissociazione rischio-potere a livello atomistico ... 124

2.1. Un limite quantitativo alla emissione degli strumenti finanziari partecipativi ... 129

3. Analisi del rapporto ownership-control a livello globale ... 134

3.1 La società per azioni ... 134

3.2. Golden quota nella s.r.l. ... 137

3.3. La dissociazione nelle società di persone ... 140

4. Il principio di correlazione rischio-potere: canone fondamentalissimo o principio ormai superato? ... 141

Considerazioni conclusive ... 145

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Introduzione

Alla base di questo studio vi è il tentativo di ricostruire la natura e la disciplina della fattispecie degli strumenti finanziari partecipativi delle società per azioni.

Sebbene siano trascorsi diversi anni dalla riforma societaria che ha visto la loro introduzione nel nostro ordinamento, l’istituto resta ancora uno dei più dibattuti in dottrina.

L’interesse per questo tema è stato suscitato non solo dalla curiosità di approfondimento derivante dalla scarsa attenzione che esso riceve nella manualistica, ma anche dai profili problematici che solleva la fattispecie degli strumenti finanziari partecipativi sia dal punto di vista dell’interpretazione delle norme che lo disciplinano, sia sotto il profilo dell’incidenza su principi che reggono (o si presume che reggano) il diritto delle società di capitali, come quello della correlazione tra rischio e potere.

A suscitare curiosità è senz’altro il modo in cui il legislatore della riforma, con lo scopo di limitare la dipendenza delle imprese societarie dal sistema del finanziamento bancario, ha scelto di creare nuovi

strumenti finanziari, che consentono principalmente una

patrimonializzazione dell’impresa e, al contempo, possono prestarsi a soddisfare esigenze anche diverse, valorizzando il ruolo dell’autonomia statutaria. Ne viene fuori una nuova società per azioni dove, rispetto al passato, diverse sono le possibilità di investimento, diverse sono le utilità apportabili al fine di accrescerne il patrimonio e dove si rischia di mettere in dubbio o, quanto meno, di ripensare il legame stesso tra socio e società.

Peraltro, l’elemento di novità dato dagli ampi spazi riservati all’autonomia statutaria in merito a scelte fondamentali legate ai contenuti della fattispecie pone non trascurabili problemi legati alla

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sua stessa ricostruzione. Emerge, infatti, un’alternanza tra tentativi di liberalizzazione del legislatore e residui principi imperativi tra i quali per l’interprete non è sempre agevole giostrarsi.

Di fatti, nonostante la nascita degli strumenti finanziari partecipativi possa dirsi ormai relativamente recente, il dibattito circa la fattispecie in esame è ben lontano dall’assestarsi su posizioni certe. La lacunosità delle norme ha determinato incertezza negli operatori giuridici e di conseguenza uno scarso utilizzo di questi strumenti nella prassi societaria. Tutto ciò ha impedito la formazione di indirizzi giurisprudenziali potenzialmente utili per una ricostruzione unanime della fattispecie, contribuendo anzi a limitare ulteriormente la portata dell’istituto.

* * * La tesi è articolata in tre capitoli.

Nel primo viene analizzato innanzi tutto il sintagma “strumenti finanziari” nell’ambito del Testo unico della finanza e del Codice civile nel tentativo di sgombrare il campo da ogni dubbio nozionistico. È necessario chiarire, in particolar modo, quale significato si debba attribuire alla “partecipatività” e in quale posizione si collochino gli strumenti finanziari partecipativi nella struttura finanziaria della società azionaria da sempre caratterizzata dal binomio azione-obbligazione.

Sorgono dubbi, infatti, se la fattispecie dei nuovi strumenti finanziari possa dirsi una categoria unitaria, ibrida, collocata a metà strada tra l’azione e l’obbligazione, ovvero se sia possibile individuare diverse tipologie di nuovi strumenti finanziari, partecipativi e non partecipativi, che tendono a schiacciarsi verso il capitale di rischio o di debito.

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Tale lavoro ricostruttivo è necessario al fine di individuare innanzi tutto le norme che ne compongono lo statuto, affinché se ne possa poi analizzare singolarmente il contenuto.

Il riscontro delle diverse argomentazioni avanzate dalla dottrina, accanto alle indicazioni ricavabili dalla legge delega e dal codice stesso, apre riflessioni interessanti sulla natura degli strumenti finanziari partecipativi e getta le basi per la ricostruzione del regime di disciplina.

Nel secondo capitolo dell’elaborato si tenta di fornire, sulle norme dell’istituto, un’interpretazione conforme alla natura che di esso si accoglie nella prima parte. La natura della fattispecie, infatti, ha delle conseguenze importanti sul piano applicativo.

È necessario destreggiarsi fra i limiti poco chiari imposti dalle norme e gli spazi che la riforma assegna appositamente all’autonomia statutaria nel tentativo di rendere flessibile la struttura della società per azioni per troppo tempo ingabbiata in un sistema rigidamente fondato esclusivamente su due modelli di strumenti finanziari.

Il punto di vista che qui viene fornito non si propone di divenire un faro guida nell’ambito delle riflessioni avanzate sul tema, ma ha come obiettivo quello di rimarcare l’esigenza di una coerenza sistematica tra natura della fattispecie e conseguenze in ambito applicativo, poiché quest’ultimo profilo deriva necessariamente dal primo.

Circa il contenuto della disciplina, le norme sollevano diversi profili problematici in relazione innanzi tutto all’organo competente all’emissione di detti strumenti. L’indagine sulla natura della fattispecie e il confronto con le norme legate alla disciplina di altre tipologie di strumenti finanziari può aiutare a fare chiarezza sull’organo sociale deputato all’emissione degli strumenti finanziari partecipativi.

Quanto poi al profilo della connotazione degli strumenti finanziari partecipativi e dei diritti attribuibili ai loro portatori, ci si soffermerà sul

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catalogo di diritti patrimoniali e amministrativi instaurando, quando possibile, un parallelismo con la disciplina azionaria per la caratteristica comune di strumenti di rischio.

In particolar modo, merita attenzione la configurazione dei diritti amministrativi che possono essere attribuiti agli strumentisti, poiché mette in risalto come la diversificazione attuata dal legislatore abbia influito in maniera indiretta anche sulla compagine sociale, che non può certo dirsi oramai omogenea. Se si accoglie la tesi per cui gli strumentisti possono prendere parte all’assemblea ed essere coinvolti persino nella gestione, invadendo spazi che prima erano esclusivamente riservati ai soci, è giocoforza ripensare interamente il fenomeno societario ed il rapporto tra proprietà e gestione.

Infine, nel terzo capitolo si offre, appunto, un’analisi del fenomeno dissociativo tra rischio e potere, fortemente accentuato dall’istituto degli strumenti finanziari partecipativi sotto più aspetti. L’evoluzione dell’ordinamento societario sembrerebbe dimostrare come la tendenza del legislatore, principalmente nella società azionaria, sia quella di mantenere una correlazione tra rischio dell’investimento e potere senza però fissare meccanismi capaci di tutelare efficacemente tale nesso.

Rispetto alla fattispecie oggetto di studio la dissociazione è riscontrabile in diverse direzioni. Guardandosi al singolo portatore di uno strumento finanziario partecipativo, una dissociazione tra rischio e potere sembra realizzarsi, ad esempio, ogni qualvolta lo strumento sia privo di prerogative amministrative o, viceversa, quando la sottoscrizione sia effettuata da terzi a cui sono riconosciuti poteri di

voice.

Anche in riferimento all’intera struttura finanziaria della società per azioni non mancano esempi. Basti pensare al fatto che la raccolta di

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capitali effettuata mediante l’emissione di strumenti finanziari partecipativi può sovrastare quantitativamente il capitale azionario e creare problemi circa la titolarità del potere gestorio.

Nella prassi, l’esistenza di forti fenomeni dissociativi, non adeguatamente arginati dal legislatore attraverso la predisposizione di appositi meccanismi, solleva importanti dubbi circa la natura e la funzionalità dello stesso principio di correlazione rischio-potere nel nostro attuale sistema, principalmente in riferimento alla stessa società per azioni, fino a metterne in dubbio la funzionalità e addirittura la perdurante esistenza.

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Capitolo I

Riforma del 2003 e nuova struttura finanziaria della

s.p.a.

Sommario: 1. Nozione di “strumento finanziario” nel TUF e nel codice civile. - 2. La struttura finanziaria della società per azioni alla luce del d.lgs. 6/2003. - 3. Il genus strumenti finanziari: ricostruzioni della dottrina. - 3.1. Gli strumenti ibridi come unica categoria. - 3.1.1. Le nozioni di Eigenkapital e Fremdkapital. - 3.2. Diverse tipologie di strumenti finanziari: un tentativo di superamento dell’ibrido e la neutralità causale. - 4. Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi. - 4.1. “Partecipatività” come sinonimo di diritti amministrativi. - 4.2. La summa divisio tra equity e debt. - 4.2.1. Una partecipazione non azionaria.

1. Nozione di “strumento finanziario” nel TUF e nel codice

civile

L’espressione “strumento finanziario” richiama il concetto di investimento ed assume un ruolo di primaria importanza sia nella disciplina dei mercati finanziari che in quella societaria.

Il Testo Unico della Finanza1 non chiarisce espressamente cosa si

intenda per “strumento finanziario”, limitandosi a darne una definizione per elencazione. Risulta allora necessario un lavoro ricostruttivo della nozione che tenga conto del rapporto con le

1 Il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, introdotto

con d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 e pubblicato in G.U. n. 71 del 26/03/1998, disciplina il mercato dell’intermediazione finanziaria. Fu emanato in attuazione della legge delega n. 52 del 1996.

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categorie concettuali di “valore mobiliare” e di “prodotto finanziario” e che, di tanto in tanto, volga lo sguardo verso quelle esperienze normative estere da cui sembra aver subito influenza il legislatore italiano.

Secondo alcuni autori2 non si può prescindere dal porre in relazione le

tre nozioni di valore mobiliare, strumento finanziario e prodotto finanziario. Tale rapporto può essere astrattamente pensato e raffigurato come un sistema di cerchi concentrici in cui i valori mobiliari rappresentano il cerchio più piccolo, gli strumenti finanziari l’area intermedia, i prodotti finanziari quella maggiore.

La locuzione “valeur mobilière” sembra essere la più risalente, coniata

nella Francia dell’Ottocento3 in contrapposizione alla ricchezza

immobiliare. In origine, per valore mobiliare si intendeva un documento che agevolava e rendeva più sicura la circolazione del diritto in esso incorporato. Con l’evoluzione del sistema finanziario il legislatore ha dovuto fare i conti con la nascita di nuove forme di investimento atipiche e con la necessità di una maggiore tutela dei soggetti agenti nel mercato. Oggi la nozione di valeur mobilière ha una portata ben più ampia: indica in generale titoli di massa, come le stesse azioni o obbligazioni di società, e insieme agli effets de commerce (titoli individuali) rientra nei titres negociables4.

Nell’esperienza normativa nordamericana, invece, già nella prima metà del ‘900, il legislatore faceva una distinzione fra titoli tipici e titoli

2 Si veda CIAN, La nozione di strumento finanziario nel sistema di diritto commerciale,

in Studium iuris, 2015, 12, p. 1450; CHIONNA, Strumenti finanziari e prodotti finanziari nel diritto italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, 1, p. 1.

3 Si vedano ONZA M. – SALAMONE L., Prodotti, strumenti finanziari, valori mobiliari,

in Banca, borsa, tit. cred., 2009, 5, p. 567.

4 Si veda SALANITRO N., Titoli di credito e strumenti finanziari, in Banca, borsa, tit.

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atipici. I primi, detti securities, erano assimilabili ai valori mobiliari del diritto francese; i secondi, detti investment contracts, erano invece forme di investimento atipiche, la cui fattispecie veniva ricostruita ex

post attraverso un lavoro giurisprudenziale5. A differenza dei sistemi

ordinamentali dell’Europa continentale, più attenti ad una classificazione sistematica, quello statunitense (e in generale gli Stati di

common law) si è sempre mostrato restio ad una rigida tipizzazione

degli strumenti e, in primis, della stessa fattispecie azionaria,

ispirandosi massimamente al principio di libertà contrattuale6 che ha

portato ad un proliferare di nuovi strumenti.

Nell’ordinamento italiano il valore mobiliare ha subito un’evoluzione dalla legge bancaria del 1936 sino ad oggi. Originariamente indicava titoli di massa, come pure accadeva nell’ordinamento francese, poi il Testo unico della Finanza l’ha sostituito con la nozione di strumenti finanziari, circoscrivendo la categoria dei valori mobiliari a una serie di valori negoziabili nel mercato dei capitali. Ai sensi dell’art. 1 co. 1-bis, infatti, ‹‹per “valori mobiliari” si intendono categorie di valori che

possono essere negoziati nel mercato dei capitali, quali ad esempio: a) le azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e certificati di deposito azionario; b) obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i certificati di deposito

5 CHIONNA, op. cit. descrive il c.d. test Howey come un lavoro di ricostruzione della

fattispecie dell’Investment contract, con conseguente applicazione della disciplina del mercato finanziario; ricorrevano gli estremi della fattispecie quando si riscontravano le seguenti quattro caratteristiche: 1 - l’investimento di denaro, 2 - la natura di operazione di massa, 3 - l’aspettativa di profitto, 4 - la circostanza che il vantaggio traesse origine ‹‹dall’attività del promotore, o di terzi, senza apporto dell’investitore››.

6 Si veda CINCOTTI C., Le preferred shares nel diritto italiano: proprietà della società

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relativi a tali titoli; c) qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquisire o di vendere i valori mobiliari indicati alle precedenti lettere; d) qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti […]››. Va sottolineato, peraltro, che

nonostante la metodologia di elencazione utilizzata, essa mostra una tassatività solo apparente: di fatti, la norma è strutturata in modo tale da potersi adeguare alle esigenze evolutive del mercato. Non a caso quella dei valori mobiliari viene considerata una categoria normativa aperta: accanto alle azioni e le obbligazioni, considerati titoli di massa per eccellenza, il legislatore fa riferimento anche ad ‹‹altri titoli

equivalenti››7.

Se il valore mobiliare ha sempre avuto un ruolo rilevante nella tradizione normativa dei titoli, le categorie dei “prodotti” e degli “strumenti finanziari” hanno invece fatto ingresso nel sistema normativo in un periodo relativamente più recente. Fu la normativa comunitaria degli anni ’90 a far da veicolo alla loro legittimazione, con l’obiettivo di incentivare gli investimenti nelle attività d’impresa e di garantire un corretto funzionamento dei sistemi finanziario, bancario e industriale. In questo quadro si inserisce anche il Testo Unico della finanza, emanato con decreto del 1998, che rappresenta la principale fonte di regolamentazione del mercato finanziario in una prospettiva di negoziazione degli strumenti finanziari nel mercato unico europeo.

7 Si veda SALANITRO N., op. cit. Anche COSTI R., Il mercato mobiliare, Torino, 2016, p.

10, il quale scrive, infatti, che ‹‹nell’ambito della categoria degli strumenti finanziari il legislatore individua la species dei valori mobiliari, ravvisandoli nei valori negoziabili sul mercato dei capitali e fornendone un catalogo aperto››. Di diverso avviso ANNUNZIATA F., La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2015, p. 91, il quale sostiene che la nozione di strumento finanziario sia “chiusa”, nonostante l’art. 18, co. 5, del TUF consenta al Ministro dell’economia il potere di ampliare l’elencazione tenendo conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e della normativa europea.

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Nel TUF il legislatore distingue i prodotti finanziari dagli strumenti finanziari. Ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. u del TUF, sono definiti prodotti finanziari ‹‹gli strumenti finanziari e ogni altra forma di

investimento di natura finanziaria […]››, inclusi anche i mezzi di

pagamento. Da qui deriva la natura di macro-area dei prodotti finanziari rispetto alle altre categorie concettuali che si stanno esaminando. Gli strumenti finanziari invece, così come i valori mobiliari, sono definiti per elencazione. E si tratta, ancora una volta, di un’elencazione non esaustiva e suscettibile di modifiche in previsione di un’evoluzione del sistema. L’art. 1, comma 2 del TUF, infatti, recita ‹‹Per “strumenti finanziari” si intendono: a) valori mobiliari; b)

strumenti del mercato monetario; c) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio; d) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati [..]››.

Se questi sono i dati forniti dalla legislazione speciale, diversa è l’impostazione codicistica. Nel Codice civile la locuzione “strumento

finanziario” si ritrova in una serie di norme della disciplina delle società

di capitali ed indica nuovi mezzi di raccolta di capitale introdotti dalla riforma societaria del 2003 in attuazione della legge delega 366/2001. Quest’ultima, al fine di promuovere ‹‹la nascita, la crescita e la

competitività delle imprese›› e consentire anche ‹‹l’accesso ai mercati interni e internazionali di capitali››, disponeva che la società per azioni

potesse emettere ‹‹strumenti finanziari non partecipativi e

partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi›› (art.

4, co. 6 lett. c). Sulla scorta di queste indicazioni, il legislatore ha così modificato la disciplina codicistica. Il sintagma “strumenti finanziari” ricorre:

- nell’art. 2346 co. 6 c.c., in cui si afferma che la società possa emettere, anche a seguito dell’apporto da parte di soci o

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terzi di opera o servizi, ‹‹strumenti finanziari forniti di diritti

patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti››, e dove si precisa

che la modalità e le condizioni di emissione, i diritti conferiti agli strumentisti e la legge di circolazione, se prevista, vengono determinate dallo statuto;

- nell’art. 2351 co. 5 c.c., in cui si fa riferimento alla possibilità, per gli strumenti di cui sopra, di attribuire il diritto di voto su argomenti specificamente indicati e di riservare loro la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco;

- nell’art. 2411 co. 3 c.c., dove si stabilisce che tutte le norme della sezione VII (intitolata “delle obbligazioni”) si applicano

‹‹agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società››;

- nell’art. 2349 co. 2 c.c., in cui si fa riferimento a strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche amministrativi di cui possono essere assegnatari i prestatori di lavoro, dipendenti della società o di sue controllate; - ancora, nell’art. 2447-ter c.c. che disciplina gli strumenti

finanziari di partecipazione a uno specifico affare, emessi a seguito della creazione di un patrimonio destinato;

- infine, nell’art. 2526 c.c. che prevede l’emissione di strumenti finanziari nelle società cooperative, secondo la

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disciplina prevista per le società per azioni8, anch’essi

attributivi di diritti patrimoniali e partecipativi.

Da una prima lettura delle norme elencate emergono dei dati importanti. In primis, le scelte normative del legislatore del 2003 sembrano aver segnato il tramonto del vecchio modello di società per azioni, fondato sulla dicotomia conferimento-prestito obbligazionario, azione-obbligazione9, e sanciscono la nascita di nuove tipologie di

strumenti. In secundis, le variae figurae di strumenti10 hanno arricchito

la struttura finanziaria della società per azioni, consentendole di disporre di un ampio catalogo di mezzi di raccolta di capitale da destinare all’attività d’impresa, in piena conformità con le linee guida fissate dal legislatore delegante.

8 Si veda BARTALENA A., Le nuove tipologie di strumenti finanziari, in Banca, borsa,

tit. cred., 2004, 3, p. 293, l’a. scrive che la disciplina degli strumenti finanziari nelle società cooperative è diversificata a seconda del tipo societario preso in considerazione per colmare le lacune normative [art. 2519 c.c.]. L’art. 2526 c.c. stabilisce che l’atto costitutivo prevede l’emissione degli strumenti stabilendo quali diritti patrimoniali o amministrativi essi attribuiscono. I privilegi previsti nella ripartizione degli utili e nel rimborso di capitale non si estendono alle riserve indisponibili, inoltre è previsto un tetto massimo di voti attribuibili. Si applicano le norme in tema di società per azioni per il recesso dei possessori di strumenti finanziari. Infine, l’ultimo comma dell’art. 2526 c.c. stabilisce che ‹‹La cooperativa cui si applicano le norme sulla società a responsabilità limitata può offrire in sottoscrizione strumenti privi di diritti amministrazione solo a investitori qualificati››.

9 Si veda FESTA FERRANTE G., Gli strumenti finanziari partecipativi, in Riv. not., 2008,

6, p. 1231. Anche PISANI MASSAMORMILE A., Azioni e strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, 6, p. 1268, scrive a proposito della struttura finanziaria della società come si avvertisse l’esigenza di abbandonare gli schemi rigidi, per ‹‹offrire numerosi e flessibili modelli di investimento››.

10 Si veda VALZER A., Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società

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Le norme sugli strumenti finanziari, già all’indomani della riforma, hanno destato dei problemi interpretativi: la scarsa chiarezza del dato normativo ha reso necessario sin da subito un lavoro esegetico da parte della dottrina. Ci si è chiesti innanzi tutto se esista un significato unanime da attribuire alla nozione di strumenti finanziari; se sia possibile, dunque, una sovrapposizione tra le norme del codice e il testo unico della finanza. A questo interrogativo pare si debba dare immediatamente risposta negativa. La nozione codicistica di strumento finanziario non sembra coincidere perfettamente con quella offerta dal TUF. L’art.1 co. 1-bis lett. a) e b) TUF fa riferimento agli strumenti finanziari nell’accezione di valori mobiliari, come valori negoziabili nel mercato dei capitali, o assimilabili alle azioni di società e rientranti nell’area del capitale di rischio o equivalenti ai titoli di debito. Nel codice civile, invece, la negoziabilità non è considerata una loro caratteristica essenziale11: il dettato dell’art. 2346 co. 6 c.c., infatti,

suggerisce che la circolazione di questi titoli possa essere addirittura esclusa del tutto per scelta dell’autonomia statutaria.

Provando poi a dare una definizione in positivo di questo nuovo tertium

genus: lo strumento finanziario ai sensi della disciplina codicistica può

essere considerato un ‹‹titolo rappresentativo di un apporto in denaro

o opera e servizi, da parte di soci o terzi, per il finanziamento della

11 Si veda TOMBARI U., La nuova struttura finanziaria della società per azioni (Corporate Governance e categorie rappresentative del fenomeno societario), in Riv. soc., 2004, 5, p. 1082, per il quale, a differenza degli strumenti finanziari del codice civile pensati anche al di fuori del mercato finanziario, quelli disciplinati dal TUF sono ‹‹necessariamente destinati alla circolazione››. Anche COSTI R., op. cit. p. 1, ribadisce che tali strumenti si contraddistinguano per la loro negoziabilità. Infine, SALAFIA V., Strumenti finanziari alternativi ad azioni ed obbligazioni, in Le società, 2014, 12, p. 1301, sottolinea come sia una scelta statutaria quella di consentire o escludere la circolazione degli strumenti finanziari.

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società, in cambio di determinate prestazioni in denaro o di altra natura, da parte di questa››12. Una definizione più ristretta e puntuale è di difficile formulazione, poiché la categoria codicistica degli strumenti finanziari prevista a partire dal 2003 è potenzialmente molto ampia e può indicare, come si evince dalle norme sopra elencate, strumenti di diverse tipologie e dal contenuto a loro volta modulabile. In conclusione, si può ritenere che non esista una nozione di strumento finanziario dal valore assoluto. L’utilizzo della medesima espressione da parte del legislatore in diversi testi normativi non deve indurre a pensare che il significato da attribuirgli sia necessariamente identico. Bisogna prendere atto della relatività di alcune categorie concettuali e del significato che esse assumono all’interno di un singolo sistema di norme. Ed è questo il caso dello strumento finanziario, figura che deve essere ricostruita all’interno di ogni singolo contesto normativo e per

la quale si può parlare di una vera e propria polisemia della nozione13.

Il fenomeno, in tal caso, dipende dalle diverse finalità perseguite dai due corpi di norme disciplinanti gli strumenti finanziari, il TUF e il codice civile: il primo è incentrato sulla tutela del mercato e degli investitori, la disciplina codicistica come novellata nel 2003 ha, invece, il duplice obiettivo di garantire alla società il reperimento di risorse che ne favoriscano la crescita e la competitività nel mercato e di offrire strumenti finanziari dal contenuto modulabile sulle concrete esigenze dei potenziali investitori.

12 MUSCOLO G., Gli strumenti finanziari, in Le nuove s.p.a., diretta da O. Cagnasso e

L. Panzani, Bologna, 2013, p. 168.

13 A proposito della relatività della fattispecie e della “polisemia” della nozione di

strumenti finanziari, si vedano ONZA M.– SALAMONE L., op. cit., gli autori scrivono che la relatività di ogni fattispecie alla propria disciplina rappresenta un dato elementare nell’armamentario di ogni giurista, ‹‹al di là delle formule linguistiche adottate e dalle definizioni normative dettate dal legislatore››.

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2. La struttura finanziaria della società per azioni alla luce del

d.lgs. 6/2003

Attraverso il d. lgs. 6/2003 - Riforma organica della disciplina delle

società di capitali e società cooperative - nel rispetto dei principi e delle

finalità sanciti della legge delega del 2001 e principalmente per ‹‹favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese››14, il

legislatore è intervenuto sulle norme del codice diversificando la struttura finanziaria della società per azioni, attribuendo spesso un ruolo predominante all’autonomia statutaria e suscitando non pochi dubbi in dottrina circa la natura e la disciplina applicabile alle nuove tipologie di strumenti finanziari.

Prima della riforma societaria, l’ordinamento aveva già conosciuto delle varianti rispetto ai tradizionali mezzi di raccolta del capitale proprio e del capitale di terzi, che hanno dato il via all’allontanamento dall’impostazione dualistica azione-obbligazione ed hanno portato alla nascita di fattispecie sempre più “ibride”. L’evoluzione della società per azioni in questa direzione si è realizzata, in un primo momento, attraverso una modulazione graduale del contenuto delle azioni e delle obbligazioni.

Sotto il profilo della partecipazione azionaria, un primo esempio di tale fenomeno è rappresentato dalla legge n. 216 del 1974, che ha introdotto le azioni di risparmio. Questa categoria speciale di azioni è stata pensata per tutelare i piccoli risparmiatori, interessati all’investimento nell’attività d’impresa e non anche alla gestione diretta della stessa. Le azioni di risparmio, infatti, si caratterizzano in quanto: a) sono prive del diritto di voto nell’assemblea ordinaria e straordinaria; b) conferiscono privilegi patrimoniali, il cui contenuto è

14 Si veda art. 2 della legge delega 3 ottobre 2001 n. 366, pubblicata nella Gazzetta

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determinato in origine dalla legge, oggi dall’atto costitutivo. L’emissione di questa tipologia di azioni, consentita solo alle società

con azioni ordinarie quotate nei mercati regolamentati15, comporta la

necessità di prevedere un’assemblea speciale ed un rappresentante comune a tutela degli azionisti di risparmio, ne risulta così modificato l’assetto societario interno. Difatti, le delibere dell’assemblea ordinaria che possano potenzialmente ledere gli interessi degli azionisti di risparmio devono essere approvate anche dall’assemblea speciale di categoria.

La possibilità di emettere azioni speciali come le azioni di risparmio ha causato un primo vulnus del principio “one share, one vote”16 ormai

quasi del tutto superato, e del principio di uguaglianza formale dei partecipanti all’impresa. Rispetto a questa categoria di azioni, infatti, si assiste a un affievolimento e del rischio assunto dall’azionista e della sua posizione in punto di voice, sebbene riequilibrata da privilegi patrimoniali predeterminati dallo statuto.

Tra l’altro un ulteriore esempio di modulazione del contenuto della partecipazione azionaria è rappresentato dalle azioni senza voto, a voto limitato o a voto condizionato che, a partire dalla riforma societaria del 2003, possono essere emesse anche da società non quotate nei mercati regolamentati. Ai sensi dell’art. 2351 co. 2 c.c. ‹‹Lo

statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni››, purché il loro valore

15 Si veda art. 145 co. 1 del Testo unico della Finanza.

16 Si veda SAGLIOCCA M., Il definitivo tramonto del principio “un’azione, un voto”: tra

azioni a voto multiplo e maggiorazione del voto, in Riv. not., 2014, n. 5, p. 921, il quale approfondisce l’evoluzione della normativa societaria che, da ultimo con il c.d. decreto Competitività (d.l. 91/2014), ritiene abbia portato al superamento del principio “one share, one vote”.

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19

complessivo non superi la metà del capitale sociale. Tale limite consente di evitare che si consolidi una situazione di potere nelle mani dei soli soci con azioni a voto pieno17. Ancora una volta si è ben lontani

dal principio “un’azione, un voto” e soprattutto da una tutela della posizione degli azionisti titolari attuata mediante la previsione di meccanismi compensativi sul versante patrimoniale, come accade invece per le azioni di risparmio. Di norma, infatti, si tende a mantenere l’equilibrio tra profilo amministrativo e patrimoniale di uno strumento finanziario, in quanto i diritti amministrativi da esso attribuiti sono posti a presidio dell’interesse di natura patrimoniale. Per questa ragione, nella fattispecie delle azioni di risparmio alla esclusione del diritto di voto corrisponde il riconoscimento di privilegi patrimoniali. Tuttavia, il sistema normativo si è ormai evoluto in direzione di uno scollamento fra queste due componenti, come dimostrato per la prima volta proprio dalle azioni a voto limitato. Dunque, non esiste più una necessaria correlazione tra la limitazione dei diritti amministrativi e l’attribuzione di privilegi patrimoniali.

Per ciò che concerne il prestito obbligazionario invece, l’evoluzione dell’istituto ha preso le mosse dall’esigenza di ricapitalizzazione delle banche pubbliche attraverso il ricorso a capitali privati, emersa nella seconda metà del secolo scorso. Secondo parte della dottrina, bisognava ricercare nuovi strumenti finanziari per il reperimento delle risorse tenendo conto anche di quanto offerto dai modelli extra-ordinamentali. La dottrina tedesca, ad esempio, aveva elaborato nuove forme di finanziamento da parte di terzi destinate a fungere da

17 CAMPOBASSO G.F., Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, 9a ed., a cura di M.

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capitale, cioè funktionelles eigenkapital18. Strumenti idonei a tale scopo furono considerati i c.d. prestiti subordinati19 e gli ibridi di

patrimonializzazione. L’art. 12 del Testo unico bancario, infatti,

stabilisce che le banche possano emettere prestiti subordinati, irredimibili ovvero rimborsabili previa autorizzazione della Banca d'Italia e che tali emissioni possano avvenire anche sotto forma di obbligazioni o di titoli di deposito.

I prestiti subordinati sono delle forme di prestito obbligazionario e, in quanto tali, si configurano come una comune operazione di finanziamento del soggetto emittente i relativi strumenti finanziari, il quale ha un obbligo di rimborso e di remunerazione periodica degli interessi nei confronti dell’obbligazionista20. La peculiarità dei prestiti

obbligazionari subordinati è la c.d. clausola di subordinazione, che comporta un effetto di postergazione del creditore. In generale, infatti, un credito può dirsi subordinato quando il suo soddisfacimento è postergato a quello di altri crediti vantati nei confronti del medesimo debitore. Nel caso specifico dei prestiti subordinati emessi da una banca l’effetto della postergazione degli obbligazionisti sottoscrittori si

verifica in ipotesi di procedura concorsuale21. Per questa ragione, salvo

18 VALZER A., Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società per

azioni, Torino, 2012, p. 49.

19 Si veda PORTALE G. B., Finanziamento dell’impresa bancaria e raccolta del

risparmio (ricordo di Gian Franco Campobasso), in Banca, borsa e tit. cred., 2004, n. 4, p. 421.

20 Si veda HOUBEN M., Giurisdizione e legge applicabile ai prestiti obbligazionari, in

Riv. soc., 2015, 4, p. 617, l’a. sostiene che, in generale, gli obbligazionisti si configurino come dei ‹‹peculiari creditori sociali››.

21 VANONI S., I crediti subordinati, Torino, 2000, p. 17, nell’affrontare il problema della

liceità della clausola di subordinazione e, in particolare, della sua compatibilità con il principio della par condicio creditorum, stabilisce che la creazione di una categoria di creditori sfavoriti rispetto ai creditori chirografari sia del tutto ammissibile ‹‹in

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l’esistenza di varie categorie di crediti postergati, tale categoria di creditori viene indicata con la denominazione di “sottochirografari” o “ipografari”. La clausola di subordinazione, peraltro, può avere diversa portata: ad esempio, può prevedere la postergazione solamente per la

somma di capitale o, in aggiunta, anche degli interessi maturandi22.

I prestiti irredimibili, invece, definiti anche strumenti ibridi di patrimonializzazione, si distinguono dai prestiti subordinati in quanto, oltre alla clausola di postergazione, presentano delle caratteristiche ulteriori. Essi si caratterizzano per ‹‹l’irredimibilità23, ovvero possibilità

di rimborso solo per volontà dell’emittente e previa autorizzazione della Banca d’Italia; partecipazione postergata alle perdite correnti di gestione; sospensione del diritto alla remunerazione nell’ipotesi di “andamenti negativi della gestione”››24. Questi elementi, e in particolar

modo la sensibilità alle perdite di gestione, mettono in discussione la natura giuridica dell’istituto. In un certo senso, infatti, la partecipazione

considerazione del fatto che il nostro sistema prevede la libera rinuncia a diritti disponibili››. Si veda anche LAMANDINI M., Autonomia negoziale e vincoli di sistema nella emissione di strumenti finanziari da parte delle società per azioni e delle cooperative per azioni, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, 5, p. 519, il quale afferma che la subordinazione comunque non possa spingersi oltre la ‹‹più postergata delle pretese azionarie››.

22 Si veda VATTERMOLI D., Finanziamento alle imprese, banche e subordinazione

volontaria dei crediti, in Banca, borsa e tit. cred., 2011, 6, p. 737, in cui l’a. fornisce un quadro delle possibili configurazioni che la clausola di subordinazione può assumere, per via della libertà delle parti di modellarne il contenuto. Tra le varie soluzioni possibili sono annoverate la subordinazione assoluta, la subordinazione relativa, la subordinazione condizionata o incondizionata, etc.

23 Si veda PORTALE G. B., ‹‹Prestiti subordinati›› e ‹‹prestiti irredimibili›› (appunti), in

Banca, borsa e tit. cred., 1996, 1, p. 1, secondo l’a. la denominazione deriverebbe dalla durata potenzialmente perpetua del prestito, o comunque coincidente con la vita della banca.

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al rischio ne attenua la causa mutuatizia, mettendo in risalto delle ‹‹accentuate affinità tipologiche con il contratto di associazione in

partecipazione››25.

La possibilità di modulare il contenuto delle obbligazioni26 creando una

differenziazione interna alla classe degli obbligazionisti, prevista inizialmente solo per le imprese bancarie e poi estesa dal legislatore a tutte le società per azioni, dimostra che l’ottica di valorizzazione dell’autonomia privata nelle operazioni di finanziamento può determinare la configurazione di strumenti di varia natura allo scopo di attrarre nuovi investimenti nell’impresa.

Nel sistema normativo ante riforma del 2003, laddove le imprese italiane con necessità di risorse avrebbero potuto in alternativa scegliere fra il finanziamento dei soci e il ricorso al credito bancario, le altre imprese europee disponevano di un grosso catalogo di strumenti finanziari che consentiva loro un massiccio ricorso a capitali di investitori privati. La possibilità di bypassare il credito bancario,

25 Si veda PORTALE G. B., op. cit., l’a. ritiene che tali strumenti implichino ‹‹prestazioni

di rischio›› e che dunque attengano al profilo organizzativo dell’ente.

26 Per un ulteriore approfondimento si veda PISANI L., Il controllo dei creditori, in

Banca, borsa e tit. cred., 2017, 1, p. 69, il quale si sofferma sulla portata del c.d. Decreto sviluppo (d.l. 83/2012) che ha previsto l’emissione di obbligazioni partecipative, cioè strumenti obbligazionari che consentono di partecipare agli utili di impresa e che abbiano una durata minima di trentasei mesi. L’interesse remunerato, infatti, si compone di una parte stabilita in misura fissa e di una parte sensibile all’andamento economico dell’attività. Il legislatore, dunque, nel riformare la struttura finanziaria delle società si è via via spinto sempre più oltre. Se in passato si poteva distinguere tra l’interesse dell’obbligazionista e quello dell’azionista, in quanto in un caso si ha sensibilità, nell’altro partecipazione alle vicende societarie, sembra che, da ultimo con la partecipazione agli utili, non si possa più prendere come riferimento tale distinzione.

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affrontando dei costi di finanziamento di minore entità, rendeva queste imprese di gran lunga più competitive nel mercato.

Da qui, la necessità dell’ordinamento italiano di adeguarsi al mercato unico europeo attraverso la creazione di nuovi istituti che potessero soddisfare tali esigenze. Per l’appunto, le azioni di risparmio e le forme innovative del prestito obbligazionario diffusesi nella prassi, nati per far fronte ad esigenze contingenti e divenuti in un secondo momento parte strutturale del diritto societario, avevano dimostrato la possibilità di ampliare i mezzi di raccolta del capitale proprio e altrui. Con la l. n. 366 del 2001, al fine di ‹‹consentire l’acquisizione di ogni

elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale››27 il legislatore delegante prescriveva di riformare la disciplina dei conferimenti, a condizione che fosse garantita l’effettiva formazione del capitale sociale, e di prevedere nuovi strumenti finanziari ‹‹non

partecipativi e partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi›› (art. 4 co. 6, lett. c). Al fine di garantire il reperimento

di risorse, si prese in considerazione la possibilità di effettuare degli apporti atipici in favore della società, nel rispetto delle norme vigenti. L’acquisizione di apporti atipici28 poteva essere consentita mediante

l’emissione di azioni, ma con l’applicazione del correttivo dell’assegnazione non proporzionale, ovvero attraverso il rilascio delle

27 Si veda art. 4, co. 5, lett. a), della legge delega n. 366/2001.

28 Si veda FESTA FERRANTE G., Gli strumenti finanziari partecipativi, in Riv. not., 2008,

6, p. 1231, secondo l’a. la funzione dei nuovi strumenti finanziari sarebbe proprio quella di legittimare i conferimenti atipici, cioè non imputabili a capitale, in modo da ampliare le provviste della società e senza scontrarsi con i vincoli imposti dalla seconda direttiva comunitaria.

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c.d. azioni di industria, non imputabili a capitale29. Nonostante i dubbi

sollevati da queste ultime circa i diritti attribuibili ai titolari di azioni industriali, entrambe le tecniche furono vagliate attentamente. Nelle prime bozze del decreto, esse furono prese in considerazione nelle vesti di strumenti finanziari partecipativi. Nella sostanza, si trattava di azioni che consentivano l’acquisizione di entità non imputabili a capitale, dunque perfettamente in linea con i divieti imposti dalla

seconda direttiva comunitaria in materia societaria30. Nella redazione

finale del testo fu poi modificata la denominazione, per evitare equivoci di carattere sistematico, e si utilizzò quella generica di “strumenti finanziari partecipativi”.

Sotto il profilo degli strumenti non partecipativi si legittimavano nuove tipologie di obbligazioni, caratterizzate spesso da un’esposizione al rischio d’impresa da parte del creditore, con la possibilità di poter riconoscere ai loro detentori delle posizioni corporative come l’organizzazione comune di categoria per la tutela dei propri interessi. Nuovamente, il testo definitivo del decreto legislativo, finisce per sostituire la nozione di “obbligazioni” con quella di “strumenti finanziari”. A questi ultimi, indipendentemente dalla impostazione ricostruttiva che si adotti, viene esplicitamente estesa la disciplina obbligazionaria (art. 2411 co. 3 c.c.).

Questi cambiamenti determinati dalla riforma del 2003, sul versante degli strumenti finanziari, hanno inciso sull’assetto della compagine sociale e condotto sempre più l’impresa verso una logica di tipo

29 Si veda SORCI E., Contributo alla ricostruzione della fattispecie “strumento

finanziario partecipativo” (uno, nessuno o centomila?), in Banca, borsa e tit. cred., 2009, n. 4, p. 403.

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25

“istituzionale”31. In altre parole, al fine di agevolare la raccolta di

capitale e svincolare le imprese azionarie dal sostegno delle banche, il legislatore ha spesso disatteso dei principi basilari del sistema societario, anche legittimando una deviazione dai meccanismi contrattuali.

Ai sensi dell’art. 2346 co. 6 c.c., ad esempio, la società per azioni può emettere degli strumenti finanziari, non imputabili a capitale, che possono essere dotati di diritti patrimoniali ed anche di diritti amministrativi. Sebbene questa norma escluda che i titolari di tali strumenti possano essere dotati del diritto di voto nell’assemblea generale dei soci, l’art. 2351 co. 5 c.c. stabilisce che ad essi possa essere riservato il voto su argomenti specifici e la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Dunque, non è escluso che a dei soggetti terzi non in possesso di azioni, ma titolari di strumenti finanziari, possano essere riservate delle prerogative amministrative. Questo istituto ha rappresentato un grosso elemento di novità anche rispetto ad altri sistemi normativi dell’Europa continentale. Invero, l’attribuzione del diritto di voto e del potere di nomina dei membri dell’organo amministrativo a soggetti diversi dai soci è una

caratteristica propria degli ordinamenti di common law32; mentre nei

sistemi di civil law è sempre stata riconosciuta una posizione di primazia al socio-azionista. La trasformazione del sistema societario in questi termini segna un indebolimento del principio di uguaglianza

31 Si veda LENER R., Voice dei non soci, soci senza voice e concezione contrattuale della

società per azioni, in Riv. dir. civ., 2015, n. 2, p. 479, il quale scrive che ‹‹Il modello flessibile di s.p.a. introdotto con la riforma del 2003, pur mantenendo certamente profili di “contrattualità”, sembra frutto della (più o meno consapevole) scelta legislativa per una lettura della società come istituzione››.

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formale dei partecipanti all’impresa, già affievolito dal riconoscimento di categorie speciali di azioni e, oramai, dalla portata modestissima. Il

risultato della metamorfosi della società per azioni33, e principalmente

della sua struttura finanziaria, è allora palese: è ben possibile che all’interno della medesima società accanto a soci che non partecipino affatto all’attività di gestione, privi del diritto di voto e senza un necessario riequilibrio in termini patrimoniali34, vi siano non-soci

titolari di poteri di voice. Una lettura del sistema in questi termini si può ritenere possibile solo ammettendo che il rapporto sociale si sia mosso via via da una logica contrattuale a una istituzionale35, per cui il

legislatore consente operazioni di investimento o finanziamento del tutto innovativi proprio nell’interesse dell’istituzione “impresa”36.

Alla luce di quanto esposto fino a questo momento, a proposito e dell’evoluzione della partecipazione azionaria e dell’obbligazione e della configurazione di nuove tipologie di strumenti finanziari con la novella del 2003, non può mancare di osservarsi come la struttura

33 Si veda PORTALE G. B., Tra diritto dell’impresa e metamorfosi della s.p.a. in Società,

banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, 1, diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, Torino, 2014.

34 Si veda LENER R., op. cit.

35 Si veda SPOLIDORO M. S., ‹‹Principi e problemi›› delle società per azioni nel libro di

Carlo Angelici, in Riv. soc., 2014, 1, p. 159, l’a. mette in evidenza come nella prospettiva istituzionalistica si prendano in considerazione non solo gli interessi degli azionisti, ma anche quelli di altri soggetti coinvolti nell’attività sociale. Di diverso avviso, ROSSI G., La metamorfosi della società per azioni, in Riv. soc., 2012, 1, p. 1, il quale ritiene che le concezioni contrattualistica e istituzionalistica siano entrambe giunte al termine.

36 Si veda OPPO G., Quesiti in tema di azioni e strumenti finanziari, in Il nuovo diritto

delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 717.

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finanziaria della società per azioni si presenti oggi come un’architettura

multicolore37 molto complessa, in cui fra gli estremi

azione-obbligazione si colloca una moltitudine di soluzioni finanziarie per il finanziamento dell’impresa in senso lato.

3. Il genus strumenti finanziari: ricostruzioni della dottrina

3.1. Gli strumenti ibridi come unica categoria

L’introduzione degli “strumenti finanziari” nella disciplina codicistica ha rappresentato uno dei principali elementi di novità della legge del 2003, nonché uno degli aspetti più problematici della riforma sotto il profilo interpretativo. Le nuove norme, a tratti ambigue, sembrano

stimolare la “fantasia negoziale”38 degli operatori, poiché riconoscono

all’autonomia privata ampia libertà circa i contorni ed il contenuto da attribuire alla fattispecie. La dottrina si è ampiamente cimentata in una possibile classificazione di detti strumenti, talvolta facendo ricorso all’espressione ampia e generica di “strumenti finanziari ibridi”, talaltra ricostruendo l’esistenza di più categorie di strumenti contraddistinti da proprie caratteristiche e aventi una propria disciplina.

37 A proposito del mutamento sostanziale della struttura finanziaria della società per

azioni, da architettura bicolore ad una configurazione assai più complessa, si veda CIAN M., Investitori non azionisti e diritti amministrativi nella ‹‹nuova›› s.p.a., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006; si veda anche CIAN M., La nozione di strumento finanziario nel sistema del diritto commerciale, in Studium iuris, 2015, n. 12, p. 1450, in cui l’a. afferma che la società per azioni si presenti come una ‹‹struttura produttiva attorno a cui può orbitare una galassia poliedrica di relazioni finanziarie, con una gamma di tipologie associative e di prestito potenzialmente ricchissima››.

38 Si veda CIAN M., Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, Milano, 2006,

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Secondo una parte della dottrina è possibile parlare di strumenti finanziari ibridi per indicare delle entità che si collocano a metà strada fra l’azione e l’obbligazione39. Si tratta tuttavia di chiedersi se una

categoria di ibridi possa esistere ed avere un proprio statuto normativo ovvero se la locuzione possa essere utilizzata solamente in senso descrittivo.

I nuovi strumenti finanziari, probabilmente a causa del retaggio della vecchia struttura binaria della società, vengono sovente definiti in negativo, ovverosia cogliendone i tratti distintivi rispetto agli strumenti classici di investimento e finanziamento, e collocati nell’interstizio tra l’azione e l’obbligazione. Lo stesso ricorso al termine “ibridi” segnalerebbe la difficoltà degli interpreti nella definizione di questa

nuova categoria40. L’impostazione interpretativa degli ibridi finanziari

imporrebbe una reductio ad unum di tutte le tipologie nuove di strumenti finanziari, con conseguente applicazione ad essi della disciplina generale delle obbligazioni. Secondo questa tesi, tutti gli strumenti rappresenterebbero dei titoli di debito e la competenza all’emissione spetterebbe all’organo di amministrazione della società. Farebbero eccezione i soli “ibridi partecipativi”, intendendo per tali quelli dotati “anche” di diritti amministrativi, cui si applicherebbero l’art. 2346 co. 6, l’art. 2351 co. 5 e l’art. 2376 c.c.

In realtà, se si presta attenzione al dato normativo, non si può ignorare come la grey zone in cui si è propensi a collocare tutti gli strumenti finanziari sia ben più ampia ed eterogenea di quanto ci si aspetti. Proprio l’art. 2346 co. 6 c.c., consente alla società l’emissione di

39 Si veda MUSCOLO G., Gli strumenti finanziari, in Le nuove s.p.a., diretta da O.

Cagnasso e L. Panzani, Bologna, 2013.

40 Si veda CIAN M., op. cit., p. 3, secondo l’a. il generico ricorso alla nozione di ibridi

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29

strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali o amministrativi, anche a fronte di apporti di opera o servizi. Si tratta di strumenti i cui apporti corrispondenti non sono imputabili a capitale sociale. In tal modo, la società reperisce risorse e accresce il proprio patrimonio sfuggendo alla disciplina prevista per i conferimenti. Nella società per azioni, infatti, la disciplina dettata per i conferimenti è ispirata alla finalità di assegnare un valore veritiero alle prestazioni dei singoli soci, tale da evitare che il loro valore globale possa rivelarsi inferiore all’ammontare del capitale

sociale41. Per questo motivo è disciplinato nel codice un procedimento

di valutazione dei beni conferiti, quando si tratti di beni diversi dal denaro. La formazione di un capitale sociale fittizio, infatti, esporrebbe a rischio gli azionisti e, prima ancora, i creditori dell’impresa sociale. Inoltre, viene vietato in questo tipo societario il conferimento d’opera o servizi, consentito invece nelle società a responsabilità limitata. Rispetto a queste prestazioni, infatti, si pone un problema di compatibilità con l’art. 2342 co. 3 c.c., seconda parte, il quale stabilisce che ‹‹Le azioni corrispondenti a tali conferimenti (i.e. quelli diversi dal danaro) devono essere integralmente liberate al momento della

sottoscrizione››. L’immediata esecuzione42 risulta impossibile per la

loro stessa natura di prestazioni di durata. Nella società a responsabilità limitata, invece, sebbene l’art. 2464 co. 5 c.c. stabilisca che i conferimenti diversi dal danaro debbano essere eseguiti al

41 Si veda CAMPOBASSO G.F., Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, 9a ed., a

cura di M. Campobasso, Torino, 2015, p. 180.

42 Si veda BERTOLOTTI A., Costituzione della società e conferimenti, in Il nuovo diritto

societario. Profili civilistici, processuali, concorsuali, fiscali e penali, a cura di S. Ambrosini, 1, Torino, 2005, p. 56, l’a. ritiene che la formulazione dell’art. 2342 rivela necessariamente ‹‹una anteriorità, o al più contestualità del versamento››. Dello stesso avviso MIOLA M., I conferimenti in natura, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo – G. B. Portale, 1, Torino, 2004, p. 70.

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momento della sottoscrizione, si prevede al comma successivo la possibilità che il conferimento avvenga mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti gli obblighi assunti dal socio aventi ad oggetto la prestazione d’opera o servizi43.

Attraverso gli strumenti del co. 6 dell’art. 2346 c.c., dunque, il legislatore consente alla società per azioni l’acquisizione di beni non conferibili, come le prestazioni d’opera o servizi, che non sarebbero idonei a liberare azioni ordinarie.

Gli stessi strumenti menzionati dall’art. 2346 c.c., poi, non sembrano formare una categoria unitaria. Questi possono essere forniti, come afferma la norma, di diritti patrimoniali o “anche” di diritti amministrativi. Non solo l’utilizzo del termine “anche” suggerisce che tali strumenti possano essere dotati di soli diritti patrimoniali, ma il fatto che non sia neppure precisato quali diritti nello specifico essi possano attribuire è indice della loro modulabilità. Dunque, anche gli stessi strumenti finanziari dell’art. 2346 c.c. non presentano caratteristiche costanti: il loro contenuto è modulabile da parte dell’autonomia contrattuale.

Ancora diverse sembrano essere le caratteristiche degli strumenti ex art. 2411 co. 3 c.c., che condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società e sono assoggettati alla disciplina dei titoli obbligazionari. Essi rappresenterebbero forme di finanziamento dell’impresa che legano il terzo creditore alle sorti della società, caratteristica tipica del capitale di rischio e quindi propria dello strumento azionario.

43FERRI G., Manuale di diritto commerciale, a cura di C. Angelici e G.B. Ferri, Torino,

2016, p. 264, precisa che oggetto di conferimento è l’obbligo di prestare l’opera o i servizi e la garanzia prestata serve a garantire l’esecuzione di queste prestazioni.

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Le diversità che si riscontrano principalmente tra le fattispecie ora brevemente esaminate evidenzia un dato importante: la zona intermedia collocata fra gli estremi della partecipazione azionaria e dell’obbligazione è tutt’altro che omogenea. Vi rientra una molteplicità di strumenti tra i quali è difficile poter individuare dei tratti caratterizzanti. Non solo sembra rilevarsi un contrasto tra gli strumenti dell’art. 2346 co. 6 c.c. e quelli dell’art. 2411 co. 3 c.c., ma anche all’interno dell’art. 2346 co. 6 c.c. si aprono moltissime possibilità. Di conseguenza, individuare delle costanti che ci consentano di riunire tutti gli strumenti sotto lo stesso nomen è un’impresa ardua.

Per comprendere più a fondo quale posizione sarebbe possibile attribuire agli ibridi finanziari nell’ambito della struttura finanziaria della società per azioni, qualora si attribuisse a tale categoria una valenza euristica, può essere utile approfondire le nozioni di capitale

proprio e capitale di terzi.

3.1.1. Le nozioni di Eigenkapital e Fremdkapital

La società per il proprio fabbisogno finanziario può attingere al capitale proprio (Eigenkapital) o al capitale di terzi (Fremdkapital)44.

Nel primo caso, le risorse finanziarie provengono dai soggetti che compongono la società, soci, al momento della costituzione dell’impresa sociale attraverso i conferimenti o durante la vita della società a seguito delle delibere di aumento del capitale sociale. Queste operazioni di investimento nell’attività economica si ‹‹caratterizzano

per la definitività dell’attribuzione in favore della società e dal rischio di perdere, in tutto o in parte, il valore della stessa in presenza di perdite, senza che di conseguenza il conferente conservi un diritto attuale alla

44 Si veda VALZER A., Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società

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restituzione della stessa››45. Per questa ragione si parla di capitale di

rischio. Rientrano nell’Eigenkapital anche le operazioni di mero autofinanziamento, ovverosia quelle ipotesi in cui gli utili conseguiti dalla società non vengono distribuiti tra i soci, poiché si decide di reinvestirli nell’attività stessa.

Il capitale di terzi (Fremdkapital), invece, proviene da soggetti estranei alla società, che assumono la veste di creditori della stessa in quanto concedono somme a titolo di prestito. Queste operazioni comportano per i finanziatori il diritto a una remunerazione periodica degli interessi e prevedono la restituzione del valore nominale della somma di capitale prestata a una scadenza predeterminata. Si parla in questi casi di capitale di debito, per indicare il fatto che rispetto a tali operazioni la società figura come debitrice di terzi per le somme ricevute. Sono inoltre operazioni non soggette al rischio d’impresa.

La relazione tra il capitale proprio ed il capitale di debito, c.d. indice di

indipendenza finanziaria, esprime un indice di solidità dello stato

patrimoniale dell’impresa46. Tanto più cresce tale valore, tanto più

l’impresa sarà indipendente, in quanto ricorre ai finanziamenti dei soci che non comportano un diritto alla loro restituzione. Se, invece, diminuisce il valore dell’indice di indipendenza, si avrà un elevato indebitamento a causa del ricorso a capitale di terzi. Il basso grado di indipendenza dell’impresa è correlato ad una situazione di forte condizionamento nell’amministrazione e nella gestione.

Nonostante gli aziendalisti propongano diversi modelli circa l’equilibrio ottimale tra capitale proprio e capitale di terzi, nessuno di questi

45 Si veda FESTA FERRANTE G., Gli strumenti finanziari partecipativi, in Riv. not., 2008,

6, p. 1231.

46 Si veda PISONI P. – PUDDU L., Le analisi finanziarie: solidità e liquidità dell’impresa,

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raggiunge un grado di assolutezza tale da essere elevato a rango normativo. Ciò nondimeno, l’assenza di regole legislative non può essere interpretata come una libertà indiscriminata di ricorrere all’Eigenkapital o all’indebitamento della società, quanto piuttosto

‹‹come possibilità che il legislatore offre all’autonomia privata di scegliere il modo più opportuno, alla luce delle mutevoli esigenze di mercato e alla luce di principi non solo giuridici ma anche economici, attraverso cui reperire di volta in volta, i “fondi” necessari all’attività d’impresa››47. Dunque, in concreto, l’alternativa tra operazioni di

investimento piuttosto che di finanziamento dipende semplicemente dai soci, a loro spetta ‹‹la decisione in merito al se, in quale misura e

con quali mezzi finanziare la società››48.

Vista la contrapposizione tra area di rischio e di debito, probabilmente appare più chiara la ragione per cui non può ritenersi ammissibile un

tertium genus di strumenti che abbia una sua ragion d’essere. Di fronte

alla necessità di risorse la società può essere patrimonializzata o

indebitarsi: tertium non datur49. Non è possibile ipotizzare l’esistenza

di uno strumento che si collochi come una via di mezzo fra il capitale proprio ed il capitale di terzi, perché non esiste un quid a metà fra l’investimento nella e il finanziamento della impresa. La natura degli strumenti finanziari tende a schiacciarsi verso l’Eigenkapital o il

Fremdkapital. In un sistema così strutturato non c’è spazio per gli ibridi

47 Si veda PERUGINO S., Gli strumenti finanziari alla luce della riforma del diritto

societario, in Le società, 2004, 8, p. 941.

48 Si veda TOMBARI U., ‹‹Apporti spontanei›› e ‹‹prestiti›› dei soci nelle società di

capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 560.

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finanziari intesi come categoria unitaria e generale avente un suo statuto normativo50.

Inoltre, se anche si ammettesse l’esistenza di ibridi, l’estensione della disciplina obbligazionaria a tutti gli strumenti finanziari solleverebbe degli aspetti problematici. In particolare, solleva dei dubbi la possibile applicazione delle norme sui titoli di debito agli strumenti partecipativi previsti dall’art. 2346 co. 6 c.c. Non convince la collocazione topografica di detti strumenti a chiusura della disciplina del conferimento, in quanto quest’ultimo rappresenta un apporto di utilità destinate all’impresa in modo durevole, mentre secondo la disciplina obbligazionaria le entità apportate comportano un diritto al rimborso. Altro aspetto problematico poi, sarebbe l’applicazione agli strumenti finanziari dell’art. 2346 c.c. dei limiti di emissione delle obbligazioni previsti dall’art. 2412 c.c. Il computo degli apporti ai sensi dell’art. 2346 c.c. nel calcolo della soglia di emissione dei titoli di debito finirebbe per frustrare il ricorso della società al mercato di capitali, obiettivo che la riforma si prefigge di agevolare proprio grazie ai nuovi strumenti finanziari.

Non sembra possibile dunque una reductio ad unum dei nuovi strumenti, anzi si può affermare che ‹‹gli strumenti finanziari ibridi non

costituiscono un istituto perché non sono una categoria normativa››51.

Tali conclusioni, tuttavia, non consentono di accantonare del tutto il sintagma “ibridi finanziari”. Non è da escludersi, infatti, l’uso della

50 Si veda CIAN M., Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, Milano, 2006,

p. 27, l’a. afferma che il sintagma indichi semplicemente in senso generico, assumendo connotazione negativa, quegli strumenti non perfettamente coincidenti con la partecipazione azionaria e con l’obbligazione.

51 Si veda SORCI E., Contributo alla ricostruzione della fattispecie “strumento

finanziario partecipativo” (uno, nessuno o centomila?), in Banca, borsa e tit. cred., 2009, n. 4, p. 403.

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