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Il recupero della rete dei percorsi antichi per la "riattualizzazione" del territorio : azioni strategiche lungo la via Clodia nel paesaggio dell'Etruria meridionale interna

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Academic year: 2021

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Il recupero della rete dei percorsi antichi

per la “riattualizzazione” del territorio

Azioni strategiche lungo la via Clodia nel

paesaggio dell’Etruria meridionale interna

dottoranda: Cristina Casadei tutor: prof.ssa Lucia Martincigh

Dottorato di ricerca in progettazione urbana sostenibile XXVIII ciclo

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Premessa PARTE PRIMA

Il viaggio. Perché si cammina?

premessa

Camminare nel racconto dei tempi Camminare nel mondo contemporaneo. Il recupero di tracciati e paesaggi antichi. La riscoperta di un interesse verso la fruizione lenta e diretta dei luoghi

Cos’è un paesaggio?

premessa

Verso una definizione di paesaggio Requisiti della ricerca sul paesaggio.

Multidisciplinarietà, multiscalarità, approccio diretto ed indiretto

Analisi, interpretazioni e stimoli operativi

Come si racconta un territorio?

Alcuni esempi di studio e progettuali sul recupero di strade e paesaggi culturali premessa

Paesaggi descritti attraverso le strade Paesaggi sequenziali (riconnessioni dirette) Paesaggi intermittenti (riconnessioni simboliche) Paesaggi rievocati

Osservazioni critiche e tabelle di sintesi

PARTE SECONDA

Il caso di studio: il territorio dell’Etruria meridionale lungo il tracciato della via Clodia

premessa

L’area di studio: la via Clodia da Barbarano Romano a Tuscania

Perché studiare un paesaggio antico? Perché questo paesaggio è antico? capitolo 1 1.a 1.b capitolo 2 2.a 2.b 2.c capitolo 3 3.a 3.b 3.c 3.d 3.e capitolo 4 4.a 4.b 4.c

INDICE

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Caratteri ambientali

premessa I limiti dell’area

Ambiti di paesaggio: differenziazione trasversale ed omogeneità longitudinale

Geomorfologia Idrorafia

Caratteri storico-culturali: i paesaggi della storia

premessa

Il paesaggio preistorico e villanoviano Il paesaggio etrusco

Il paesaggio romano Il paesaggio medievale

Il paesaggio dall’abbandono alla riforma fondiaria Il paesaggio contemporaneo

Mappe tematiche

Percezione e orientamento

Analisi percettiva ed indicazioni progettuali premessa

Ordini di relazioni

Percezione e ordine del movimento. Qualità della struttura che connette Percezione e morfologia.

Elementi sistemici del paesaggio naturale Percezione e strutture antropiche.

Elementi sistemici del paesaggio storico-culturale

Il paesaggio dell’Etruria meridionale oggi. Il territorio attraverso gli strumenti della pianificazione

premessa

Il piano territoriale paesistico regionale

Il piano di sviluppo rurale e la strategia delle aree interne

Il PRUSST “Patrimonio di San Pietro in Tuscia” capitolo 5 5.a 5.b 5.c 5.d capitolo 6 6.a 6.b 6.c 6.d 6.e 6.f 6.g capitolo 7 7.a 7.b 7.c 7.d capitolo 8 8.a 8.b 8.c

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PARTE TERZA

Quale destino per l’Etruria meridionale interna?

Una strategia per la riattualizzazione del territorio

premessa Strategia

La rete della mobilità.

Dalla strada al tratturo; mobilità veloce e lenta Per una cultura della memoria dei luoghi

Azioni

La strategia prende forma premessa

Materia, materali e tecniche. Interventi alla scala architettonica Accessibilità

Categorie di intervento.

Dal riconoscimento alla riconnessione, dalla riutilizzazione alla tutela

Servizi ed equipaggiamenti complementari al sistema delle percorrenze

Itinerari e piano d’assetto

premessa

Itinerari e piano di assetto

Conclusioni

Una metodologia di studio e di intervento nei paesaggi marginalizzati

premessa

Una strategia per il recupero delle aree interne

Riferimenti iconografici Riferimenti bibliografici Bibliografia ragionata capitolo 9 9.a 9.b 9.c capitolo 10 10.a 10.b 10.c 10.d capitolo 11 11.a capitolo 12 12.a

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7 Premessa

Per questo, nell’ambito del pensiero, uno sforzo di pensare in modo ancora più originario ciò che è stato pensato alle origini non è la volontà insensata di far rivivere un passato, ma invece la lucida disponibilità a meravigliarsi di ciò che è venuto nell’o-rigine.

Martin Heidegger, Tecnica

B

el Paese è stato chiamato il nostro, che bello, per inten-to, non era nato. Piuttosto era brulicante, attivo, operoso. Ogni qualità che il territorio offriva veniva sapientemente interpretata ed impiegata. La campagna rappresentava una risorsa produttiva cosicché lavoro e cure si riversavano su di essa ogni giorno. Le economie della città e del contado, strettamen-te connesse le une con le altre, garantivano la sussisstrettamen-tenza: alimen-tavano speranze e promettevano futuri.

Per millenni le cose sono andate in questo modo ed il calendario della storia pare non aver cambiato data.

Il nostro è stato un paese antico fino a poco più di settant’anni fa. Vale per le città e soprattutto per i contesti rurali.

Poi, tutto d’un tratto, il calendario ha preso a scorrere veloce-mente e con discrepanze; il tempo ad accelerare il suo corso e a contrarsi, oppure ad arrestarsi. Sono cambiati gli scenari ed au-mentate le disparità. Se da un fronte, a partire dal secondo dopo-guerra, le città hanno iniziato ad espandersi, inglobando contesti suburbani ed inurbando genti, dall’altro, conseguentemente, le campagne hanno cominciato a subire un lento ma continuo pro-cesso di spopolamento, che è ancora in atto.

Tant’è che una parte significativa del territorio nazionale (cir-ca il 61%), in special modo quella rugosa ed aspra, montana, ap-penninica ed alpina, ma anche collinare, descritta dal perimetro delle cosiddette aree interne1, soffre oggi una condizione di

mar-1 Le aree interne vengono identificate e definite dalla Strategia Nazio-nale Aree Interne per la programmazione 2014/2020 della politica regioNazio-nale, che cerca di contribuire alla ripresa dello sviluppo economico e sociale

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Fig. 1

Il ponte della Rocca presso Blera in una foto degli anni ‘60 (foto: Raffaele Bencini).

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9 Premessa

ginalizzazione, corrispondente ad un forte calo demografico, alla riduzione dell’occupazione e dell’utilizzo del suolo, all’insufficienza dei servizi e delle infrastrutture di comunicazione.

Attorno, solo silenzio e passeri. Momenti perfetti, che valgono un viaggio. Penso all’orrido rettilineo che risucchia gli italiani e dal profondo mi sgorga il ringraziamento all’autostrada che, se ha svuotato l’Italia l’ha però lasciata intatta dietro una foresta vergine di rovi. Come il castello della Bella Addormentata (Rumiz, 2008).

Così scrive Paolo Rumiz riflettendo nel suo viaggio attraverso gli Appennini, monti naviganti e dimenticati (come le Alpi), co-gliendo la questione centrale che ha reso tali le aree interne, ovvero quella lontananza dall’autostrada che ha scoraggiato in questi pa-esagi lo sviluppo edilizio ed economico lasciandoli così intatti ed anzi in troppo rinaturalizzati.

Proprio tale stato di isolamento, infatti, ha fatto sì che questi territori depressi conservino ancora importanti risorse culturali ed ambientali, cristallizzate in una dimensione senza tempo. Si tratta di paesaggi fortemente identitari, risultanti da secolari processi di antropizzazione, testimoni oggi di un passato ricco e vivace, a di-spetto di un presente che mostra una serie di criticità.

La presenza di siffatte qualità, percepite come valori e potenzia-lità ancora inespresse, induce a riflettere sul destino di queste aree, che caratterizzano e diversificano profondamente il nostro paese.

Dopo il mito della meccanizzazione, di fallaci certezze e felici sincretismi, ci accorgiamo oggi che ci siamo imbarcati in un’av-ventura… attraverso lo spazio incerto della contemporaneità (Zumthor, 1998). Occorre fare un passo indietro: ci siamo spinti troppo oltre dimenticando le radici. Bisogna fermarsi a riflettere; riallacciare un patto col territorio.

Cosa è un paesaggio? È allora la prima domanda che bisogna porsi. E poi: come lo si studia ed interpreta? Come si opera all’in-terno di questa realtà, sicuramente complessa?

Il paesaggio è tutto. Comprende ogni cosa. Avidamente colle-ziona le tracce di ogni azione: si fa archivio di memorie. Talvolta invece sono gli avvenimenti ad avere la meglio, a sottrargli storie cancellando i segni: diviene allora narratore di passati interrotti.

Il paesaggio trova origine in una condizione naturale, ma poi instancabilmente cambia per l’operare del tempo e dell’uomo. È eccezionalmente ed ordinariamente dinamico.

Risulta come la combinazione di infiniti fattori, come una realtà sfaccettata, pluridisciplinare, che richiede quindi, per essere com-presa a fondo, l’interazione di tanti saperi.

Malgrado ciò, nella gestione attuale del territorio, inteso come patrimonio culturale, questi saperi vengono scissi piuttosto che ri-uniti. Le istituzioni e gli organi preposti alla sua tutela si avvalgono gelosamente dei propri diritti, esercitandoli in maniera eccessiva-mente generalizzante, costrittiva, privatistica e non condivisa. talia, creando lavoro, realizzando inclusione sociale e riducendo i costi dell’ab-bandono del territorio.

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Il territorio si trova così ad essere incompreso e sottratto alla comunità che in primo luogo ne dovrebbe fruire, congelato in una condizione atemporale. Spetterebbe invece ad una cultura olistica e multidisciplinare il compito di accordare le relazioni tra il bene ed il suo contesto fisico, promuovendone la rivitalizzazione e de-stinandolo alla comunità, riattivandone la presenza e l’uso. Biso-gnerebbe guardare, cioè, a questo patrimonio culturale con gli occhi dei cittadini, dei visitatori, degli utenti e non solo con quelli dei funzionari, dei soprintendenti, dei professori, degli specialisti (Volpe, 2014).

Tuttavia occorrerebbe al tempo stesso educare e sensibilizzare lo sguardo di questi fruitori, permettendo loro di scoprire e cono-scere il portato etico e sociale del paesaggio, il suo valore pubblico.

Da dove cominciare? Il percorso come origine

Partendo da queste considerazioni, la ricerca decide di affronta-re la questione del paesaggio, con particolaaffronta-re riferimento ai territo-ri marginalizzati e al tema della loro territo-riattualizzazione.

Ci si interesserà del territorio come un sistema complesso di re-lazioni, un palinsesto in cui sono nascoste, intrecciate, stratificate le tracce del rapporto millenario tra uomo e natura (Volpe, 2014), cercando di riconsegnare una visione organica, che tutti i dati tenga assieme. Sotto questo punto di vista ogni elemento che costituisce il paesaggio, che la Convenzione Europea (2000) definisce come determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popo-lazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni, acquisterà un’aurea di importan-za.

Tra tutti questi sistemi (i fattori interrelazionati dei quali parla la Convenzione), che sono naturali ed antropici, uno importantis-simo è quello dei percorsi. La rete stradale è infatti il sistema per eccellenza: sistema dei sistemi. Sono i cammini che mettono in re-lazione diretta le cose: nascono con questa finalità, per collegare città, insediamenti, porti, chiese, castelli, valli irrigue, pianure col-tivate etc.

Mettendo in luce il sistema delle strade sarà dunque più facile notare e comprendere anche tutte le altre relazioni.

Come ci insegnano Muratori e Caniggia, ma non solo, il tratturo è il primo segno di antropizzazione del territorio. Rykwert, nel suo saggio sull’importanza della strada, Learning from the street, nella dizione originale, scrive che dal punto di vista concettuale è molto probabile che la strada o il sentiero siano preesistiti alle sedi uma-ne permauma-nenti. La rete dei percorsi, pertanto, rappresenta il dato antropico iniziale, che ha dato origine a quello che è il paesaggio.

Infatti, se dapprima, in un momento originario, quasi inimma-ginabile, possiamo dire che sia esistito solo un territorio, appe-na l’uomo ha cominciato a percorrere ed abitare uappe-na certa terra, quella si è trasformata in paesaggio. Il territorio esiste ancora: è il supporto di ogni cosa. Tuttavia è cominciata a comparire la mano

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11 Premessa

dell’uomo, che ha trasformato quel luogo e che, inconsapevolmente prima e coscientemente poi, lo ha reinterpretato secondo la sua in-tuizione e le proprie necessità. Facendo un breve appunto, ricordo infatti che il nostro paesaggio è ineluttabilmente costituito da dati antropici che si sovrappongono a quelli naturali a partire dall’Età Neolitica, un momento così lontano che potremmo quasi dire che non esista, nella concezione del paesaggio italiano, ed europeo, più in generale, una natura senza uomo.

Valutata, da una parte, la disorganicità che molto spesso carat-terizza le conoscenze sedimentate dei luoghi e riconosciuta, dall’al-tra, l’importanza del sistema dei percorsi nell’analisi territoriale, la ricerca intende concentrarsi ed affrontare il tema della strada come chiave di lettura e di interpretazione del paesaggio ma anche come unico mezzo possibile per la riattivazione della fruizione e dell’uso del territorio.

È proprio dallo studio e dal recupero della rete dei percorsi che parte una riflessione per delineare una strategia volta alla riattua-lizzazione di questo territorio, ovvero al riuso e reinserimento di questo nelle dinamiche della vita attuale, tenendo in considerazio-ne le sue antiche e consolidate modalità di impiego come risorsa, accanto a quelle che sono le nuove prospettive che investono il pa-esaggio.

Ciò che la storia ci consegna va infatti sempre riletto con nuovi occhi nella consapevolezza che la sua miglior tutela risiede nella continuità d’uso.

Glossario

Soffermandosi sul titolo, prendendone in esame ogni termine, si può indagare con maggiore attenzione l’argomento che si va trat-tando.

Occorre tuttavia fare una piccola premessa, anteponendo a tutto la necessità dell’azione del riconoscere (parola omessa dal titolo per ragioni di sinteticità) al fine di raggiungere gli scopi che di se-guito verranno spiegati. Il problema si pone considerato lo stato attuale dei percorsi antichi caduti in disuso che, proprio per non essere più quotidianamente battuti, hanno perso la loro riconosci-bilità. Oggi di questi cammini ne sopravvivono solamente tracce: da tratturo, a percorso, a strada talvolta pavimentata, si ritrova-no oggi ad essere vie invisibili, appena accennate, che emergoritrova-no in maniera più chiara solo per pochi e frammentari tratti, dispersi in paesaggi selvaggi, addomesticati in parte dall’agricoltura e dal-la pastorizia. Come le Piste del Sogno, le vie dei canti2, invisibili

ai bianchi e cantabili unicamente dagli aborigeni, possono essere ritracciati solo da coloro che possiedono una mappa mentale dei territori collegati dalla strada; solo da coloro per i quali i toponimi dei luoghi ri-suonano ancora. Dunque per recuperare un percorso antico, caduto in disuso, occorre prima di tutto essere in grado di 2 Si fa riferimento al romanzo di Bruce Chatwin [Chatwin B. (1995) - Le vie dei Canti. Adelphi, Milano].

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riconoscerlo, e, per riconoscerlo, di conoscerlo.

Riconoscere vuol dire infatti, secondo la definizione del dizio-nario (Garzanti), individuare una cosa o una persona conosciuta. Dunque l’atto del riconoscere presuppone la conoscenza.

Quest’attività necessita così di un’attenta analisi storica: solo partendo dai depositi del passato sarà possibile ricostruire la storia e l’identità del paesaggio, oltre che della strada, procedendo poi al suo recupero.

Recuperare vuol dire tornare in possesso di una cosa perduta. Questo è il primo significato che viene affidato al termine. Tra le al-tre definizioni offerte dal vocabolario (Garzanti), alal-tre al-tre possono essere prese in considerazione con interesse e con lievi modifiche, ricordando il tema di riferimento di cui si sta parlando.

Recuperare può significare anche: restaurare, rimettere in buo-no stato e in funzione; riutilizzare...; inserire o reinserire nella so-cietà…

In questo caso si parla del recupero della rete dei percorsi anti-chi, in un territorio attualmente quasi abbandonato, caratterizzato da un indice demografico bassissimo che lo fa rientrare in quel pe-rimetro che definisce per l’Italia le cosiddette aree interne.

Assecondando questo proposito si intenderà l’azione del recu-pero esattamente secondo le tre accezioni offerte dal vocabolario. Difatti le strade dovranno prima di tutto essere rimesse in funzione laddove mostrino segni di degrado che non ne consentono la fruizio-ne. Dopodiché sarà possibile il loro riutilizzo da parte della comu-nità ed infine il reinserimento nel patrimonio ad uso della società.

Possibile, non certo! Il processo non è così immediato come può sembrare. L’ultimo passaggio è molto sottile ed implica un atto di coscienza da parte della comunità che deve riacquisire il bene per-duto. Bisogna che si compia una maturazione da parte di essa, che deve imparare a conoscere, ad avere confidenza, ad utilizzare e a curare il suo patrimonio, la rete di strade antiche, in questo caso, assieme a tutto il territorio, che da questa è indistricabile. Come dice Heidegger (2007), avere una casa non basta per abitarla. Così met)tere a disposizione della comunità una rete di percorsi fun-zionante ed attiva non è sufficiente per far sì che il territorio venga ripercorso e riabitato. Di sicuro è molto più facile che ciò avvenga, ma non è questa una conseguenza ovvia. Entrano così in gioco la conoscenza e l’educazione verso la cultura della memoria dei luo-ghi, la frequentazione di questi motivata da un loro quotidiano im-piego. Infatti solo se la società comincia ad identificarsi nei territori abitati, a trovare in questi un valore etico e funzionale, culturale ed esistenziale, a maturare un sentimento di affezione, allora il pro-cesso si attua. Solo in questo modo si compie l’atto di tornare in possesso, di recuperare il bene perduto.

Oltretutto se ne garantisce il mantenimento, proprio attraverso la cura e le attenzioni che verso questo mostrerà la comunità che ne fruisce. Il recupero diviene allora salvezza. L’azione si traduce in quella del preservare, salvare (dalla perdita, dalla distruzione) come cita un’altra delle definizioni della parola recuperare (dal vo-cabolario Treccani).

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13 Premessa

Il percorso è la struttura atta a consentire il raggiungimento di un luogo partendo da un altro (Caniggia, 1984). Anche la voce del dizionario (Garzanti) offre una definizione molto simile a questa, descrivendo il percorso come il fatto di percorrere, di compiere cioè uno spostamento da luogo a luogo, a piedi, o con un mez-zo di trasporto. Pertanto appare chiaro che il punto di partenza e la meta rappresentano gli attributi nozionali della strada; tuttavia non quelli fisici necessari a descriverla, parafrasando un passo di Rykwert.

Ci sono città che devono il loro sviluppo e la loro prosperità al fatto di essere situate all’incrocio di due grandi vie commerciali: si è tentati di pensare che queste vie non abbiano mete precise, ma continuino indefinitivamente a incrociare altre strade commer-ciali. Come se un continente fosse una rete di strade simili, che conducono finalmente a porti e a rotte marine (Rykwert, 1976).

Così pare che, parlando di percorso, dobbiamo riferirci ad una rete, ad un sistema: mai ad un elemento singolo.

Anche calandoci nella specificità del caso studio scelto, che, come poi si vedrà più attentamente, è il paesaggio dell’entroterra dell’Etruria meridionale, dove tutte le attenzioni sembrano con-centrarsi sulla via Clodia, si capirà come oltre alla celebre strada di fondazione romana sia determinante e da osservare tutta una serie di diverticoli che questa intercettano.

Possiamo pertanto affermare che il percorso è un elemento che appartiene, quasi a priori, ad un sistema. Sicuramente con altri percorsi, coi quali condivide origini, mete o tappe intermedie. Que-sti ultimi fanno sì che la rete possa essere pensata come un sistema non astratto - una griglia - ma gerarchizzato - una struttura: come una struttura complessa, articolata in più punti, facente capo a un centro, come cita la voce del vocabolario (Garzanti).

Poi, soprattutto se si prendono in considerazione tracciati an-tichi, il percorso costituisce un sistema col territorio stesso. Una strada deve tener conto tanto della geografia politica, rappresen-tata principalmente dai luoghi da connettere, che di quella fisica, ovvero della geomorfologia, quindi della qualità e dell’andamento dei suoli. Pertanto la rete dei percorsi rappresenta uno dei tanti si-stemi antropici, che reinterpreta quelli naturali, rendendoli spesso meglio visibili. Come ad esempio accade in riferimento al sistema orografico delle valli o dei crinali, quando, come molte volte suc-cede, una strada decide di assecondare un andamento naturale e, per ragioni pratiche, sceglie di essere una strada di crinale o una strada di fondovalle.

Infine, la parola rete fa subito pensare alla connessione, alla co-municazione. È forse uno dei termini più impiegati nella moder-nità poiché, se vogliamo trovare in questo tempo una vera qualità, questa risiede proprio nel potenziamento delle relazioni tra le cose. Non esiste dunque nessuna struttura più opportuna dalla quale partire se non quella della rete dei percorsi, nell’obiettivo di riat-tualizzare un territorio attualmente decaduto.

percorso, rete di percorsi

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Riattualizzare vuol dire rendere di nuovo attuale, specialmente con riferimento a problemi ed aspetti sociali, culturali e politici (Treccani).

Quale entità tiene assieme tutti questi aspetti (sociali culturali e politici) se non proprio quella rappresentata dal territorio?

Tuttavia la definizione sembra eludere gli aspetti funzionali le-gati all’uso, che sono invece impliciti e presenti, soprattutto quan-do l’oggetto dell’azione risulta essere un’entità complessa come quella del paesaggio.

Una cosa smette di essere viva ed attuale quando perde ogni fun-zione, divenendo superflua rispetto alle necessità del mondo che la comprende. Anche il superfluo (l’apparentemente superfluo), tut-tavia, può essere investito di un nuovo ruolo: si parla ad esempio del valore sociale dell’arte, oppure della funzione evocativa delle rovine. Questi valori possono essere riconosciuti solo ad oggetti e contesti in grado di parlare, di comunicare un portato etico oltre che estetico. Altrimenti, in mancanza di questo dato, l’arte si riduce ad essere un quadro, un disegno, una scultura, uno scritto od un motivo orecchiabile; la rovina un relitto.

Potremmo dunque affermare che la riattualizzazione prescinde da un effettivo uso, da una funzione reale, concreta, legata a neces-sità primarie, facendo riferimento esclusivamente a quegli aspetti sociali, culturali e politici messi in luce dalla stessa definizione del termine. Tuttavia questo è vero fino a che non si parla di realtà complesse come quella del paesaggio. Questa è infatti un’entità di-namica, in perenne evoluzione: la sua sopravvivenza ed il suo equi-librio postulano il ritrovare continuamente questa condizione.

Basta relativamente poco a conservare bene un’opera d’arte; l’a-zione diviene già più complessa quando si fa riferimento ad una rovina, un’archeologia. Si complica ulteriormente se si prende in considerazione un paesaggio. Essendo questo il risultato estetico e formale di un utilizzo funzionale del territorio, inteso come materia prima, come risorsa, richiede che gli sia riconosciuto un ruolo atti-vo e produttiatti-vo; ha bisogno di enorme attenzione, di un quotidiano lavorio che al contempo lo conservi e attualizzi come bene comune, teorico e pratico.

Quando si parla di riattualizzazione in riferimento al paesaggio vanno dunque tenuti assieme aspetti di ordine politico, sociale, cul-turale e funzionale.

Inoltre, si può parlare di ri-attualizzazione solo in riferimento a qualcosa che un tempo è stata attuale. I territori ora depressi molto spesso lo sono stati, fino ad un determinato momento storico. Si-curamente attuale, perché abitato e lavorato, è stato quello dell’en-troterra dell’Etruria meridionale, fino alla data del 1450. Da questo momento, il declassamento della via Clodia ne segnò l’abbandono. Quel che si tenta di fare in questa trattazione è di delineare una strategia che parte dal recupero dei percorsi per la riattualizzazione del territorio. L’attenzione si focalizza, ovvero, proprio sulla que-stione che ne provocò il quasi definitivo collasso.

Il primo atto che si compie per occupare, insediare ed abitare un luogo è quello del percorrerlo. La strada è un movimento umano istituzionalizzato, come scrive Rykwert (1970): un individuo può riattualizzazione

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15 Premessa

aprirsi un cammino nel deserto, ma, se non è seguito da altri, il suo sentiero non diventa mai una strada o una via...è il fatto di essere accettate da una comunità che dà ad esse il nome e la fun-zione di strada. Recuperare le strade, la rete dei percorsi, secondo l’accezione prima descritta, vuol dire dunque riportare la società all’interno del territorio. Sempre Rykwert mette in evidenza come questa sia per natura il luogo degli scambi e della comunicazione, senza la quale verrebbero a mancare anche le relazioni umane. Di certo la Clodia ed i suoi diverticoli non sono vie cittadine, che si articolano in piazze, slarghi o spazi pubblici di qualsivoglia genere. Sono in grado, comunque, di rappresentare un luogo pubblico di incontro (non solo in senso fisico ma anche in intellettivo) e d’iden-tificazione della comunità, perché condivisibile.

Per rendere possibile questa prospettiva occorre tuttavia con-siderare la funzionalità di questo luogo. Ri-attualizzare significa dunque ritualizzare e ri-funzionalizzare, ovvero assegnare una nuova vita ed un nuovo senso alle infrastrutture di scambio e quindi al territorio in generale. Quest’ultimo infatti, se inteso nella sua ac-cezione più amplia, è certamente un prodotto sociale, e dunque un valore dinamico, continuamente relazionato all’azione dell’uomo. Proprio considerando quest’ultimo aspetto, quello funzionale e produttivo, che anima i luoghi dove si svolge la vita quotidiana, ho pensato di omettere, almeno nel primo titolo, il termine paesaggio, preferendogli quello di territorio.

I due termini in realtà sono molto vicini. Tuttavia la nostra abi-tudine associa loro due differenti valori. Lo si può velocemente ri-scontrare anche nelle definizioni che il dizionario dà a queste pa-role. Leggendole si vedrà come mentre il territorio risulta essere una porzione di terra di estensione abbastanza considerevole, il paesaggio rappresenta allo stesso modo una porzione di territorio che viene considerata, tuttavia, dal punto di vista prospettico o descrittivo, per lo più con un senso affettivo cui può più o meno associarsi anche un’esigenza di ordine artistico ed estetico.

Pertanto, territorio e paesaggio sono termini che descrivono la medesima cosa ma secondo punti di vista differenti: il primo lo fa oggettivamente, secondo i caratteri fisici, i dati; il secondo, sogget-tivamente, mediando la nostra personale percezione.

Tuttavia, l’immaginazione, la vista, l’interpretazione di una data cosa non passano sempre attraverso una mente che elabora i dati secondo un modo tutto personale?

Leggendo una carta geografia, o geologica, l’occhio e la mente educati non ne rielaborano subito una visione di paesaggio che ne fissi i caratteri attraverso la sinteticità di un’immagine?

Il mondo è la mia immaginazione - questa è una verità che si applica in relazione ad ogni essere vivente ed illuminato; sebbene solo l’uomo possa sviluppare un’astrazione riflessa della mente; e se in realtà riesce a farlo, allora la riflessione filosofica è riflessa in lui. Allora per lui sarà chiaro e sicuro di non conoscere né sole né terra ma sempre e solo un occhio che vede il sole, una mano che tocca la terra [...] Nessuna verità allora sarà più certa, più

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pendente da tutte le altre e meno bisognosa di prove di questa, che tutto ciò che si presenta alla comprensione, di conseguenza tutto il mondo, è solo un oggetto in relazione al soggetto, immagine di chi percepisce (Ungers, 1979).

Questa distinzione, quella tra paesaggio e territorio, presuppo-ne dunque un momento di crisi, di scissiopresuppo-ne, di alienaziopresuppo-ne. C’è bi-sogno di un occhio esterno e distaccato, di qualcuno che osservi da fuori, avendo maturato una coscienza critica che separi l’utile dal bello, il fare dal pensare. Luigi Caniggia, nel suo testo sulla lettura dell’edilizia di base, introduce al suo tema inquadrando la questio-ne della coscienza. Parla così della coscienza spontaquestio-nea e di quella critica. Riferendosi alla prima la definisce come l’attitudine di un soggetto operante ad adeguarsi, nel suo agire, alla sostanza civi-le ereditata, senza necessità od obbligatorietà di mediazioni o di scelte. La coscienza spontanea, sostiene, muove a fare ciò che con-viene, secondo il particolare momento e l’area culturale, attingen-do direttamente dal patrimonio collettivo di conoscenze specifiche finalizzate a quel determinato fare.

Venuta meno la coscienza spontanea, che una volta perduta non si riconquista facilmente (soprattutto quando si acquisisce la coscienza dell’esistenza di una coscienza spontanea), subentra la coscienza critica. Questa muove a scegliere quel che si fa, ma non per maggior maturità acquisita, bensì per l’incertezza di sapere se quel che fa è giusto o sbagliato, poiché la gente non ha più un suo modo radicato nel fare (Caniggia e Maffei, 1984).

Attingendo così dal linguaggio di Caniggia, potremmo dire che quando la coscienza era spontanea, e nemmeno si sapeva di posse-derla, non esisteva una distinzione tra territorio e paesaggio. Gli uomini interpretavano e modellavano il luogo abitato seguendo il proprio istinto (istinto che era guidato da un altrettanto sponta-neo buon senso, e che era dunque assieme sentimento e ragione). Un modo di sentire che si è proiettato sul territorio sia in termini funzionali, dacché questo è sempre stato prima di tutto una risor-sa, che simbolici e quindi estetici, nelle forme, ad esempio, delle architetture sacre, che reinterpretano e celebrano quei luoghi con-siderati epifanici. Tuttavia gli uomini non si sono mai posti la que-stione di distinguere questi due aspetti, quello utilitario da quello estetico di un luogo. Cosicché al contempo esisteva tanto un terri-torio quanto un paesaggio: i dati oggettivi erano tenuti sempre in considerazione quando veniva tirata su un’architettura. L’espres-sione concreta di quanto ho appena detto è contenuta nei borghi storici dove i materiali usati per edificare gli edifici molto spesso ne dichiarano la natura geografica ed economica: se c’è molto ciottolo probabilmente un fiume scorre molto vicino e si è in pianura o in montagna se i muri sono rispettivamente in prevalenza di cotto o di pietra; poi, se il mattone non è a vista ma intonacato e dipinto, c’è una certa disponibilità economica, che è ancora maggiore se si vedono pietre o marmi decorare portali, finestre, angoli e marca-piani (Baraldi, Garagnani, 2000). Di questa naturale e spontanea visione del territorio-paesaggio, interessanti e lucide descrizioni ce le offre anche Piero Camporesi nel suo libro Le belle contrade.

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Vie-17 Premessa

ne qui descritta un’Italia laboriosa, fatta di artigiani, mestieranti e bottegai che col loro lavoro l’hanno resa proprio il bel paese che oggi si ammira.

La visione critica (secondo una coscienza critica) del paese, tra-dotto in paesaggio, comincia a comparire dal XV secolo. Paesaggio deriva dal neologismo francese paysage (probabilmente derivato dall’unione di pays e image) che viene utilizzato prima per indi-care in arte le rappresentazioni dei luoghi aperti dove prevalgono elementi naturali, poi per descrivere la realtà territoriale che la rappresentazione pittorica raffigura. È da questo momento che col termine paesaggio viene messo in evidenza il valore prettamente estetico di un paese, rendendo possibile la scissione di questo dal carattere fisico.

Certamente nel paesaggio è contenuto pure un valore estetico. La stessa Convenzione Europea, nella definizione che dà del pa-esaggio, già citata, parla di percezione. Torno così a riaffermare quella verità più indipendente da tutte le altre e meno bisogno-sa di prove che tutto ciò che si presenta alla comprensione è solo un oggetto in relazione al soggetto, immagine di chi percepisce (Ungers, 1979). Dunque, la chiave corretta per rendere giustizia al territorio e al paesaggio, al paese, per essere generica, o alle cose, nella loro natura più sincera, sta proprio nella percezione.

In fondo le cose sono: stanno, ferme ed immutabili. Siamo noi, col nostro intelletto, ad assegnare loro valori, qualità e denomina-zioni differenti. Sta dunque a noi riappropriarci di un modo orga-nico di vedere, sentire ed interpretare i fenomeni. Il territorio come il paesaggio e viceversa. Capire, ovvero, che quei dati estetici, ap-prezzabili con lo sguardo, sono il risultato di scelte antropiche ed impronte naturali, esito di un pensiero che ha soppesato tutto: le risorse, la funzione, l’economia e la bellezza. Anzi, quest’ultima tal-volta anche no, perché succede che in determinati momenti ciò che percepiamo posteriormente come bello è proprio ciò che in origine è convenuto fare e basta.

Non si può certamente tornare a quello stato originario di co-scienza spontanea; tuttavia possiamo migliorare e perfezionare il nostro modo di comprendere le cose, passare dalla semplice perce-zione all’apperceperce-zione.

L’unificazione non è dunque negli oggetti, e non può esser con-siderata come qualcosa di attinto da essi per via di percezione, e per tal modo assunto primieramente nell’intelletto; ma è soltan-to una funzione dell’intelletsoltan-to, il quale non è altro che la facoltà di unificare a priori, e di sottoporre all’unità dell’appercezione il molteplice delle rappresentazioni date; ed è questo il principio su-premo di tutta la conoscenza umana (Kant, 2005).

Ma per appercepire, o percepire consapevolmente, bisogna im-parare a conoscere e vedere le cose.

Le cose esistono perché noi le vediamo, e la sensibilità come pure la forma della nostra visione dipendono dalle arti che ci han-no influenzato. […] Al giorhan-no d’oggi la gente vede la nebbia, han-non

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perché ci sia realmente, ma perché pittori e poeti hanno illustrato il fascino misterioso di questo fenomeno. Senza dubbio a Londra c’è la nebbia da secoli. E’ molto probabile, ma nessuno la notava per cui non ne sapevamo nulla. Non esisteva fino a che l’arte non la ha inventata (Wilde, 2009).

Solo conseguentemente a questa maturazione, che permette di vedere condensarsi nel territorio una ricchezza di dati naturali, an-tropici e culturali, si potrà apprezzare l’ormai riconosciuto valore patrimoniale del paesaggio, quella qualità in virtù della quale da anni esistono leggi a favore della sua tutela e valorizzazione. Anni che superano per numero la centinaia: era infatti il 1905 quando venne promulgata la legge 179 “Per la conservazione della Pine-ta di Ravenna”. Questo fatto, come ricorda anche Alain Roger nel suo Breve trattato sul paesaggio, sancisce il riconoscimento del valore di documento, storico e culturale, del paesaggio della pine-ta, gravido di memorie, da quelle storiche di Odoacre, Teodorico e Garibaldi, a quelle dipinte da Botticelli, alle letterarie di Dryden, Byron, Boccaccio e Dante, per il quale era la divina foresta spessa e viva. Da quel momento saranno formulate altre leggi e prenderan-no avvio, contemporaneamente in tutta Europa, i movimenti per la conservazione del paesaggio.

Un paesaggio è cultura prima che natura: esso è costruito, dall’immaginazione che proietta su foreste, acqua, pietre, etc. le proprie mitologie, aspirazioni, desideri e forme del ricordo (Sha-ma, 1997).

Dal vocabolario (Garzanti) la strategia viene definita come la progettazione, la preparazione e il coordinamento dei diversi mezzi necessari per raggiungere un obiettivo importante e di lun-go periodo. Rappresenta pertanto un complesso di più azioni (le azioni strategiche, per l’appunto) che a loro volta costituiscono lo strumento attraverso il quale la strategia si attua per raggiungere il suo fine.

Si tratta, come indica la definizione, di operazioni ed interventi che si sviluppano nel lungo tempo e che presuppongono il coinvol-gimento (coordinamento) di più attori.

Come prima è stato chiarito, il paesaggio è un’entità comples-sa e pubblica: ovvero, tiene assieme più aspetti, più discipline, ed appartiene (nel senso di essere gestita) a più persone (la popola-zione residente, le varie istituzioni, comunali, regionali, nazionali, internazionali, che si occupano della sua tutela e del suo sviluppo etc.). Una strategia generale che si interessa al territorio necessita quindi il coordinamento e l’organizzazione di molteplici azioni che investono tutti i settori e gli utenti che partecipano alla definizione del paesaggio. In questo specifico contesto, partendo da un inqua-dramento tanto complesso e generale e concentrandosi poi sul caso studio scelto, verrà definito e chiarito l’ambito di azione entro il quale gli strumenti disciplinari propri dell’architettura consentono di muoversi, individuando una serie di interventi finalizzati alla ri-attualizzazione del territorio.

strategia, azioni strategiche

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19 Premessa

Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’a-vere nuovi occhi.

Marcel Proust

Il recupero della rete dei percorsi antichi: relazioni e percezione

La ricerca indagherà il tema sopra descritto concentrandosi sul territorio dell’Etruria meridionale interessato dal tracciato della via Clodia: questo rappresenterà il caso studio attraverso il quale sarà possibile riscontrare e verificare le osservazioni fatte ad una scala generale, nonché dedurne altre.

L’obiettivo finale, come cita il titolo, è quello di definire una se-rie di azioni strategiche di intervento, che partono dal recupe-ro della rete dei percorsi antichi per la riattualizzazione del terri-torio. Dal proporre e ri-trovare un sistema di percorrenze, ovvero, e congiuntamente un insieme di luoghi significativi ed interventi puntuali che ripristinino i valori presenti e ne creino di nuovi; che aiutino ad osservare i fenomeni riattivando le relazioni tra le cose e trovandone altre inedite, potenziali ma ancora inespresse.

Quel che oggi è più difficile comprendere quando si fruisce un territorio è la relazione che intercorre tra gli elementi che lo com-pongono. Il paesaggio, come dice Carandini, è infatti costituito da fulcri e sistemi. Con la parola fulcri si intendono tutti quei dati ai quali soprattutto la cultura contemporanea ha conferito un valore oggettuale. Sono, questi, per fare degli esempi, le emergenze archi-tettoniche, i cosiddetti monumenti, i borghi, i parchi archeologici (per quanto la loro estensione non sia mai puntuale). Ovvero tutto ciò che riconosciamo (perché l’abitudine contemporanea induce a farlo!) come esito della tecnica, del pensiero, della cultura artistica e soprattutto del potere delle civiltà del passato.

I sistemi, invece, costituiscono quel tessuto nevralgico che tiene assieme i fulcri, e che, contrariamente a quest’ultimi, è meno evi-dente e molto spesso trascurato dalle attenzioni attuali.

Recuperare e riattivare la rete dei percorsi dimenticati vuol dire, prima di tutto, rendere evidente questa stretta connessione che lega tra loro gli elementi del contesto. Pertanto, riconnettere è il primo vero fine di queste azioni, con l’intenzione, sì, di rivitalizza-re il territorio, ma purivitalizza-re di permetterne la comprivitalizza-rensione nella sua reale costituzione.

Lo si può fare su tre differenti livelli: diretto (lento),

che avviene ovvero fisicamente, materialmente, permettendo di andare (camminando, ad esempio) da un elemento all’altro.

Questo tipo di relazione si sviluppa nel tempo perché il ricon-giungimento tra A e B (punto di partenza e fine) non è immediato;

indiretto (veloce),

ovvero attraverso la vista, permettendo di traguardare mete che, seppur non immediatamente raggiungibili, sono subito percettiva-mente riconducibili agli altri elementi del sistema.

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Questo relazione è, per inverso, simultanea, immediata. Molto spesso è proprio la riconnessione indiretta, visiva tra gli elementi, che funge da guida in quella diretta e lenta. Le torri di San Pietro in Tuscania indicano da lontano l’arrivo del percorso, orientando il viaggiatore che osserva;

simbolico,

ovvero attraverso i sensi, suggerendo con rimandi concettuali le relazioni tra le cose.

Il tipo di questa relazione, se lenta o veloce, dipende dalla pre-senza o meno della riconnessione visiva, indiretta. Quando si è nel tratto della Clodia che attraversa il piano Morgano, ad esempio, è possibile osservare simultaneamente i simboli del potere sacro di Norchia, vicino, ad est, e di Tuscania, lontana, a nord. Le due chiese di San Pietro dialogano evidentemente tra di loro. La riconnessione simbolica è in questo caso veloce, immediata.

Oltre a ri-connettere elementi che un tempo avevano uno stretta relazione, si può pensare di generare connessioni inedite con e tra i nuovi elementi (quelli più recenti rispetto alle fasi storiche indaga-te) presenti nel territorio. I tanti musei, i parchi istituiti, le attrez-zature, quali le fattorie didattiche o i centri informativi, distribuiti nel territorio, prendono infatti valore e forza se messi l’uno in rap-porto con l’altro.

Le relazioni aumentano la qualità dei singoli elementi permet-tendo di cogliere in essi un valore tanto locale quanto territoriale.

Si tratta un obiettivo operativo, propositivo che presuppone, tuttavia, un approccio analitico al tema.

Per operare nel presente all’interno di un contesto antico, stra-tificato (e viene da domandarsi quale contesto non lo sia!), occorre comprenderne a fondo origine e ragioni del suo apparire. C’è dun-que bisogno di ricostruire i processi di formazione del territorio, conoscerne la storia delle trasformazioni, individuare varianti ed invarianti, comprenderne aspetti e caratteri, attraverso un’attenta analisi diretta delle tracce ed indiretta delle fonti.

Un’analisi che è multiscalare e multidisciplinare, rispondendo al carattere del territorio, inteso come struttura articolata nella quale si concentra un’enorme e variegata quantità di dati.

Svolgendo e presentando questo studio, che rappresenta lo stru-mento per giungere all’obiettivo generale, la ricerca si offrirà anche come un racconto del paesaggio dell’Etruria meridionale, che risul-terà propedeutico all’elaborazione di qualsiasi pensiero operativo. Ma più in generale verrà messo a punto e offerto un metodo gene-rale per la lettura del territorio, che mette assieme diverse prassi già proposte e sperimentate.

Anche il comprendere come un paesaggio debba essere studia-to risulta così, oltre che lo strumenstudia-to per elaborare una proposta operativa, un obiettivo importante, per nulla affatto secondario, implicito nella ricerca.

Il vero viaggio, come scrive Marcel Proust, non consiste nel cer-care nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Di questi occhi nuovi si andrà alla ricerca.

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21 Premessa

Struttura della ricerca

La ricerca si struttura in tre momenti: ad una prima fase che introduce gli argomenti trattati nella tesi e gli strumenti utilizzati, segue quella analitica, di studio ma anche di interpretazione. L’ul-tima fase, consequenziale alle prime due, è invece di ordine propo-sitivo ed applicativo.

Parte prima

La questione viene affrontata partendo dall’inquadramento cul-turale del tema della strada che coinvolge quello del cammino. Si introduce brevemente l’argomento del viaggio, indagando le prime ragioni che hanno spinto l’uomo a spostarsi, per vie di terra o di mare, fino ad arrivare al ben più recente fenomeno che riguar-da il recupero di tracciati antichi, con finalità turistiche e culturali. La fruizione della strada, che attraversa e collega regioni, intercet-tando località e siti che rappresentano punti di sosta e d’interesse, coinvolge certamente il paesaggio che attorno a questa si sviluppa. Si arriva pertanto a toccare, partendo dal viaggio e dalla strada, l’altra questione cruciale della quale si occupa la ricerca: quella del paesaggio.

Cos’è un paesaggio? E come lo si studia? Di paesaggio se ne parla forse troppo e spropositatamente. Bisogna allora focalizzare bene cosa intendiamo con questo termine; cosa comprendiamo e quali sono i saperi da tenere insieme quando lo si studia.

Il paesaggio è una realtà complessa, data dalla sovrapposizione di diversi dati che richiedono, nel suo studio, l’interazione di più discipline, operanti attraverso analisi indirette, tramite le fonti, e dirette, leggendo le tracce. Tra le diverse metodologie di inda-gine sviluppate e maturate da chi si è interessato di questo tema, ne vengono selezionate alcune per individuare una serie di analisi che saranno poi applicate al caso studio scelto. Da queste si rica-veranno interpretazioni meta-progettuali, letture tendenziose che indirizzeranno poi la fase operativa.

Si cercherà poi di capire e descrivere come si racconta un pae-saggio: ovvero come lo si recupera attraverso una rete di percorsi. Si affronterà così un breve excursus, prendendo in esame alcuni casi di analisi e di intervento progettuale sul tema delle stra-de e stra-dei paesaggi antichi, sviluppati in Europa e nel mondo, negli ultimi venti anni. Gli interventi indagati vengono suddivisi in quat-tro differenti categorie (paesaggi descritti attraverso le strade, paesaggi sequenziali, paesaggi intermittenti, paesaggi rievocati) afferenti a questioni e propositi che interessano i territori margi-nalizzati. Dalla loro analisi è così possibile comprendere come si rianima il racconto di un paesaggio, recuperandone la memoria e la capacità narrativa, e dedurre indicazioni e metodologie operative per la sua riattualizzazione, in ragione delle proprie peculiarità.

Parte seconda

La seconda parte è dedicata al caso studio: viene introdotto il territorio dell’Etruria meridionale interna che si sviluppa lungo il tracciato della via Clodia. Del percorso intero

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dell’anti-ca strada, che da Roma giunge a Saturnia, ne viene identifidell’anti-cato un tratto, di circa 35 Km, che collega Barbarano Romano a Tuscania.

Perché viene scelto questo paesaggio? Quali sono le sue peculia-rità? In questa parte della ricerca si cerca di descrivere brevemente il territorio indagato cogliendone le caratteristiche fondamentali.

La descrizione e l’analisi del paesaggio dell’Etruria meridionale interna prosegue dunque nei capitoli successivi dove viene svilup-pato il metodo di indagine messo a punto nella prima parte.

Nonostante i tanti studi presenti sull’argomento, si soffre molto spesso l’assenza di letture sintetiche, sistemiche ed organiche: in questa parte del racconto si tenta dunque di dare risposta proprio a questa mancanza, organizzando una descrizione ordinata ma in-crociata degli aspetti ambientali, storici, antropici e percettivi, ar-rivando infine a quelli normativi e programmatici, che attualmente investono il territorio studiato.

Si comincia parlando dei paesaggi naturali, partendo dal pre-supposto che ogni azione umana si è confrontata con una condizio-ne geomorfologica precedente, che ha suggerito ed indirizzato le scelte successive. Studiando questi paesaggi emergeranno gli am-biti di paesaggio, fortemente caratterizzanti questo territorio, entro i quali si sviluppa l’itinerario della via Clodia e dell’antica rete di percorrenze. Sequenzialmente vengono indagati i paesaggi della storia, combinando l’analisi indiretta (documenti, studi, carto-grafie etc.), a livello territoriale, con l’osservazione diretta, a scala locale. L’area di interesse, allora, si contrarrà e dilaterà a seconda delle fasi, mostrando come ogni singola cultura sia stata in grado di attecchire, diffondersi e determinare gli sviluppi di un territorio. Quanto sopravvive oggi di quei caratteri che lo hanno prece-dentemente caratterizzato? Dove sono ancora visibili e percepibili i paesaggi della storia descritti? Il racconto è affiancato da una car-tografia che intende rispondere con chiarezza a queste domande. Il confronto tra le diverse mappe è inoltre in grado di far emergere varianti ed invarianti nella storia.

Si passa quindi a comprendere come il territorio viene osser-vato dalla strada attraverso un’analisi percettiva sviluppata in relazione all’ordine del movimento (al tipo di mobilità, dunque), alla morfologia del territorio ed infine alle strutture antropiche, antiche, moderne e contemporanee, che caratterizzano in manie-ra diffusa il paesaggio. Questa analisi assume subito le forme del progetto (è meta-progettuale), offrendo ed indicando spunti per l’intervento.

L’indagine territoriale si conclude con la lettura degli stru-menti di pianificazione del paesaggio, primo tra tutti il PTPR, al fine di comprendere come questi considerino ed interpretino il territorio dell’Etruria meridionale, indirizzandone, vincolandone e suggerendone la progettazione. La lettura delle tavole del PTPR, che presentano una sintetica e chiara schematizzazione dei diffe-renti tipi di vincolo in riferimento alle categorie dei beni (ambienta-li, storico-archeologici etc.), offre infatti la possibilità di inquadrare il contesto indagato anche da un punto di vista normativo. Oltre al Piano Paesaggistico vengono prese in esame le attuali strategie che si interessano del recupero e della programmazione di sviluppo del

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23 Premessa

territorio in questione, come il Programma di Sviluppo Rurale e la congiunta Strategia delle aree interne.

Questa serie di analisi di diverso carattere consente di ottenere quella base di dati necessaria per avanzare con la fase operativa.

Parte terza

La terza e ultima parte della ricerca è di carattere applicativo ed operativo. Esaminato nelle prime il tema generale, partendo dal vasto argomento del paesaggio, per arrivare poi a considerazioni puntuali sul territorio dell’Etruria meridionale, si giunge qui a de-lineare una strategia di intervento.

Cosa può e cosa mira a fare questa strategia? Qual è il suo cam-po di azione? A chi è rivolta? Si cerca prima di tutto di dare riscam-posta a queste domande, chiarendo gli obiettivi generali e quelli possibili nell’ambito disciplinare di questa ricerca.

Conseguentemente la strategia di intervento viene delineata in maniera più approfondita. In primo luogo ne vengono definiti i principi fondamentali per poi passare all’individuazione delle ca-tegorie di intervernto: dal riconoscimento alla riconnessione; dal-la segnadal-lazione all’informazione; daldal-la tutedal-la aldal-la protezione; dal completamento all’evocazione. Queste azioni, che consistono in in-terventi minimi, strettamente necessari alla riattualizzazione (ri-tualizzazione della strada e risignificazione e rifunzionalizzazione del paesaggio), vengono determinate prendendo in considerazione, da una parte, la normativa vigente (risulta ad esempio importantis-sima la questione dell’accessibilità) e, dall’altra, l’esempio offerto dai casi studio (analizzati nel capitolo 3 della prima parte).

Dalla descrizione della strategia si passa quindi a quella degli itinerari. Il paesaggio viene ora percorso e spiegato puntualmen-te. Il tratto della via Clodia che va da Barbarano Romano a Tusca-nia viene articolato in più percorsi, lungo i quali le conoscenze e i dati messi in evidenza nell’analisi riaffiorano tutti, sovrapponendo-si gli uni agli altri. Convergono, in questa visovrapponendo-sione sovrapponendo-sintetica, tutte le precedenti immagini: il paesaggio, analizzato e disarticolato, appa-re nella sua totalità, data dalla compappa-resenza di più aspetti.

Oltre ai manufatti e ai paesaggi che si incontrano, vengono indi-cati anche i principali servizi che attrezzano il percorso e che con-cretizzano in parte le azioni definite dalla strategia, necessarie per migliorare la fruizione. L’immagine riassuntiva di tutti gli itinerari e dei servizi costituisce pertanto la proposta per un piano di as-setto generale per il recupero dell’antica via Clodia e della rete dei percorsi del territorio dell’Etruria meridionale interna, da Bar-barano Romano fino a Tuscania.

Infine, nell’ultimo capitolo, vengono tratte conclusioni generali in riferimento al tema della riattualizzazione del territorio. In que-sta fase di sintesi e di ponderazione, la propoque-sta di recupero, ela-borata relativamente al territorio dell’Etruria meridionale interna, viene valutata ad una scala generale, universale. Ne viene così de-dotta una metodologia di studio e d’intervento finalizzata al recupero di tutti quei territori marginali che, come quello studiato, oggi assumono, per le qualità ambientali e storiche che conservano, il valore di paesaggi culturali fortemente identitari.

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Risultati parziali e generali Capitolo 1

risultato parziale: stato dell’arte

Inquadramento dell’ambito culturale, stato dell’arte del recupe-ro di strade e paesaggi antichi.

Capitolo 2

risultato parziale: stato dell’arte e metodologia di stu-dio

Stato dell’arte sui metodi di indagine del paesaggio storico ed elaborazione di una metodologia per l’analisi territoriale.

Capitolo 3

risultato parziale: metodologia di intervento

Individuazione ed analisi di alcuni esempi coerenti con gli obiet-tivi della tesi. Deduzione di azioni di intervento volte alla riattualiz-zazione di un paesaggio culturale.

Capitolo 4

risultato parziale: stato dell’arte

Presentazione del caso studio, stato dell’arte degli studi e delle conoscenze relativi al territorio dell’etruria meridionale; individua-zione dei dati mancanti.

Capitoli 5, 6, 7, 8

risultato generale: base di dati

Applicazione della metodologia di analisi del paesaggio al caso studio: descrizione dei caratteri naturali, antropici, normativi e programmatici del paesaggio dell’Etruria meridionale.

Capitolo 9

risultato generale: strategia di intervento generale Descrizione della strategia di progetto generale ed individuazio-ne dei destinatari.

Capitoli 10

risultato generale: azioni strategiche specifiche Descrizione delle azioni di intervento.

Capitolo 11

risultato parziale: piano di assetto generale Descrizione degli itinerari e del piano di assetto generale. Capitol0 12

risultato generale: metodologia di studio e di inter-vento

Sintesi e conclusioni; deduzione di una metodologia di studio e di intervento.

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25

PROBLEMA

Questione delle Aree Interne

Territori caratterizzati da:

una condizione di marginalizzazione (calo demogra-fico, riduzione dell’occupazione e dell’uso del suolo, insufficien-za dei servizi);

importanti risorse culturali ed ambientali

RISPOSTA AL PROBLEMA

Il recupero della rete dei percorsi antichi per la riattualizzazione del territorio

TEMA GENERALE Stato dell’arte Recupero di strade e paesaggi antichi, alcuni esempi capitoli 1, 3 METODOLOGIA per il recupero di strade e paesaggi antichi capitolo 3 METODOLOGIA per lo studio e l’interpretazione del paesaggio capitolo 2 CASO STUDIO Stato dell’arte Il paesaggio dell’ Etruria meridionale lungo la via Clodia

capitolo 4 STRATEGIA D’INTERVENTO Strategia generale capitolo 9 Azioni strategiche capitolo 10 BASE DI DATI Caratteri naturali paesaggi naturali capitolo 5 Caratteri antropici paesaggi della storia

capitolo 6 Analisi percettiva capitolo 7 Quadro normativo ed indicazione dei programmi strategici capitolo 8 TEMA GENERALE Stato dell’arte Definizione di Paesaggio e metodi per lo studio capitolo 2

scelta di un caso studio ricadente all’inter

no delle Aree Inter

ne applicazione delle metodologie al caso studio analisi degli esempi analisi dei metodi METODOLOGIA DI STUDIO E D’INTERVENTO capitolo 12 PIANO DI ASSETTO GENERALE capitolo 11

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1| PARTE PRIMA

TEMI E STRUMENTI

DELLA RICERCA

Viaggio e cammino Paesaggio e territorio

Metodi per la lettura del paesaggio

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29 Parte prima - capitolo 1 Il viaggio

Capitolo 1

IL VIAGGIO

Perché si cammina?

P

er indole l’uomo è nomade e viaggiatore. Solo o in gruppo, con i suoi piedi o per mezzo di altri, per vie di terra o per mare, ha attraversato terre immense. Ed anche quando per costume è divenuto stanziale, ha continuato a viaggiare: per il commercio, la conquista, la fede, la conoscenza o la curio-sità. Ha percorso e preso cognizione del mondo e lo ha fatto non seguendo infinite piste ma distinte e numerabili rotte. Tanto è che questi itinerari, solcati più volte e da più uomini, hanno messo in relazione diverse regioni, climi, ricchezze, dialetti e popoli divenen-do veicoli di cultura e quindi di contaminazione.

Le rotte dei viaggi sono state motori della storia e rileggendo-le ci è possibirileggendo-le comprendere l’evoluzione di mondi e civiltà e, di questi, le reciproche relazioni. Una strada è, infatti, prima di tut-to, un elemento condiviso, luogo di scambio e di comunicazione: l’abitudine a percorrerla fa sì che da traccia divenga tratturo, poi tracciato, quindi cammino, percorso; che da tangibile si astragga a viaggio cantato, a leggenda: il suo nome viene associato a quello di uomini, di popoli, di miti. La sua evocazione suscita l’immagina-zione di narrazioni lontane e di lunga durata; il percorrerla riporta indietro nel tempo, ad una memoria ancestrale: la memoria stessa è un camminare a ritroso (Demetrio, 2006).

L’invito al viaggio, della mente verso terre lontane o inteso come vero e proprio cammino, diretto ad una meta o alla deriva, non ha mai smesso così di affascinare l’uomo. La letteratura strabocca di racconti di viaggi e numerabili ma numerosi sono i cammini, le rot-te che solcano e rot-tengono insieme inrot-tere regioni e rot-territori. Ghirigori di centenari e millenari tragitti della storia (dai flussi migratori alle vie del commercio) decorano come lunghi fili aggrovigliati le carte geografiche, connettendo mete e disegnando diagrammi e mappe di relazioni e scambi.

Il cammino incanta perché è percorso nello spazio e nel tempo: nel passato, del sentiero che è già stato percorso, e nel futuro del procedere avanti. È sinonimo di vita. Questa accezione metaforica è confermata, come sottolinea anche Rykwert (1976), dalla presen-za della strada in molti giochi dell’infanzia e proverbi.

Oltre al significato di vita, il cammino porta con sé quello di conoscenza. Percorrere vuol dire esperire, vedere con gli occhi e

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percepire con gli altri sensi il territorio. L’uomo antico aveva una precisa cognizione dello spazio nel quale viveva: sapeva orientarsi, cogliere le relazioni e conosceva le cose, seppur empiricamente e non attraverso una scienza. Oggi, inizialmente muniti di una cono-scenza a priori ed un po’ meno - ahimè - di un connaturato istinto a sentire i fenomeni, possiamo recuperare una fruizione cognitiva, oltre che emotiva, dei luoghi, mettendoci sul quel lento cammino che conduce dalla semplice percezione verso l’appercezione.

Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in una città come ci si smarrisce in una foresta è una cosa tutta da imparare. I nomi delle strade devono suonare, al-lora, all’orecchio dell’errabondo come lo scricchiolio dei rami sec-chi, e le viuzze interne gli devono scandire senza incertezze, come le gole montane, le ore del giorno. Tardi ho appreso quest’arte; essa ha coronato il sogno, i primi segni del quale furono i labirinti che arabescavano le carte assorbenti dei miei quaderni.

Walter Benjamin, Infanzia berlinese 1.a Camminare nel racconto dei tempi

Alla ricerca dell’albero Wak Wak.

Il viaggio come disvelamento e conoscenza

A qualsiasi titolo si sia messo in cammino, il viaggiatore ha da sempre esercitato un’accesa suggestione e una fascinazione arcana su una comunità stanziale e sedentaria (Brilli, 2006). La letteratura, che recepisce ed è testimone della cultura dei popoli, non ha infatti mai cessato di parlare di viaggi. Tra le più grandi opere letterarie della storia, dall’Odissea (comprendendo le più re-centi interpretzioni come quella dell’Ulisses di Joyce) al Milione, la narrazione ha coinciso con l’andar per mondo del protagonista, ricercando un’analogia profonda tra viaggio ed esistenza.

Tra le tante ragioni che hanno spinto l’uomo a muoversi per ter-re e mari, molte delle quali sono legate a necessità materiali (basti pensare alle grandi rotte dei commerci, prima tra tutte la mitica via della Seta), quella forse più ancestrale, proprio perché connessa all’animo, è la curiosità, il desiderio di conoscenza. Nell’associazio-ne del viaggio alla scoperta sta anche la corrispondenza del primo con la vita.

Anticamente, secondo una leggenda diffusa specialmente tra i viaggiatori, l’esperienza del viaggio si concludeva solo quando si arrivava a vedere l’albero Wak Wak. Di questa bizzarra pianta, alla quale il nome lo davano i versi emessi dai suoi frutti parlanti con sembianze umane, ce ne offre una descrizione Jurgis Baltrušaitis nel suo “Medioevo fantastico” (Baltrušaitis, 1993). L’albero Wak Wak è simbolo della rivelazione, pertanto il viaggio si conclude solo quando avviene il disvelamento.

Di cammini intrapresi con questo scopo ne è colma la storia, ed in fondo viaggiare è stato uno dei pochi modi possibili per vedere ed esperire il mondo ed apprendere nuove informazioni.

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31 Parte prima - capitolo 1 Il viaggio

Dal “journey” al “tour”.

Verso la concezione moderna del viaggio

Lasciati alle spalle i récits des pèlerins, le relazioni dei diplo-matici, le querimonie dei mercanti - vale a dire tutti coloro che instaurano un rapporto esclusivo e intenso, di fede o di professio-ne, con l’andar per via - e scartati altresì quanti percorrono piste e strade d’Europa con l’avidità dei mercenari, il mimetismo degli attori o la smemoratezza degli erranti, non resta che prendere in considerazione una singolare figura di viaggiatore per il quale il viaggio rappresenta una forma di amatissimo e splendido spre-co, ancorché variamente motivato, e di taumaturgia dell’anima, a partire dell’ultimo scorcio del Cinquecento. Un viaggio che non ha ancora la consapevolezza della fatale attrazione dell’antico, di quel richiamo del passato che diventerà motivo dominante nel XVIII secolo, ma che fin d’ora oppone il giro attraverso le città europee del sapere sia antico che moderno alle sconfinate lande di un mondo incognito dove, nel rischio quotidiano dell’esisten-za, si mettono in giuoco le fortune individuali e quelle degli stati (Brilli, 2006). Così Attilio Brilli ne “Il viaggio in Italia” comincia a descrivere il mutare della moda del viaggio allo scadere del XVI secolo: una trasformazione che, come lo stesso autore dichiara, dipende in larga parte dal nuovo metodo scientifico baconiano. A fronte del nuovo pensiero filosofico che investe tutto il sistema dei saperi, l’idea del viaggio che si diffonde presso l’aristocrazia eu-ropea nell’ultimo scorcio del XVI secolo [...] è un’idea nata dalla curiosità intellettuale della nuova scienza che osserva i fenomeni naturali e quelli creati dall’uomo, facendo nel contempo oggetto di estasiata contemplazione le antichità classiche (Brilli, 2006).

Ai lunghi soggiorni prolungati presso poche località si preferi-scono itinerari che toccano più luoghi promuovendo una cultura pragmatica e sperimentale; i giovani che si muovono per l’Europa non lo fanno più in veste di studenti ma di viaggiatori; ai termini travel e journey si affianca quello di tour.

Anche se la concezione di questo tipo di viaggio è moderna ri-trova ancora nella curiosità e nel desiderio di conoscenza la sua più intima ragione legata a quella necessità ancestrale.

1.b Camminare nel mondo contemporaneo.

Il recupero di tracciati e paesaggi antichi. La risco-perta di un interesse verso la fruizione lenta e diretta dei luoghi

Nel mondo moderno, dove le due dimensioni del tempo e dello spazio che caratterizzano il camminare paiono contrarsi e le infini-te possibilità e facilitazioni annichiliscono il piacere per il raggiun-gimento delle mete (il commercio, la conquista, la fede, la cono-scenza o la curiosità) attraverso la pazienza e l’impegno, la lunga tradizione dei cammini sembrerebbe essere destinata a scompari-re. Ed invece l’attrattiva per il viaggio non si è mai dissolta ed oggi pare anzi riprendere valore, rianimarsi per nuovi interessi e,

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dun-que, affascinare ancora.

Le criticità del mondo contemporaneo e quindi gli scenari del-la vita sempre più concitati e convulsi, del-la crisi ecologica provocata da un abuso delle risorse naturali e, nondimeno, la mancanza e la necessità, al tempo stesso, di condividere dei luoghi e delle memo-rie hanno portato ad un ritrovato interesse per il territorio, inteso come patrimonio da tutelare e rivalutare: in questo contesto, quello di uno sviluppo (turistico-culturale) sostenibile, il recupero della fruizione di antichi tracciati e paesaggi mostra tutta la sua attrat-tiva.

Dal 1987 il Consiglio d’Europa ha riconosciuto l’importanza dei percorsi religiosi e culturali attraversano l’Europa per giungere a Santiago de Compostela dichiarando la via di Santiago “itinerario culturale europeo” e finanziando adeguatamente tutte le iniziative per segnalare in modo conveniente il camino de Santiago; più re-centemente, tra il 2005 e il 2006, è stato mappato e descritto tutto il percorso pedonale della via Francigena tra il Gran San Bernardo e Roma, per una lunghezza di 945 chilometri; nel 2007 il camino del Cid e da pochi anni la Ruta de la Plata sono stati riattivati e rap-presentano attualmente un’attrattiva culturale e turistica di primo ordine a livello nazionale ed europeo.

Quelli citati rappresentano solo alcuni dei molti casi dove è stato posta attenzione al recupero di antichi tracciati.

Tuttavia questo riscoperto interesse verso il cammino o, meglio, verso una fruizione lenta dei luoghi non rappresenta un’invenzione del mondo contemporaneo. Quel che oggi appare come un modo alternativo di fruire il territorio, relegato al tempo libero, ha co-stituito per un lunghissimo periodo una necessità. Ci si spostava infatti in carrozza, a cavallo, ma soprattutto a piedi: questo era il “mezzo” di cui ha sempre disposto l’uomo.

Pertanto, in un paesaggio strutturatosi anticamente, gli stessi percorsi, la loro articolazione, la collocazione e la distanza recipro-ca dei siti lungo il tragitto, le acclività dei suoli attraversati sono caratteristiche tutte già pensate in funzione di un andar per le terre a piedi. Per tale ragione un territorio di lunga memoria, dove, come in quelle aree interne di cui si è brevemente parlato nella premessa e che costituiscono la questione verso cui questa ricerca pone la propria attenzione, la struttura del paesaggio antico si conserva an-cora, non solo può ma deve essere fruito secondo questa modalità, nel modo più naturale e congeniale, quello che gli appartiene.

Così, se si prende in analisi una carta geografica, si noterà come nei territori che hanno mantenuto nell’assetto un rapporto con il loro passato le distanze che intercorro tra i singoli centri siano pressappoco equivalenti. Se poi ci si diverte a misurarle, si vedrà pure che queste variano dai quattro ai sei chilometri, lunghezza che, percorsa a piedi, senza sforzo, non richiede più di mezza gior-nata di cammino, considerando gli accidenti dei terreni.

Attraversare territori riattivando economie

Ripristinare un percorso, che attraversa e collega regioni, in-tercettando località e siti che rappresentano sia delle soste che dei punti di interesse, comporta anche la riattivazione del territorio

Figura

Foto aerea del paesaggio di  Kalkriese ed individuazione  dell’area del parco archeologico.
Foto del memoriale di Steilneset,  progettato dall’architetto Peter  Zumthor.
Fig. 8 Fig. 6
Fig. 25 01 5 10 km NEPITARQUINIATORRE DI MONTALTOTORRE SANT’AGOSTINOTORRE MARANGONECERVETERI PORTO OSTIACIVITAVECCHIAFORUM CLODIIGALERIATORRE FLAVIATORRE PALIORO ROMABLERASUTRICIVITA CASTELLANAVITERBOORTEGALLESEBOMARZOAMELIAFERENTOPITIGLIANOBOLSENABAGNOREG
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