Analisi idrogeomorfologica del paesaggio
5. Fascia antiappenninica Località: lago di Vico
La fascia antiappennini- ca, che separa il piano tufaceo dell’entroterra dalla valle del Tevere, è caratterizzata dall’alli- nearsi delle caldere di quelli che un tempo erano vulcani attivi.
Al cratere Cimino (Lago di Vico) si addossa a nord-ovest un insieme di poggi culminanti nel monte Cimino. Tutte le par- ti più elevate e più ripide degli spenti vulcani laziali si am- mantano di boschi e di macchie (Sestini, 1968).
Così, nel settore occidentale del lago di Vico si è mantenuta, costante nella storia, l’impene- trabile Selva Cimina che invece, nel versante tiberino, in segui- to alla crescita dell’importanza di Viterbo e della variante del- la Cassia Cimina (X-XI secolo e.v.), ha lasciato posto allo svi- luppo di piccoli borghi.
Nelle parti pianeggianti a ri- dosso del lago il suolo è sfrutta- to per coltivazioni intensive, tra le quali il nocciolo che, per ra- gioni economiche, sta prenden- do sempre più piede, riuscendo a sottrarre spazio addirittura al bosco. Presso il lago di Bolse- na, invece, resistono ancora i vigneti che producono il tipico vino di Montefiascone.
Fig. 6
Carta corografica dello Stato Pontificio (stralcio)
L’area dell’Etruria meridionale interna risulta compresa tra la fascia costiera, costituita prevalentemente da sabbie e argille, e dorsale vulcanica lungo la quale si allineano le caldere, oggi bacini lacustri, del lago di Bolsena, di Vico e di Bracciano.
5.c Geomorfologia
La carta geologica dello Stato Pontificio ci mostra un Lazio un poco ruotato e, così, allungato, che si dispiega sul foglio quasi per- fettamente in forma verticale, da nord-ovest a sud-est. Questa par- ticolare rappresentazione, che di poco differisce dalle attuali con- venzioni, disabitua e quindi ridesta l’occhio e meglio mette in luce alcuni particolari aspetti della geomorfologia della regione.
Per la metà settentrionale questa appare spartita in due dal Te- vere: alla sua destra i suoli assumono una colorazione che da gialla si fa biancastra, fino ad ingrigirsi nelle ombre delle increspature dell’appennino, ad indicare la natura prima sedimentaria e poi cal- carea dei terreni. Ad ovest del fiume il suolo è invece descritto da un colore arancio che contraddistingue le piroclastiti ed i tufi, so- prattutto. Lungo il litorale si notano le argille e le marne della Tolfa che rompono la linearità della fascia calcarea costiera, con incur- sioni di basalto, pure. Ma il dato più appariscente è costituito dai bacini dei laghi che in questa speciale rappresentazione si allineano sulla verticale a costituire come una spina dorsale della regione. Non sono altro che caldere, ovvero quanto sopravvive degli ampi edifici vulcanici, dei Vulsini, dei Cimini, dei Sabatini e degli Albani, elencandoli da nord a sud. E la loro natura vulcanica è denunciata dalle macchie bluastre e talvolta vermiglie, nient’altro, ovvero, che le colate di peperino e di basalto che orlano i crateri. Questa spina dorsale, come nota Potter (1985), costituisce un confine naturale e politico, tra Falisci e Veientani. Le penetrazioni che dalla costa si sono spinte sempre più nell’entroterra non hanno potuto igno- rare questa barriera orografica cosicché il flusso si è biforcato sce- gliendo come uniche strade possibili i varchi tra un rilievo e l’altro: Tarquinia dialogava con Tuscania e Norchia e quindi, appresso, con Castel d’Asso e Viterbo e, continuando ancora, con Bomarzo e Montefiascone; da Cerveteri le vie si spingevano invece verso Veio e Faleri. Anche la Tolfa, seppur meno imponente e meno aspra, in questo quadro politico sembra giocare il suo ruolo, separando, già dalla costa, l’area ceretana da quella tarquiniese. Tuttavia, in que- sto caso, il Mignone attraversa il complesso tolfetano e così facendo disegna, con la sua valle, una via di comunicazione potentissima che, come già accennato, sarà una delle prime che verrà sfruttata per i commerci che in quei luoghi si fondavano prevalentemente sui metalli.
Le emergenze montuose fanno sempre da contrappunto e da fondale, orientano e circoscrivono il territorio, lo confinano de- terminando le aree di espansione e, assieme ai fiumi, dettano gli assetti territoriali. Inoltre è proprio da questa catena montuosa co- stellata dai bacini lacustri che ha origine il suolo di una buona parte del Lazio.
Tra tali emergenze, parzialmente spianate e ridotte a rilievi mo- desti, come nota anche Goethe durante il suo viaggio4, si distende
così, sopra un più antico strato calcareo o argilloso, il plateau for- 4 Le zone vulcaniche sono molto più basse degli Appennini, e solo i corsi d’acqua, scorrendo impetuosi, le hanno incise creando rilievi e dirupi in forme stupendamente plastiche, roccioni a precipizio e un paesaggio tutto discontinuità e fratture (Goethe, 2013).
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Fig. 7
Geomorfologia
Rielaborazione grafica della “Carta corografica dello Stato Pontificio” che descrive sinteticamente (attra- verso una minima distinzione delle caratteristiche dei suoli) la struttura geologica dell’Etruria meridionale.
VULCI TARQUINIA CERVETERI ROMA NORCHIA SAN GIULIANO BARBARANO ROMANO BLERA SUTRI TUSCANIA
mato dalle ceneri, dai lapilli dalle lave e soprattutto dai materiali tufacei che ha reso suoli fertili ad i suoi abitanti. Infatti i tufi si sono rivelati abbastanza propizi alle colture arboree, mentre le lave e le colate basaltiche hanno ospitato a lungo boschi o macchie o step- pe di difficile dissodamento (Caizzi, Cianfarani, Matthiae, Pirova- no, Tagliacarne, 1975).
La rete capillare delle acque, che si andrà ora vedendo, ha sca- vato dal basso questi strati e provocato burroni e vallette, ovvero il paesaggio delle forre che caratterizza morfologicamente questo settore dell’Alto Lazio. Alle civiltà che occuparono l’area tale feno- meno ha offerto pianori isolati da abitare, perché sicuri e salubri, oltre che grandiose facciate a piombo sui baratri da scolpire, dove ricavare da semplici ricoveri a maestose tombe.
Questa struttura, sinteticamente descritta da pianori e forre, ha influito pure sull’aspetto vegetazionale, determinando due preva- lenti tipi di assetti: da una parte quella estesa, boschiva o arida e rada dei piani, dall’altra quella filiforme della macchia rigogliosa dei burroni e delle vallette.
5.d Idrografia
Da sempre le civiltà hanno preferito trovare dimora stabile presso un corso d’acqua, in quanto questo costituisce una risor- sa indispensabile oltre che, al tempo stesso, tanto una naturale via di comunicazione, rispetto alle valli, quanto un sistema difensivo, per i pianori riparati che lambisce. Se l’entroterra alto-laziale, che rappresenta oggi il caso di studio oggetto dell’interesse di questa ricerca, è stato così vivace e ricco di storia, in buona parte lo deve alla presenza capillare di bacini idrici, che permeano i suoli model- landoli secondo la peculiare conformazione che vede l’alternarsi di pianori e forre.
I fiumi, compresi i corsi d’acqua minori, quando navigabili, dal- la costa conducono verso l’entroterra. Hanno così permesso ai po- poli navigatori che giungevano dal Tirreno di avanzare all’interno della penisola trovando approdo lungo i corsi d’acqua, avviando scambi mercantili e culturali che hanno promosso lo sviluppo e l’e- voluzione delle civiltà autoctone, secondo gli influssi che venivano da altrove, da tutto il bacino del Mediterraneo, e viceversa. Il fio- rire delle civiltà ha avuto così origine proprio dalla costa, da una
Fig. 8
Emergenze orografiche interne ed esterne al territorio dell’Etruria meridionale.
129 Parte seconda - capitolo 5 Caratteri ambientali
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Fig. 9
Sistema idrologico e assetto an- tropico
I tre maggiori bacini idrologici dell’Etruria meridionale hanno de- terminato gli sviluppi della civiltà etrusca, favorendo ed influenzan- do le economie e le politiche dei tre maggiori caposaldi costieri, Vulci, Tarquinia e Cerveteri.
VULCI
BACINO DEL FIORA
TARQUINIA BACINO DEL MARTA
CERVETERI
fascia di un poco arretrata rispetto a questa, per ragioni tecniche e di sicurezza, e grazie alle vie di penetrazione fluviale ha permeato capillarmente l’entroterra. Non a caso alla Castellina sul Marango- ne, presso l’attuale sito di Santa Marinella, e a Luni sul Mignone, per citare due esempi, si sono riscontrate presenze di ceramiche micenee risalenti al XII secolo a.e.v., che testimoniano di un rap- porto con le civiltà greche, il quale perdurerà per secoli culminando in quel periodo della civiltà etrusca definito orientalizzante per via dell’origine della cultura che tanto aveva influito sui costumi locali. Così le vie d’acqua hanno ripetutamente esercitato un’influenza tanto culturale che economica, che politica.
E se guardiamo alla storia della cultura etrusca, possiamo nota- re come le grandi città egemoni della costa, Vulci, Tarquinia e Cer- veteri, elencandole a partire dal nord, facciano riferimento ognuna ad uno dei grandi bacini idrografici della regione etrusca (Cerveteri indirettamente). Il Fiora, il Marta ed il Mignone sono, rispettiva- mente, i tre fiumi principali che influenzarono gli assetti territoria- li, culturali e le economie di questi centri.
Accanto a questi, altri nomi si evidenziano per importanza, so- prattutto storica, come il Biedano, il Traponzo, il Leia, il Grignano, l’Arrone, il Vesca. Fiumi o, meglio, fossi e torrenti, con un regime il più delle volte torrentizio per via dello scarso spessore dei suoli.
Questa semplice lettura, che vede parte del destino delle città e dei territori già scritta nella loro geografia, non poteva far pensare ad una storia diversa rispetto a quella accaduta. Roma, che tra tutti i centri dell’Italia centrale occupa le sponde del fiume più grande ed importante, il Tevere, proprio per questa sua posizione non poteva avere altro destino se non quello di diventare la città dominante, prima del territorio circostante, poi di un’area di modo molto più estesa.
131 Parte seconda - capitolo 6 Caratteri storico-culturali
Il tempo non c’entra nulla. Mi ha sempre sorpreso che i miei contemporanei, convinti d’aver conquistato e trasformato lo spa- zio, ignorino che si può restringere a proprio piacimento a distan- za di secoli.
Yourcenar, 1984
L
’intento di questa indagine è quello di tracciare brevemente la storia che ha interessato il territorio dell’Etruria meri- dionale, cercando di chiarire le dinamiche politiche, econo- miche e culturali che hanno avuto riflesso concreto sui luo- ghi e soprattutto di individuare quei siti dove oggi sopravvivono ancora i segni deposti da ogni periodo come testimoni dei diversi paesaggi succedutesi nel tempo.Questo breve racconto parte dall’Età del Bronzo, periodo nel quale iniziarono ad attestarsi in Etruria meridionale le prime for- me di insediamento stanziale, e prosegue linearmente, ovvero senza interruzioni, fino al basso Medioevo o primo Rinascimento. Descrive quindi brevemente un lungo periodo nel quale questo ter- ritorio è stato in gran parte abbandonato ed abitato solo da pastori e greggi e saltuari visitatori, per arrivare poi agli anni ‘50 del ‘900 e alla riforma fondiaria, ultimo evento che lasciò testimonianze ri- conoscibili sulla struttura del paesaggio: prima con i lavori di in- frastrutturazione relativi alla ferrovia che doveva collegare (e mai lo farà) Terni a Civitavecchia, attraverso la realizzazione del ramo Orte-Civitavecchia; e, poi, con la riforma fondiaria, che definisce un nuovo assetto del paese attuando opere di bonifica e di infra- strutturazione. Da questo momento si arriva al periodo attuale, attraversando un tempo dove la storia pare nuovamente tacere, almeno per quell’area interna percorsa un tempo dalla via Clodia, ormai ridotta a poche tracce.
L’indagine è incalzata da una serie di domande alle quali si cerca di offrire una chiara risposta.
Come era e come appare oggi questo territorio? Quali erano e quanto sopravvive di quei caratteri che lo hanno precedentemente caratterizzato? Seppur apparentemente selvaggio ed inselvatichito,