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La fase finale del Castelnoviano e il problema della neolitizzazione dell’Italia settentrionale

Se la conoscenza del Mesolitico recente sul territorio italiano non può certo dirsi organica e uniforme, ancor più frammentari sono i dati riguardanti la fase finale di questo periodo, ossia i momenti immediatamente precedenti il passaggio al Neolitico (fig. 18).

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La documentazione disponibile proviene da alcuni siti datati alla seconda metà del VI millennio a.C., come Lama Lite, o che hanno conservato livelli di occupazione del Neolitico antico sovrapposti a frequentazioni castelnoviane, come Romagnano, Gaban, Grotta dell'Edera. Purtroppo questi livelli sono risultati in genere piuttosto poveri di manufatti litici, tanto che non è stato possibile delineare un'evoluzione del tecno-complesso castelnoviano, come invece è stato fatto per il Sauveterriano.

Particolarmente dibattute sono le problematiche relative al ruolo che gli ultimi gruppi di cacciatori-raccoglitori presenti sul territorio possono aver giocato nel processo di formazione dei gruppi culturali del primo Neolitico (fig. 19). Per chiarire questo aspetto, gli studiosi si sono concentrati soprattutto sull'analisi delle datazioni radiocarboniche (Bagolini & Biagi 1990, Improta & Pessina 1998, Perrin 2006) e sullo studio dei complessi litici, in cui possono essere individuati elementi di continuità o di rottura tra i due periodi esaminati (Bagolini & Biagi 1988, Pessina 1998, Perrin 2006).

Fig. 18 – Carta della diffusione del Neolitico lungo la fascia adriatica e in Italia settentrionale, sulla base della cronologia radiocarbonica (da Pessina 1998).

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In questa sede non si intende fornire un quadro completo della problematica, essendo disponibili alcuni recenti lavori di sintesi (Perrin 2006, Ferrari & Steffè 2006, Pessina 2008): si accennerà brevemente alle principali ipotesi in campo.

Elementi di continuità tra la litotecnica castelnoviana e quella del primo Neolitico sono stati individuati in particolare:

- per la Liguria di Levante, nel sito della Pianaccia di Suvero (Bagolini & Cremonesi 1987);

- per l'area alpina e prealpina orientale (Veneto, Friuli), per il forte microlitismo e la presenza di grattatoi unguiformi e circolari, trapezi e piccoli romboidi nei tecno- complessi del primo Neolitico (Bagolini 1987b; Bagolini & Cremonesi 1987);

- per il gruppo Gaban del Trentino, la cui industria litica non mostrerebbe una rottura rispetto al Castelnoviano, ma piuttosto un'accentuazione di alcuni caratteri tecno- tipologici, quali la laminarità, la regolarità dei prodotti di débitage, l'aumento della grandezza dei manufatti, la diminuzione degli strumenti su scheggia, con una permanenza dei trapezi;

- per il Carso Triestino, dove il primo Neolitico, rappresentato dal Gruppo di Vlaška, che deriva dalla Cultura di Danilo, di origine dalmata, si sovrappone all'ultima fase del popolamento castelnoviano (Biagi 2003b).

Secondo queste ipotesi, gli elementi di “tradizione” castelnoviana nei tecno-complessi del primo Neolitico dell’Italia settentrionale sono spiegabili all’interno di un processo misto, in cui colonizzazione e acculturazione hanno giocano ruoli complementari (Bagolini & Cremonesi 1987).

Soffermandosi in particolare sull’area emiliana, la Cultura di Fiorano, la cui diffusione comincia in area padana prima della metà del VI millennio a.C. cal., dunque con parziale sovrapposizione cronologica alle ultime testimonianze castelnoviane, sembra contenere un retaggio della locale tradizione castelnoviana, anche se profondamente rielaborato nella litotecnica neolitica (Ferrari & Steffè 2001). Purtroppo gli eventuali rapporti tra le culture della Ceramica Impressa medio-adriatica e di Fiorano, in gran parte coeve, e quella castelnoviana non possono essere facilmente chiariti, poiché le ultime manifestazioni mesolitiche, ad eccezione del sito di Lama Lite sull'Appennino reggiano, hanno restituito datazioni più antiche rispetto alla prima penetrazione neolitica in Emilia-Romagna. Nel caso dei gruppi della Ceramica Impressa romagnola provenienti dal territorio abruzzese-marchigiano, la presenza di elementi tecno- tipologici castelnoviani è stata collegata a fenomeni di acculturazione avvenuti prima dell'espansione verso nord di tale complesso culturale, e non sarebbe quindi frutto del contatto con i gruppi castelnoviani della Pianura Padana, che non avrebbero dunque subito processi di sedentarizzazione (Bagolini & Biagi 1987, Bagolini & Cremonesi 1987, Biagi et al. 1993, Ferrari & Steffè 2001). E' necessario sottolineare,

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inoltre, che i siti castelnoviani noti in questo territorio sono localizzati quasi esclusivamente sulla dorsale appenninica, dunque in un'area assai poco toccata dalla diffusione del primo neolitico (Ferrari et al. 2002).

Fig. 19 – Gli aspetti del primo Neolitico dell'Italia settentrionale (da Pessina 1998).

Recenti indagini nei siti di Pian di Cerreto e Muraccio, nella Valle del Serchio, mostrano tuttavia come il popolamento neolitico nella zona posta a sud della dorsale appenninica sia avvenuto in un momento assai precoce, sovrapponendosi alle ultime testimonianze castelnoviane, come dimostrano le datazioni radiocarboniche, che collocano l’occupazione del sito di Pian di Cerreto in un momento contemporaneo a quella di Lama Lite (Tozzi & Zamagni 2000). Ritrovamenti di questo genere, se supportati da nuove scoperte, saranno particolarmente utili per indagare eventuali fenomeni di acculturazione degli ultimi cacciatori-raccoglitori.

Se la permanenza di una "tradizione castelnoviana" nei tecno-complessi neolitici è stata più volte sottolineata, da più parti sono stati sottolineati aspetti di cesura sono non meno rilevanti:

- la tecnologia neolitica si distingue per la tendenza alla produzione di supporti e strumenti di dimensioni sempre maggiori, contrariamente a quanto si può osservare nel Mesolitico (Ferrari & Pessina 1994);

- una recente revisione degli insiemi litici del riparo Gaban ha mostrato, accanto ad elementi comuni tra la litotecnica castelnoviana e quella del primo Neolitico, alcuni aspetti non trascurabili di innovazione, riscontrabili non solo a livello tipologico (comparsa dei bulini di Ripabianca, modificazioni morfometriche dei trapezi), ma anche tecnologico, quale lo sfruttamento di una sola faccia dei nuclei (Perrin 2006);

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- si riscontra un profondo mutamento nelle strategie di approvvigionamento delle materie prime, che nel corso del Mesolitico recente-finale sono orientate verso lo sfruttamento pressoché esclusivo di litotipi locali, mentre a partire dal Neolitico antico vedono l'attivazione di reti di scambio anche su lunghe e lunghissime distanze, come è stato possibile constatare sia in Liguria (Biagi 1987) sia nelle regioni padane e alpine (Biagi et al. 1993, Ferrari & Pessina 1994; Ferrari & Steffè 2001).

Di fatto, comunque, la presenza di aspetti tipo-tecnologici di "tradizione castelnoviana" all'interno dei tecno-complessi neolitici non costituisce di per sé una prova dell'esistenza di contatti e fenomeni di acculturazione in area padano-alpina: alcuni lavori recenti (Biagi 2003a, Perrin 2006) sottolineano la presenza di uno iato cronologico tra le ultime testimonianze castelnoviane e le prime manifestazioni neolitiche dell'Italia settentrionale (fig. 20).

I modelli più frequentemente proposti per spiegare la neolitizzazione, ossia l'acculturazione di gruppi autoctoni oppure l'assimilazione di tratti mesolitici da parte dei primi agricoltori ed allevatori, prevedono interazioni sistematiche tra i differenti gruppi umani, che allo stato attuale delle ricerche non possono essere documentati. Una recente ipotesi propone di individuare una colonizzazione in due tempi, ossia la penetrazione in Italia settentrionale di gruppi neolitici che abbiano già integrato tradizioni castelnoviane acquisite al di fuori di tale territorio (Perrin 2006).

Fig. 20 – Sintesi cronologica delle datazioni radiocarbonich e del Mesolitico recente e del Neolitico dell'Italia settentrionale (da Perrin 2006).

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Come si vede, la questione è articolata e non cessa di porre nuove sfide interpretative: le attuali linee di ricerca sono indirizzate a reperire un numero crescente di evidenze archeologiche che possano supportare i modelli proposti. In questo quadro, è senza dubbio di primaria importanza giungere ad una documentazione e caratterizzazione più completa possibile delle testimonianze lasciate dagli ultimi gruppi di cacciatori- raccoglitori.

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