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Il principio di correlazione rischio-potere: canone fondamentalissimo o

fondamentalissimo

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o principio ormai superato?

Alla luce delle ipotesi di dissociazione appena analizzate, non sembra si possa affermare l’esistenza di una correlazione tra rischio e potere

parallelismo tra golden quota di s.r.l., sostanziali golden shares di s.p.a. e dissociazione tra ownership e control nelle società personali in cui non tutti i soci sono coinvolti nella gestione.

226 O, meglio, l’equazione gestione–responsabilità, per cui ogni socio illimitatamente

responsabile, secondo il modello legale, è amministratore della società.

227 L’espressione è stata coniata da D’ALESSANDRO F., Aumento di capitale, categorie

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nella società azionaria come caratteristica legata all’essenza della società.

L’esistenza di tale principio non si può giustificare alla luce di una necessaria garanzia di una prudente gestione, in quanto non sempre la correlazione assolve a tale funzione. Inoltre, non sembra potersi ricavare alcuna norma imperativa che ne imponga l’esistenza nel modello della società per azioni. Per tale ragione l’idea della correlazione come canone fondamentalissimo del diritto deve essere necessariamente abbandonata, soprattutto guardando all’evoluzione normativa di diversi istituti societari tra cui quello degli strumenti finanziari partecipativi.

Certamente in passato poteva riscontrarsi una maggiore tendenza del legislatore ad assicurare una proporzionalità tra rischio in società e

potere di gestione, sia allo scopo di una tutela del singolo228, che può

esercitare un controllo sul proprio investimento, sia di tutela degli altri soci e dei terzi, in quanto è ben probabile che in questo modo si realizzi una gestione prudente della società per la realizzazione dei massimi guadagni a vantaggio di tutti. E tuttavia, non è sempre detto che tale meccanismo funzioni.

Per di più oggi l’esistenza, di fatto, di fenomeni dissociativi pone l’interprete dinanzi a interrogativi importanti. Se si aderisce alla tesi per cui il principio di correlazione tra rischio e potere sia necessario nella società azionaria, in quanto da sempre posto a garanzia dell’efficienza nell’esercizio del potere gestorio, bisogna allora interrogarsi sul perché il legislatore consentirebbe fenomeni di dissociazione, in casi estremi,

228 Si veda CINCOTTI C., Le preferred shares nel diritto italiano: proprietà della società

per azioni e strumenti finanziari ibridi, in Giur. comm., 2003, 5, p. 673, il quale in riferimento al binomio proprietà e controllo, chiarisce che il diritto di proprietà del singolo nella società si traduca nel diritto di controllare la gestione dell’impresa (1) e nel diritto ad appropriarsi del guadagno (2).

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addirittura massima. Di fatto, la mancata possibilità di individuare nelle norme imperative dei limiti che vadano ad arginare tali fenomeni si traduce in un’ammissibilità degli stessi. Basti pensare all’ipotesi di emissione pressoché illimitata di strumenti finanziari partecipativi privi di voice.

Se, invece, si prende atto dell’esistenza di questi fenomeni come il frutto di un percorso che si è realizzato gradualmente nel tempo, allora non potrà che accogliersi l’idea per cui la correlazione non possa rappresentare una caratteristica intrinseca della società azionaria,

quanto una scelta legislativa229 legata a precise contingenze e che oggi

non può di certo riscontrarsi, quanto meno nei termini in cui veniva predicata in passato.

Peraltro, il fatto che anche l’esistenza di una correlazione tra rischio e potere comunque non metterebbe al riparo da ipotesi di mala gestio, solleva dubbi anche sulla funzione di tale principio.

Come si è avuto modo di osservare nelle società personali, tale funzione è assegnata non tanto al rapporto ownership-control, quanto alla equazione amministrazione-responsabilità. Laddove quindi non funziona il meccanismo di correlazione tra rischio e potere, interviene comunque il regime di responsabilità personale e illimitata di chi è titolare della gestione. Tale meccanismo sostitutivo, invece, non opera nelle società di capitali e, per quel che qui interessa, nella società per azioni. Nell’ipotesi di configurazione di golden shares, ad esempio, non è stato possibile rinvenire una soluzione ricorrendo ai limiti di

229 Tale impostazione risulterebbe confermata dal fatto che, come emerge da uno

studio effettuato dalla Commissione europea nel 2007, la disciplina del diritto di voto e gli scostamenti dal principio di proporzionalità rispetto alla partecipazione si strutturano in modo diverso nei vari Stati a seconda della struttura economica e proprietaria delle imprese. Si veda GUERRERA F., La scissione tra proprietà e voto nella s.p.a.: doveri, abusi, rimedi, in Giur. comm., 2017, 2, p. 191.

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emissione di cui all’art. 2351 c.c., in quanto gli strumenti finanziari partecipativi non sarebbero suscettibili di alcuna limitazione. Tale impostazione, infatti, sarebbe in linea con il silenzio del legislatore quanto ai limiti di emissione e con gli scopi stessi della riforma societaria di estendere, non di limitare, le possibilità di recupero di risorse per le imprese.

Di conseguenza, il principio di correlazione tra rischio e potere non solo non può ritenersi attuale ma, guardando all’attuale conformazione della società azionaria, neanche sarebbe capace di assolvere alla funzione per cui è stato originariamente pensato.

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Considerazioni conclusive

Dopo aver ripercorso analiticamente i principali nodi problematici legati agli strumenti finanziari partecipativi è doveroso provare a fissare qualche punto fermo sulla questione della configurazione della fattispecie, della disciplina e dell’impatto che essa ha determinato sulla società per azioni.

Il presente lavoro di tesi ha cercato di mettere in risalto i profili principali dell’istituto degli strumenti finanziari partecipativi approfondendo gli aspetti della disciplina normativa. La ventata riformatrice scaturita nel d.lgs. n. 6 del 2003 ha modificato irrevocabilmente il modello della società per azioni, sia sotto il profilo degli strumenti finanziari che, indirettamente, su quello dei rapporti tra società, soci e terzi.

I “nuovi” strumenti finanziari partecipativi hanno definitivamente segnato la fine di un modello di società basato inevitabilmente sulla contrapposizione, dal punto di vista della struttura finanziaria, tra azione e obbligazione e hanno aperto la strada a nuove forme di investimento. Peraltro, l’ampiezza con cui è stato formulato l’art. 2346 co. 6 c.c. ha reso praticabili soluzioni pressoché innumerevoli. L’idea di ampliare la struttura finanziaria della società per consentirne la capitalizzazione, infatti, ben si conciliava con la creazione di una fattispecie che rappresentasse una “tipizzazione dell’atipico”230, cioè

rispetto alla quale si potessero riconoscere ampi margini in capo all’autonomia statutaria. Tale caratteristica, però, propria dei soli

230 Si veda NOTARI M., Azioni e strumenti finanziari: confini delle fattispecie e profili

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strumenti “partecipativi”, non anche di quelli quasi-obbligazionari, non ha mancato di determinare incertezze proprio sul piano applicativo. Alla luce dell’analisi delle norme codicistiche che si è svolta nel corso dell’elaborato è emersa una configurazione degli strumenti finanziari partecipativi come una forma di investimento di rischio nell’impresa che rappresenta un qualcosa di totalmente nuovo rispetto al passato. Lo spazio riservato ai nuovi strumenti finanziari partecipativi nel capo dedicato alla disciplina delle azioni ha fatto venir meno l’esclusività della partecipazione azionaria come unica partecipazione sociale, sebbene non come unica partecipazione al capitale.

Inoltre, l’aver consentito anche a soggetti terzi di poter sottoscrivere questa forma di investimento ha imposto una necessaria rivisitazione del concetto di partecipazione alla società. Chi sottoscrive gli strumenti finanziari, appunto partecipativi, è legato alla società da un rapporto che trova la fonte nello stesso contratto sociale. Se l’azione è frazione del capitale imprescindibile, quando la società decida di ampliare la propria struttura finanziaria anche lo strumento finanziario partecipativo ne diviene una forma di partecipazione, seppur eventuale, che trova comunque origine e disciplina nello statuto stesso.

Attraverso tali strumenti di partecipazione al capitale di rischio gli strumentisti possono essere titolari di diritti di tipo patrimoniale o anche amministrativo, che in passato erano prerogativa esclusiva dei soci. Non solo possono concorrere nella partecipazione agli utili o al saldo attivo di liquidazione, ma possono addirittura essere titolari del diritto di voto. In questo modo, l’assemblea non rappresenta più un organo composto solamente dai soci, ma il luogo ove vi è la necessità di trovare un compromesso, una convergenza, fra gli interessi delle diverse categorie di azionisti e di strumentisti.

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Sorge allora l’interrogativo se, effettivamente, la società per azioni possa ancora dirsi di proprietà dei soci. Sicuramente, questa è una circostanza che deve essere verificata in concreto. Lo spazio di cui gode l’autonomia statutaria nella modulazione degli strumenti finanziari, infatti, non consente di poter fare delle stime.

Peraltro, nonostante il costante lavoro esegetico della dottrina abbia consentito di fare maggiore chiarezza negli anni, su struttura e contenuto di questi strumenti, sarebbe necessario che anche la giurisprudenza desse un contributo mirato a fare chiarezza. Non va trascurato il fatto che lo scarso utilizzo di questi strumenti nella prassi non abbia certamente rappresentato un aiuto in tal senso, tuttavia oggi sembra farsi strada la consapevolezza di una fattispecie di strumenti

finanziari non solo modulabile ma anche adattabile a diversi scopi231.

In generale, dunque, si auspica una maggiore presa di coscienza sulla potenziale portata dell’istituto.

Ciò di cui si può esser certi, in ogni caso, è che la società azionaria con cui ci troviamo a confrontarci oggi non è più quella delle origini. Quando ci si ritrova ad interpretare norme relative a nuovi istituti, come quello in esame, non si può che prendere atto di ciò. Il cambiamento della sua struttura finanziaria, prima avvenuto a passi lenti, si è accentuato sempre di più in maniera tale da rendere la società azionaria in alcuni casi irriconoscibile.

Tale tendenza è ben evidente ed è emersa anche dall’analisi del profilo della correlazione rischio-potere, ritenuto tratto caratterizzante della società azionaria nella codificazione del ’42, poi affievolitosi via via fino diventare uno scheletro del passato. L’idea che la corrispondenza tra rischio e potere sia radicata nella natura della società per azioni deve,

231 Si vedano BUSANI A. – SAGLIOCCA M., Gli strumenti finanziari partecipativi nelle

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alla luce degli esempi che si sono riportati, essere ormai abbandonata. Sia a livello atomistico che globale, dunque guardando tanto la posizione del singolo che partecipa alla società quanto quella della sua struttura finanziaria, si osserva semmai come sia spesso riscontrabile, anzi, una dissociazione tra rischio e potere, cui peraltro il legislatore non sembra porre limiti.

Alla luce di ciò, allora, non possiamo che prendere atto della circostanza che il principio di correlazione rischio-potere non sia una regola, né una caratteristica tipica della società azionaria, bensì aveva un ruolo di incentivare chi era titolare di un potere gestorio all’adozione di una condotta prudente. Tuttavia, non solo oggi è difficile che di correlazione possa ancora parlarsi, ma è difficile che la stessa correlazione possa essere funzionale a tale scopo. Inoltre, è ancora difficile capire perché il legislatore consentirebbe fenomeni di dissociazione se la correlazione fosse insita nella società azionaria. In conclusione, ciò che appartiene alla società non è tanto una correlazione tra rischio dell’investimento e quantum di potere gestorio corrispondente, quanto una dissociazione proprio tra rischio e potere232.

232 Questa è la ragione per cui nel titolo della tesi si parla di dissociazione, anziché di

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