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Nel IV secolo a.e.v città come Norchia, Tuscania e Sovana, raggiungono il loro apice, mentre nuovi centri vengono fondati,

VULCI TUSCANIA

XV- XX secolo e.v Età moderna

Il paesaggio pittoresco del riuso: necropoli e san- tuari rupestri adattati a stalle e grotte; il viaggio in Etruria alla scoperta dell’antico

Fig. 39

Carta diacronica: il territorio nell’Età moderna

Chiave di lettura

Gli itinerari dei viaggiatori che stu- diano e documentano l’Etruria.

187 Parte seconda - capitolo 6 Caratteri storico-culturali

01 5 10 km

itinerario di George Dennis e Samuel Ainsley, Ottobre-Novembre 1842 itinerario di George Dennis e Samuel Ainsley, Giugno-Luglio 1842

linee ferroviarie esistenti al 1927

itinerario di David H. Lawrence, 1927 Fig. 39 VEIO ROMA CERVETERI TARQUINIA VULCI MONTALTO TUSCANIA BOLSENA MONTEFIASCONE ORVIETO BOMARZO CASTEL D’ASSO NORCHIA BLERA RONCIGLIONE SUTRI

Fig. 40

Pianta degli ambienti rupestri ricavati sul versante settentrionale del pianoro di Norchia (per la collocazione planimetrica vedi fig. 36).

Fig. 41

L’interno di una camera funeraria rupestre riutilizzata, a partire dal tardoantico fino a non troppo tempo fa, come ricovero per animali.

Stalle e ricoveri presso Norchia

Tante architetture funerarie etrusche, se non più antiche, villa- noviane o previllanoviane nel caso di queste terre, sono state riuti- lizzate e pertanto modificate, al fine di essere adattate ai nuovi usi. Quest’abitudine ha rappresentato una regola, economa e di buon senso indotta dal recuperare ed utilizzare ciò che il passato ha con- segnato. Una regola che si è praticata fino a quando non è stato codificato un sentimento ossequioso verso le rovine del mondo an- tico.

Ma fino a poco tempo fa, non perché non ci fosse rispetto verso le antichità, ma perché la necessità di riuso era più forte - ed in fon- do anche in questa si manifestava un certo tipo di attenzione -, le tombe, i santuari e le chiesette dirute dell’Etruria interna, lasciata ai boschi e al pascolo, e nei casi più fortunati all’agricoltura, sono state ricoveri per animali e pastori. I bancali, le nicchie e le pareti sono state adattate a mangiatoie; i varchi chiusi con tavole incardi- nate alle soglie ricavate a risparmio nel tufo.

A Norchia, dietro l’abside di San Pietro, diparte un tortuoso per- corso che scende di circa quattro metri lungo il costone settentrio- nale. Conduce di fronte a quattro antiche grotte che inizialmente furono tombe e che poi vennero adattate a stalle, a partire dai primi momenti di decadenza dell’alto medioevo.

Per gli adeguamenti i quattro vani furono resi comunicanti. Nel primo, a partire da sinistra o da est, le quattro nicchie hanno svolto la chiara funzione di mangiatoie, suggerita anche dai solchi incisi sul parterre atti probabilmente a posizionare i battifianchi. Anche l’ultima pare aver avuto la stessa sorte con una mangiatoia posta sul lato lungo della cella.

Ai segni curvilinei ancor visibili delle picconate etrushe, si me- scolano così gli aggustamenti fatti, anche un poco maldestramente, per adattare le tombe a stalle.

189 Parte seconda - capitolo 6 Caratteri storico-culturali

Dalla fine del XIX secolo, geograficamente (non giuridicamen- te), le terre dell’Etruria meridionale appartengono alla regione La- zio, ancora in via di definizione.

Il lungo periodo di silenzio sembra concludersi con l’arrivo del XX secolo, quando in tutta l’Italia si assiste ad un fenomeno gene- rale di industrializzazione e infrastrutturazione del territorio che coinvolge anche le aree dell’Etruria meridionale. Tuttavia questi cambiamenti rappresenteranno solo degli episodi che non daranno seguito ad uno sviluppo economico ed edilizio (fortunatamente) in grado di stravolgere l’immagine del territorio.

Dopo il primo decennio del 1900 iniziano i lavori che portano alla realizzazione delle infrastrutture viabilistiche che attraversa- no e collegano la penisola. In questo programma rientra anche il progetto per la “costruzione e l’esercizio della ferrovia Civitavec- chia-Orte”, annunciato nel 1918 dalla Società Elettro-Ferroviaria Italiana, con l’obiettivo di collegare il polo industriale di Terni al porto sul mediterraneo. Nel 1928 la linea viene inaugurata ed un anno dopo entra in esercizio. La ferrovia attraversa i territori brulli delle colline tolfetane correndo lungo il fiume Mignone. Dissemina qua e là ponti, tunnel e stazioni ferroviarie, ben presto (già dal 1961 il tratto della ferrovia Civitavecchia-Capranica viene dismesso) de- stinati a diventare relitti abbandonati nel territorio.

Nel frattempo anche le campagne sono oggetto di operazioni di ammodernamento, attraverso lavori di bonifica e missioni per l’in- formazione, per debellare malaria, pellagra ed analfabetismo, che, malgrado l’impegno, poco contribuiscono ad intaccare la profonda eredità del passato e l’immagine di un paese povero ed arretrato. Solo dopo la guerra si ottengono i più significativi risultati, con la riforma fondiaria del 1950, che espropria le terre ai latifondisti per riassegnarle, risuddivise in poderi e quote (mediamente di 12 e 4 ettari), a nuovi proprietari terrieri, migliaia di famiglie contadi- ne provenienti da regioni diverse. La riforma, condotta dall’allora Ente Maremma (poi Ersial, oggi Arsial), costruisce case coloniche tutte uguali, poste in posizione elevata (seguendo criteri geopedo- logici) e dotate di forno a legna, porcilaia e pollaio; borghi rurali, dove le famiglie si ritrovavano assieme, costituiti da spacci alimen- tari, scuole, chiese, ambulatori; strade interpodali, acquedotti ed elettrodotti. Piantuma eucalipti ed acacie dalla rapida crescita lun- go le strade ed olivi a segnare i confini. Le famiglie hanno a dispo- sizione orti e frutteti, dove possibile.

I segni della riforma agraria permangono oggi nel territorio, così come i relitti della linea ferroviaria Orte-Civitavecchia, le stazioni ferroviarie abbandonate ed in parte depredate, le altre opere civili, come il ponte sul Biedano, che porta le macchine a Blera, inaugu- rato nel 1937. Nonostante tutto il territorio ed il paesaggio agrario dell’Etruria mantengono la loro integrità, e su tutti i racconti pare vincere ancora la voce del passato, di un tempo che tiene assieme tutte le memorie.

XX secolo

Tentativi falliti per l’am- modernamento del paesag- gio: relitti ferroviari nel paesaggio tolfetano. Dal latifondo alla riforma fon- diaria

Fig. 42

Carta diacronica: il territorio a metà del XX secolo

Chiave di lettura

Il tracciato della ferrovia Caprani- ca-Civitavecchia (ramo della Terni- Orte-Civitavecchia).

Centri, borghi e servizi realizzati dall’Ente Maremma (fonte:Arsial).

191 Parte seconda - capitolo 6 Caratteri storico-culturali

01 5 10 km

borghi di servizio Ente Maremma ramo Civitavecchia-

Capranica (1928) ferrovie preesistenti al 1928

centri di servizio Ente Maremma centri di Colonizzazione Ente Maremma borghi Ente Maremma

scuole (elementari e asili)

Fig. 42 autostrada consorzio Ente Maremma strade principali VITERBO NORCHIA ROMA BORGO RIO SECCO TARQUINIA VULCI MONTALTO TUSCANIA LADISPOLI

Il paesaggio agrario presso Norchia

Quando oggi si giunge a Norchia, in macchina o a piedi, lo si fa, impropriamente, percorrendo una strada bianca locale che di- parte dalla superstrada Umbro-Laziale (la SS 675) in direzione nord-ovest, per arrestarsi, non molto dopo lo svincolo, poco prima dell’orlo della forra.

La strada serve, come tante altre, i campi che tappezzano il pia- noro a est di Norchia1; è bordata da filari di eucalipti e costeggiata,

con un ritmo cadenzato dalle estensioni delle proprietà terriere, da casali e da altri fabbricati agricoli.

L’immagine è una delle più consuete e apparentemente conna- turate al territorio agricolo dell’Alto Lazio (e non solo). Tuttavia si tratta di un paesaggio piuttosto recente, venuto a costituirsi solo appresso alla riforma fondiaria del 1950.

I filari di eucalipti, o di acacie altre volte, sono i segni della boni- fica, come pure le case coloniche, oggi affiancate nella campagna da nuovi casaletti, con la tipica scala esterna, che serviva il primo pia- no destinato all’abitazione, che rappresentano il prodotto dell’at- tività edificatoria dell’Ente Maremma. Assieme ad alberi e casali, a partire dallametà del XX secolo, vennero realizzati veri e propri borghi autonomi, dotati di tutto quel che bastava a garantire una minima vita sociale, e sistemi idrici ed infrastrutture, avviando così la riforma fondiaria che in maniera velatamente forte sarebbe an- data a trasformare il territorio.

Nei dintorni di Norchia, in quel paesaggio da secoli consegnato all’agricoltura, se ne trovano oggi frequenti segni. La stessa topo- nomastica, che con frequenza elenca il podere a segnare le proprie- tà (podere S. Giovanni, p. S. Tommaso, p. S. Ettore, p. S. Marcello, p. S. Francesco, p. S. Paolo etc.), fa risuonare quel momento, non troppo distante; e con un poco di sforzo, lavorando sulla cartogra- fia, è possibile pure identificare le tracce dell’originario appodera- mento, coi lotti vasti circa 12-13 ettari e con le strade che li servi- vano.

1 In questo caso, quello di Norchia, la precisazione è più che dovuta. Infatti, tra i due pianori, quello ad est e quello ad ovest, esiste una sostanziale differenza che emerge subito dall’immagine aerea. Al contrario del pianoro orientale, tappezzato dalle trame dei campi, quello occidentale si presenta brullo e compatto, ovvero non organizzato in poderi: è infatti zona militare destinata alle esercitazioni. L’unica forma di uso del suolo legata al mondo rurale è dunque rappresentata dalla pastorizia allo stato brado: mandrie di maremmane, di cavalli e di muli sono gli unici abitanti del pianoro assieme agli occasionali militari in esercitazione.

Fig. 43

Piante e “prospettiva” di una delle case coloniche dell’Ente Maremma.

Fig. 44

Il paesaggio della riforma fondiaria presso Norchia. Sul fondale plumbeo dei Cimini si staglia la piccola sagoma bianca di una delle case coloniche realizzate dall’Ente Maremma.

193 Parte seconda - capitolo 6 Caratteri storico-culturali

Fig. 45

Casali e poderi presso Norchia. Riconoscimento dell’appoderamen- to del pianoro a est di Norchia.

Fig. 46

Il paesaggio della riforma fondiaria presso Norchia con la strada bordata da eucalipti dietro le fronde dei quali compare una casa colonica. Sullo sfondo la sagoma dei Cimini.

195 Parte seconda - capitolo 7 Percezione e orientamento

Allora per lui sarà chiaro e sicuro di non conoscere né sole né terra ma sempre e solo un occhio che vede il sole, una mano che tocca la terra...Nessuna verità allora sarà più certa, più indipen- dente da tutte le altre e meno bisognosa di prove di questa, che tutto ciò che si presenta alla comprensione, di conseguenza tutto il mondo, è solo un oggetto in relazione al soggetto, immagine di chi percepisce.

Oswald Mathias Ungers (1979)

L

a Convenzione Europea (2000), come è stato già ricorda- to, definisce il paesaggio come una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.

Ne consegue che l’esperienza percettiva svolge un ruolo centrale nell’ambito di questo ragionamento attorno al tema del territorio.

Da quanto dichiara con logica la Convenzione, l’esistenza del paesaggio è infatti strettamente dipendente dalla percezione che di questo hanno le popolazioni che lo abitano.

In mancanza di uno sguardo che osserva e di una mente che ela- bora i dati e ragiona, non sarebbe nemmeno possibile immaginar- ne la presenza: il paesaggio cadrebbe nell’oblio, non esisterebbe.

Per esistere, dunque, esso deve essere prima di tutto fruito, per- corso; messo in relazione ad un soggetto che lo osserva: divenire immagine compresa.

E nel modo in cui questa immagine viene compresa, allora così esiste. Se questo modo è quello corretto, l’immagine sarà corri- spondente al fatto reale; altrimenti, se viene osservata in maniera non giusta o se è essa stessa ad essere ingannevole, allora esisterà una discrepanza tra dato concreto e percepito. Sarà quest’ultimo, tuttavia, a prevalere nel giudizio, a valere come fatto reale.

Nello sviluppo di quell’immagine ambientale di cui inizialmen- te si parlava, l’educazione a vedere sarà altrettanto importante che rimodellare ciò che è visto (Lynch, 2001).

Capitolo 7