• Non ci sono risultati.

2.1. Quadro geografico del territorio emiliano4

La scelta dell’Emilia come ambito di ricerca non consiste semplicemente nell’adeguamento ad una realtà geopolitica, ma è dettata dalla sostanziale unitarietà fisico-geografica del territorio (fig. 21).

Come si è accennato, l’Emilia Romagna è attualmente una delle regioni amministrative dell’Italia nord-orientale, composta dall’unione di due aree connotate storicamente: l’Emilia, che comprende le province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Ferrara e Bologna, città capoluogo di regione, e la Romagna, con le restanti province di Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena. La porzione occidentale della regione deve il suo nome alla via Emilia, asse viario romano costruito dal console Marco Emilio Lepido tra 189 e 187 a.C. per collegare Placentia ad Ariminum.

In questa ricerca ci si concentrerà solamente sull’Emilia (ad esclusione del ferrarese), semplicemente perché in Romagna non sono state a tutt’oggi rinvenute testimonianze castelnoviane.

Il territorio regionale, come si è detto, corrisponde ad un’unità geografica ben definita e delimitata: il Po a nord e il crinale dell’Appennino tosco-emiliano, che si dispone obliquamente da nord-ovest a sud-est, descrivono un triangolo scaleno, il cui margine orientale è costituito dal Mare Adriatico. Questo spazio si articola in un’ampia area pianeggiante, che occupa la fascia settentrionale della regione, bordata lungo il margine meridionale dall’area collinare che si raccorda con la catena appenninica. Appartengono geograficamente ed amministrativamente all’Emilia le cime più elevate dell’Appennino settentrionale: Cimone (2165m), Cusna (2121m), Prato (2053m), Alpe di Succiso (2017m). La fascia montuosa-collinare conserva per tutto il suo sviluppo una larghezza pressoché costante di circa 40 km: il versante emiliano dell’Appennino è costituito da una serie di contrafforti che dallo spartiacque principale scendono a pettine e separano vallate anch’esse parallele. L’entroterra è percorso da diversi fiumi, tributari di destra del Po, caratterizzati da ampi alvei, scarse acque, secche estive e piene autunnali. La natura limoso-argillosa del terreno origina, laddove affiora, fenomeni di denudazione chiamati calanchi, nonché frane di dimensioni anche considerevoli, molto longeve, e generali fenomeni di dissesto idrogeologico.

4 Una descrizione più approfondita del paesaggio regionale dal punto di vista geologico e geomorfologico sarà

40

Nel dettaglio, il reticolo idrografico è costituito, nella metà occidentale della regione, da una serie di corsi d’acqua, ad andamento più o meno parallelo, che percorrono le valli innestate sull’asse pedemontano e poi divagano nella bassa pianura fino a confluire nel fiume Po; nella parte orientale, a cominciare dal Reno (il più lungo della regione), i fiumi si gettano direttamente nell’Adriatico.

A parte il Po, tutti i corsi d’acqua della regione hanno portate irregolari con andamento torrentizio.

Dalle estreme propaggini collinari si passa alle ondulazioni dell’alta pianura ciottolosa, costituita essenzialmente dai grandi e piatti conoidi dei fiumi appenninici, oltre la quale si estende l’ampia e fertile pianura alluvionale, creata nel tempo dalle alluvioni del Po e dei tratti terminali dei suoi affluenti, che si allarga progressivamente sino a formare sul Mare Adriatico un fronte di oltre 100 km. Nell’alta pianura si sono depositati soprattutto i materiali più grossolani – ghiaia, sabbia – e pertanto il suolo risulta generalmente molto permeabile. Nella bassa pianura, invece, i depositi sono più minuti - limi e argille - e perciò risultano meno permeabili.

La zona del delta del Po è caratterizzata da zone umide (lagune e valli di Comacchio, ormai in gran parte bonificate), mentre le coste romagnole, sabbiose, sono caratterizzate dalla presenza delle foci di alcuni fiumi appenninici, con frequenti zone naturalistiche (valli, pinete, campi di dune quasi intatte) (Vianelli 1999).

Il clima attuale è vario, con una tendenza continentale all’interno e accenti più miti nelle zone costiere; il regime termico e pluviometrico segue in gradiente altitudinale, con precipitazioni annuali variabili dai 700 mm annui in pianura ai 1800 mm/anno in montagna e temperature medie annue oscillanti tra i 10 e i 14 gradi (ARPA 2010).

41

2.2. Storia delle ricerche e conoscenze attuali sul Castelnoviano dell’Emilia

Sebbene i primi ritrovamenti di industrie mesolitiche sul territorio regionale risalgano al XIX e agli inizi del XX secolo (scoperte di G. Chierici per il reggiano, F. Malavolti per il modenese e L. Fantini per il bolognese), tali testimonianze sono rimaste a lungo occultate all’interno delle vastissime collezioni paleolitiche, senza ricevere una corretta attribuzione cronologica fino alle più recenti revisioni (Catalogo S. Lazzaro 1985, Atlante Modena 2006, 2009).

Solo negli anni Settanta del secolo scorso si svolsero le prime indagini stratigrafiche di giacimenti mesolitici, che interessarono le stazioni d’alta quota del reggiano (Passo della Comunella, Lama Lite, Monte Bagioletto; Cremaschi 1973, Cremaschi & Castelletti 1975, Castelletti et al. 1976, Cremaschi et al. 1982). La scoperta di tali testimonianze, inizialmente attribuite al complesso tardenoide (Cremaschi 1973), avvenne quasi contemporaneamente alla definizione della sequenza mesolitica del Trentino (Broglio 1971), facendo dell’Emilia la prima regione a sud delle Alpi in cui fu riconosciuta la sequenza Sauveterriano-Castelnoviano.

A differenza di quanto è avvenuto in Trentino, dove le ricerche sono proseguite con la stessa intensità anche nel corso degli anni Ottanta e Novanta, in Emilia l’interesse per l’indagine sistematica delle testimonianze mesolitiche sembra attenuarsi: non sono intrapresi ulteriori scavi e le nuove scoperte si riferiscono esclusivamente a collezioni di superficie. Il ritrovamento di manufatti mesolitici avviene nell’ambito di ricerche indirizzate prevalentemente verso la documentazione delle attestazioni paleolitiche (ricerche del Museo “L. Donini” di San Lazzaro, per il bolognese: Nenzioni 1985) oppure per opera di appassionati e ricercatori indipendenti (A. Ghiretti nel parmense-piacentino, che fa seguito alle ricerche degli anni ’60-’70 di O. Baffico, e più tardi A. Galimberti e R. Perrone, altri nel modenese). Solo in alcuni casi, tali scoperte danno luogo a lavori di sintesi sul popolamento antico a livello sub-regionale (Biagi et al. 1980, Bagolini 1985, Nenzioni 1985, Ghiretti & Guerreschi 1990). Spesso, invece, le collezioni giacciono a lungo nei musei, in attesa di uno studio approfondito: tale lavoro sistematico di revisione delle collezioni museali, già avvenuto per il modenese (Ferrari et al. 2006), costituisce uno dei punti di partenza di questo lavoro.

Come si vede, le attuali conoscenze sul Castelnoviano a livello regionale sono frammentarie e condizionate dalle modalità poco sistematiche delle ricerche. Gli unici giacimenti con dati stratigrafici affidabili sono concentrati in un’area ristretta e possono costituire quindi un riferimento solo parziale, volendo indagare fenomeni su scala regionale.

L’altra grave lacuna che limita la percezione dell’evoluzione interna del complesso castelnoviano in regione è la scarsità di datazioni assolute. Assieme al livello superiore di Monte Bagioletto, sito sauveterriano con indizi di frequentazione

42

castelnoviana, Passo della Comunella e Lama Lite sono infatti gli unici giacimenti ad aver fornito datazioni radiometriche per il Mesolitico recente emiliano (fig. 22). Le date, distribuite tra il VII e la metà del VI millennio a.C., rientrano nell’arco cronologico del Castelnoviano dell’Italia settentrionale (Perrin 2006).

Sito Lab. BP BC cal. 1 s. BC cal. 2 s. Materiale Bibliografia

Monte Bagioletto

Alto I-12687 7670 ± 120 6610-6420 6720-6186 carbone Cremaschi et al. 1982 Passo della

Comunella Birm-830 6960 ± 130 5970-5650 6090-5570 carbone Biagi et al. 1980 Lama Lite R-1394 6620 ± 80 5620-5493 5707-5390 carbone Tozzi 1985

Fig. 22 – Date radiocarboniche del Castelnoviano dell’Emilia rappresentazione grafica delle date calibrate a 1s (calibrazione con OxCal e grafico di T. Perrin).

43