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3 – Il paesaggio emiliano tra Boreale ed Atlantico antico

3.3. Paleoambiente e vegetazione

Come si è detto, lo sviluppo del complesso culturale castelnoviano in Italia settentrionale è compreso tra gli ultimi secoli del Boreale e la prima parte dell’Atlantico antico (ca. 7000-5500 a.C. cal.). Tali suddivisioni, corrispondenti a zone polliniche dell’Europa centro-settentrionale (Mangerud et al. 1974), non possono essere applicate in quanto tali all’evoluzione climatica olocenica locale e mantengono pertanto il solo valore cronostratigrafico (Beaulieu et al. 1994), perdendo quello di chiavi interpretative del paleoclima e della paleovegetazione.

Una nuova cronologia biostratigrafica per l’area dell’Appennino settentrionale è stata proposta da Lowe (2002), che identifica otto zone polliniche per il periodo compreso tra l’ultimo interstadiale e oggi (Lowe & Watson 1993, Watson et al. 1994). Poiché tale suddivisione non è stata adottata da tutti gli autori (Accorsi et al. 2000) e non comprende l’intero territorio regionale, in questa sede saranno impiegate le classiche definizioni di Boreale ed Atlantico, col solo valore cronologico.

La possibilità di fornire un quadro paleoambientale dettagliato del territorio in esame durante tali periodi è limitata dalla mancanza di una sintesi a livello regionale dell’evoluzione della vegetazione nel corso dell’Olocene: i più recenti lavori in tal senso, pur presentando un’ampia documentazione, si riferiscono principalmente alla vegetazione forestale (Accorsi et al. 2000), con particolare attenzione alla fascia di

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pianura (Accorsi et al. 1997, 2004). Come osservato dagli autori stessi, tali ricostruzioni si limitano ai dati vegetazionali, senza delineare l’evoluzione paleoclimatica, che sarà oggetto di analisi future (Accorsi et al. 2000). In questa sede saranno pertanto descritti i principali caratteri delle differenti fasce vegetazionali durante il periodo in esame sulla base dei dati attualmente disponibili.

3.3.1. La fascia planiziaria

La fascia vegetazionale planiziaria, che convenzionalmente si estende fino a 100 m di altitudine, è interessata, dall’inizio del Boreale, da importanti cambiamenti, che vedono, nel quadro di una complessiva riduzione della copertura forestale, la progressiva espansione del querceto misto e la regressione graduale delle foreste di pini e abeti, che avevano assunto un ruolo dominante nella fase iniziale dell’Olocene. Il paesaggio del Boreale si presenta come un mosaico di aree boschive e zone aperte; le associazioni arboree sono varie e comprendono foreste miste di conifere e latifoglie, querceto misto e boschi di essenze igrofile. La composizione del querceto misto può variare a livello regionale, con comunità caratterizzate dalla prevalenza di Quercus e Tilia, altre da quella di Quercus e Carpinus, altre ancora con significative presenze di Ulmus, Acer, Fraxinus, Ostrya carpinifolia accanto alle essenze dominanti (Accorsi et al. 1997, 2004) (fig. 24). Nel corso del Boreale il querceto misto assume le caratteristiche di Querco-Carpinetum mesoigrofilo (Quercus pedunculata, Acer campestre, Carpinus betulus, Ulmus campestris, Fraxinus excelsior) che costituisce ancor oggi la vegetazione climax della pianura padano-veneta (Bertolani Marchetti 1969/70, Bertolani Marchetti et al. 1984, Paganelli 1984, Accorsi et al. 2000). Le conifere, il cui areale di diffusione tende a spostarsi verso quote più elevate a causa del riscaldamento climatico, sono ancora piuttosto diffuse in pianura, dove rappresentano circa il 50% dello spettro pollinico forestale; tale presenza potrebbe essere stata favorita dall’accumulo di aria fredda nel fondovalle e da favorevoli condizioni del suolo (Bertolani Marchetti 1969/70, Dallai et al. 1992). Foreste di conifere (Pinus sylvestris e Abies alba) sono documentate in particolare nel territorio modenese. In aree caratterizzate da abbondanza d’acqua nel substrato o affiorante, quali le paludi e i margini degli alvei fluviali, sono presenti associazioni vegetali caratterizzate da essenze igrofile, in particolare ontani, salici e pioppi (Bertolani Marchetti & Cupisti 1970, Bertolani Marchetti 1980, Accorsi et al. 1997). Presso i margini dei boschi e nelle radure è assai diffuso il nocciolo. La presenza di frequenti aree aperte, occupate da essenze erbacee quali il luppolo (Dallai et al. 1992), è stata spiegata con cause naturali, quali condizioni climatiche o ecologiche locali, ma gli autori non escludono possibili azioni di diradamento del bosco per opera dell’uomo (Accorsi et al. 1992, 1997, 2004).

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Col passaggio all’Atlantico, il paesaggio di pianura si presenta simile a quello del Boreale, con una costante diminuzione del pino e una sempre più ampia diffusione delle latifoglie decidue, che divengono prevalenti nello spettro pollinico forestale. Si hanno dunque boschi misti di conifere e latifoglie, caratterizzati da una grande diffusione del tiglio e occasionali presenze di abete rosso e leccio. Aumentano anche le zone con vegetazione igrofila (ontano, salice, pioppo) e la diffusione del nocciolo (Accorsi et al. 1997, 2004).

Fig. 24 – Composizione del bosco di latifoglie durante il Boreale/Atlantico nella fascia planiziaria/collinare (modificato da Rodriguez de la Fuente 1970).

3.3.2. La fascia collinare

Dall’inizio dell’Olocene, grazie all’innalzamento delle temperature, l’area collinare, compresa convenzionalmente tra 100 e 800 m, è interessata da un deciso aumento della copertura forestale, che a partire dal Boreale è caratterizzata da associazioni di conifere e latifoglie decidue che formano boschi densi. In questa fascia assume un ruolo rilevante l’abete, il cui areale si sposta dalla pianura verso quote più elevate, e rimane importante la presenza del pino, la cui diffusione è invece in calo nelle aree planiziarie e montane (Accorsi et al. 2000). Nella composizione del querceto entrano Tilia, Acer, Ulmus e Fraxinus, accanto a Quercus (Bertolani Marchetti et al. 1994). Le aree con suoli più umidi vedono lo sviluppo di essenze igrofile, in particolare del salice, più abbondante in area collinare che in pianura.

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Nel corso dell’Atlantico, a partire da 5800 BP, si assiste ad un declino dell’abete, cui si sostituiscono boschi più aperti caratterizzati dall’associazione di quercia, olmo, nocciolo e faggio (Vescovi et al. 2010).

3.3.3. La fascia montana

L’area montana, a partire convenzionalmente dalla quota di 800 m, è caratterizzata, sin dall’inizio dell’Olocene, da una rapida espansione del querceto e successivamente dell’abete, che diviene progressivamente dominante (Lowe & Watson 1993). Nel corso del Boreale, il querceto misto raggiunge la sua massima espansione, diffondendosi fino a 1300/1500 m circa (Chiarugi 1939, Bertolani Marchetti et al. 1994). La composizione del querceto in area appenninica differisce rispetto a quella osservata in pianura: si tratta infatti di un’associazione termoxerofila caratterizzata da roverella, orniello e carpino nero (Quercus pubescens, Fraxinus ornus e Ostrya carpinifolia) (Paganelli 1984), accanto ai quali sono presenti tiglio e olmo (Bertolani Marchetti et al. 1994, Accorsi et al. 2000). Ai margini del bosco e nelle radure è presente il nocciolo (Biagi et al. 1980).

Nel corso dell’Atlantico l’area montana è interessata dall’espansione del faggio, che entra in competizione con l’abete bianco, la cui diffusione si riduce decisamente a partire da 6500 cal. BP fino a lasciare spazio allo sviluppo delle faggete che ancora oggi caratterizzano questo ambiente. Come dimostrano studi condotti in diverse aree del settore montano, la diffusione del querceto alle più alte quote durante il Boreale, così come il successivo declino dell’abete nel corso dell’Atlantico, non sono omogenei né sincroni su tutto il territorio regionale (Lowe & Watson 1993, Vescovi et al. 2010). Al di sopra dei 1300/1500 m circa, ossia oltre il limite superiore raggiunto dal querceto, la copertura vegetale si fa più rada ed assume carattere mesofilo. Il paesaggio forestale è dominato dall’abete, accanto al quale è documentata, tra Boreale e Atlantico antico, la presenza di latifoglie, in particolare laburno, frassino, acero, olmo (Cremaschi & Castelletti 1975, Castelletti et al. 1976, Cremaschi et al. 1982). In particolare, la foresta a conifere occupa i versanti più esposti e i suoli più poveri, mentre il bosco deciduo si dispone sui versanti maggiormente soleggiati e sui suoli più ricchi (Watson et al. 1994).

L’assenza o la scarsa rappresentazione dell’abete bianco tra i resti vegetali rinvenuti negli accampamenti mesolitici d’alta quota (Passo della Comunella, Lama Lite, Monte Bagioletto), non è in contraddizione con tale quadro, in quanto può essere spiegata con particolari condizioni locali, quali l’esposizione e l’alta quota dei siti stessi. Ai margini del bosco rado, in corrispondenza con aree umide, è presente una vegetazione erbacea igrofila (Biagi et al. 1980).

50 3.3.4. La fascia cacuminale

Il limite della vegetazione arborea durante l’optimum climatico atlantico è stato stimato, per l’Appennino settentrionale, attorno ai 2000 m, ossia circa 150-200 m sopra quello attuale (Ravazzi & Aceti 2004). La fascia vegetazionale posta al di sopra di esso risulta dunque assai ridotta, in quanto solo poche vette nel settore bolognese- modenese-reggiano superano tale quota. E’ noto tuttavia che la copertura arborea non raggiunge in genere le cime più elevate delle catene montuose e non tocca le creste, in quanto le condizioni climatiche locali, in particolare l’azione del vento, le rapide variazioni di temperatura e la siccità dell’aria favoriscono piuttosto le forme erbacee e arbustive (Chiarugi 1939, Pirola 1980).

Una ricostruzione della composizione di tale fascia vegetazionale, nonostante la sua scarsa diffusione, può essere tentata sulla base dei risultati delle analisi polliniche eseguite su campioni raccolti sulle pendici del monte Cimone (Appennino modenese), alla quota di 1800 m. Nel corso dell’Atlantico la vegetazione è caratterizzata da una netta prevalenza delle erbacee: Graminacee e Ciperacee, favorite dalla presenza di un’area umida, accompagnate da Ericales, Artemisia e Caryophyllaceae (Bertolani Marchetti 1963). Non si può dunque parlare dello sviluppo di una vera e propria prateria alpina, ma la presenza del vaccinieto costituisce un elemento di interesse, anche per il possibile impiego come fonte alimentare da parte dei gruppi di cacciatori-raccoglitori.