• Non ci sono risultati.

1.3 L’Economia di solidarietà come teoria

1.3.3 Il Fattore C e il Capitale Sociale

Il concetto di capitale sociale ha riscosso molto successo in ambito economico e sociologico; questo però lo ha portato a diventare un “concetto-ombrello” (Andreotti,

Ambra Ilaria Cincotti “L’Economia di solidarietà. Il Fattore C studiato attraverso la Social Network Analysis” Tesi di Dottorato in Scienze Politiche e Sociali -XXIX Ciclo-Università degli Studi di Sassari.

48

Barbieri 2003)21, sotto il quale sono stati raccolti gli approcci più diversificati.

Prima di procedere con la definizione, è utile ripartire dal concetto di azione sociale, presentato da Coleman nell’ articolo “Social capital in the creation of Human Capital” (1988). L’autore sintetizza le definizioni di azione sociale di due correnti principali: da un lato i sociologi, che considerano le azioni degli individui come fortemente influenzate dall’ambiente e pertanto prive di un moto personale (discussa all’interno dell’analisi classica del concetto di comunità); dall’altro gli economisti, che fanno riferimento alla teoria della scelta razionale, secondo cui ogni individuo agisce al fine di ottimizzare i propri risultati e in modo completamente indipendente rispetto all’ambiente. Coleman presenta un’innovazione: “importare il principio economico della scelta razionale nell’analisi del sistema sociale, senza scardinare il processo di organizzazione sociale” (Coleman 1988). L’integrazione di queste due prospettive gli consente di affermare, considerando anche la nozione di embeddedness (Granovetter 1985), che esistono delle risorse della struttura sociale che sono a disposizione degli individui: esse rappresentano il capitale sociale (Coleman 1990). Ciascun individuo - secondo l’autore - è dotato di tre tipi di capitale: fisico, umano e sociale. Come gli altri due il capitale sociale è produttivo e non fungibile, questo significa che i risultati ottenibili attraverso il suo utilizzo sono maggiori di quelli in assenza e che non è sostituibile con altri. L’elemento che invece lo differenzia è “il luogo in cui risiede”, infatti “il capitale sociale si inserisce nella struttura delle relazioni tra gli attori” (Ibidem), a differenza del capitale fisico, che è rappresentato dagli elementi fisici e tangibili, e di quello umano che invece si trova nel soggetto.

Diversi autori hanno ripreso quanto scritto da Coleman J, cercando di esplicitarne alcune caratteristiche, secondo Mutti:

“Il capitale sociale consta di relazioni fiduciarie (forti e deboli, variamente estese e interconnesse) atte a favorire, tra i partecipanti, la capacità di riconoscersi e intendersi, di scambiarsi informazioni, di aiutarsi reciprocamente e di cooperare a fini comuni. Si

21 Per approfondimenti si rimanda all’articolo, nel quale gli autori mappano le differenze fra i vari approcci al capitale sociale individuati in letteratura. Lo schema che usano per sintetizzarli si estende su tre assi: dei contenuti, della struttura e dei livelli di aggregazione sociale.

Ambra Ilaria Cincotti “L’Economia di solidarietà. Il Fattore C studiato attraverso la Social Network Analysis” Tesi di Dottorato in Scienze Politiche e Sociali -XXIX Ciclo-Università degli Studi di Sassari.

49

tratta, dunque, di relazioni di reciprocità informali o formali, regolate da norme che definiscono, in modo più o meno flessibile, la forma, i contenuti e i confini degli scambi, e che sono rese efficaci da sanzioni di tipo interno o esterno all’individuo. Questa rete di relazioni è il prodotto, intenzionale o inintenzionale, di strategie di investimento sociale orientate alla costituzione e riproduzione di relazioni sociali utilizzabili nel tempo, cioè di relazioni durevoli e utili atte a procurare profitti materiali e simbolici” (Mutti 1998 p. 13).

Questa definizione, unita agli studi di altri autori, ci permette di chiarire dei punti importanti. In primo luogo non tutte le relazioni sociali formano capitale sociale, tra esse bisogna identificare quelle di reciprocità. Questo tipo di relazioni hanno delle caratteristiche peculiari: sono reiterate nel tempo, si basano su una conoscenza reciproca forte, hanno dei contenuti specifici che sono sia di tipo cognitivo, quindi attraverso la rete si trasmettono informazioni e conoscenze, sia di tipo normativo, come la fiducia. Queste relazioni richiedono continui investimenti, che afferiscono alla sfera della socialità, non sempre quantificabili in termini economici. L’investimento è il frutto di una scelta razionale; l’attore sociale spera di trarre un profitto materiale o simbolico dall’azione che sta intraprendendo, “social interdipendence and systemic functioning

arise from the fact that actors have interests in events that are fully or partially under the control of other actors” (Coleman 1990 p. 300).

L’attore individuale o collettivo si trova così, grazie alla propria rete di relazioni, ad avere una maggiore capacità d’azione. “Ci troviamo di fronte, dunque, a un capitale che è sociale perché, a differenza del capitale privato, ha la natura di bene pubblico: le persone che sostengono attivamente e rafforzano queste strutture di reciprocità producono infatti benefici non solo per sé, ma anche per tutti gli individui che fanno parte di tali strutture” (Mutti 1998 p. 13).

Il concetto di capitale sociale è stato ampiamente utilizzato nella riflessione sullo sviluppo economico, accanto agli studi che analizzano la sua capacità di produrre esternalità positive, quali ad esempio la circolazione di informazioni, la riduzione dei costi di transazione e dei comportamenti opportunistici; si stanno facendo spazio altri che ne considerano gli aspetti negativi. Come sottolinea Bottazzi (2013):

“Il capitale sociale può svolgere funzioni perverse, come avviene, ad esempio, nelle organizzazioni criminali di tipo mafioso, in senso lato, o nelle sette, nelle quali vi è sicuramente un denso reticolo di relazioni, che forse crea qualche beneficio per chi si

Ambra Ilaria Cincotti “L’Economia di solidarietà. Il Fattore C studiato attraverso la Social Network Analysis” Tesi di Dottorato in Scienze Politiche e Sociali -XXIX Ciclo-Università degli Studi di Sassari.

50

trova dentro questo reticolo, ma che non può certamente essere considerato un bene per la collettività nel suo complesso. Più in generale, si può osservare che le comunità molto chiuse, [..] esercitano un controllo sociale occhiuto che come minimo ostacola l’innovazione e le trasformazioni socio-economiche così importanti per la crescita e lo sviluppo” (Ivi p. 42).

Le ricerche più recenti hanno messo in evidenza che esistono due tipi di capitale sociale: uno nel quale prevalgono i legami di tipo verticale, tipico delle relazioni clientelari, denominato bonding, proprio perché la sua caratteristica principale è quella di costituirsi come vincolo, per i soggetti coinvolti. Il secondo tipo invece, chiamato bridging, vede una prevalenza di rapporti orizzontali, che creano ponti tra i soggetti; quest’ultimo è “buono per lo sviluppo” (Ibidem). Spesso questi due tipi di capitale sociale coesistono all’interno delle specifiche realtà, la prevalenza dell’uno o dell’altro ha effetti diversi sui livelli di sviluppo perseguibili.

Si nota nella definizione del capitale sociale bridging una certa affinità con il concetto di Fattore C, dal momento che, in entrambi i casi si hanno degli effetti positivi sia sugli individui che sulle imprese coinvolte e le società nelle quali sono inserite.

Tuttavia, Razeto li mantiene distinti, poiché essi appartengono a due costruzioni teoriche diverse; dal momento che nella tesi si è adottato il quadro teorico dell’EdS, si farà riferimento al concetto di Fattore C.