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1.2 L’Economia di solidarietà come realtà

1.2.1 L’ Economia popolare

Razeto definisce - economia popolare (E. P.) - le iniziative economiche intraprese dalle persone escluse dal circuito formale: l’economia statale e la capitalista; l’esclusione deriva da un mancato accesso a posizioni lavorative nei due settori, o in seguito a un licenziamento. Altri autori per descrivere lo stesso fenomeno utilizzano l’espressione economia informale14.

L’autore contesta apertamente questo concetto, perché lo ritiene: inadeguato, peggiorativo e falso; e specifica:

“È un’economia che ha forma, strutture, che si è data un’organizzazione ed è stata capace di costruire reti e legami. È un’economia che ha delle forme, che sebbene a volte non sono né istituzionalizzate, né legalizzate sono vive e ne determinano il consolidamento e il potenziamento. In questo modo: informale, ossia carente di forma, (il settore popolare) lo è sempre meno. L’uso del termine informale alludeva a due aspetti: da un lato al fatto che queste organizzazioni non avevano un riconoscimento giuridico, non erano legalizzate; dall’altro rimandava al non essere inserite nella contabilità nazionale e pertanto rimanevano fuori dall’economia ufficiale. Anche rispetto a questi due aspetti, una gran parte del mondo delle iniziative economiche create dagli esclusi, al giorno d’oggi non meriterebbero questo titoli (economia informale) perché sono già state riconosciute, hanno una struttura giuridica, inoltre è talmente importante e vistosa la loro presenza, che sono stati fatti sforzi per contabilizzare le loro attività, includendole nei bilancio nazionale, per considerare il loro apporto al PIL. Al giorno d’oggi tutti i paesi hanno incorporato, ai loro modelli statistici, queste realtà”(Razeto 2015c)15.

14 Da quanto si è potuto constatare, c’è un uso diverso dei termini in ambito europeo e latinoamericano. In Europa l’economia informale è legata a rapporti di reciprocità, mentre quella che esula dal bilancio pubblico, il cosiddetto “nero” viene definita economia sommersa. In America latina il termine abbraccia entrambi questi aspetti.

15 Passaggio tratto dai working papers della “Cátedra Latinoamericana de Economia Solidaria”, unità 3 p. 5, www. uvirtual.net

Ambra Ilaria Cincotti “L’Economia di solidarietà. Il Fattore C studiato attraverso la Social Network Analysis” Tesi di Dottorato in Scienze Politiche e Sociali -XXIX Ciclo-Università degli Studi di Sassari.

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L’economia informale ha suscitato l’interesse di molti studiosi, che hanno cercato di spiegare le ragioni della sua nascita e diffusione a partire da quadri teorici diversi. Razeto, prima di presentare la propria, ripercorre le cinque teorie più diffuse per le quali è valida l’espressione economia informale:

1. È una forma di sopravvivenza/sussistenza.

Coloro che si riconoscono in questa visione, considerano l’economia informale un’esperienza transitoria, ritenendo il settore capitalista e statale capaci di riassorbire, nel corso del tempo, la mano d’opera estromessa o esclusa dal processo produttivo. Di conseguenza, questa economia risulta essere una risposta temporanea alla carenza di lavoro.

2. È un settore informale urbano.

Gli autori che confluiscono in questa corrente (CEPAL), spiegano l’economia informale a partire dall’approccio dualistico allo sviluppo; essi ritengono che in America Latina sia caratterizzata da un dualismo strutturale: da un lato il settore tradizionale tipico delle aree rurali, dall’altro il moderno, localizzato in città. Analizzando le esperienze di economia informale si resero conto che, si stava dando un pluralismo strutturale, dal momento che esse non rientravano nella categorizzazione precedente. Non erano tradizionali, perché prendevano avvio prevalentemente in città, ma non era neppure moderno, per questo decisero di denominarlo: settore informale urbano.

“È un’economia anticiclica perché, nei cicli recessivi (di quella moderna) cresce in numero di iniziative (i disoccupati del settore moderno iniziano delle attività nuove, per garantirsi la sopravvivenza), e nei cicli espansivi cresce in vendite (i lavoratori del settore moderno fanno gli acquisti nel settore informale, investendo così il loro salario); in questo modo si genera un processo di consolidamento di quelle iniziate iniziative popolari che riescono a “governare” la ciclicità” (Ibidem).

3. È un’espressione dello spirito capitalista.

Hernan de Soto analizzando il contesto latinoamericano ritiene che, il settore capitalista insieme a quello statale, invece di aprirsi alla libera concorrenza hanno fatto in modo di creare un mercato oligopolistico, quando non monopolistico. Lo stato ha partecipato in questo, creando dei meccanismi burocratici complessi, al fine di disincentivare la libera

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iniziativa economica. In tutta risposta, le persone dei settori popolari, animate da un vero spirito capitalista e dal desiderio di fare impresa, hanno dato avvio alle iniziative popolari.

“Da questa economia informale, nella quale lo stato non partecipa e che è realmente competitiva- dice de Soto - possiamo sperare che sorgano il vero sviluppo e il vero capitalismo in America Latina, dal momento che l’economia informale è una espressione genuina del capitalismo di libera concorrenza” (Ibidem).

4. È funzionale al capitalismo.

Nella quarta corrente entrano gli autori di impostazione marxista. Vedono queste iniziative economiche come espressioni dell’ “esercito industriale di riserva” e della “sovrappopolazione relativa”. Secondo questa teoria le iniziative economiche popolari sono funzionali al capitalismo, perché permettono alle persone escluse dal sistema di sopravvivere e questo da un lato seda eventuali intenti rivoluzionari; dall’altro fa in modo che non manchi un’ampia fascia di mano d’opera che può essere contrattata a basso costo, senza che pretenda salari più elevati.

5. È un processo di “aggiustamento” alla globalizzazione.

La competizione globalizzata ha provocato effetti negativi sulle grandi imprese. Esse, in precedenza potevano contare su forti economie di scale, che permettevano loro di ottenere guadagni. Con il processo di globalizzazione, invece, si è reso necessario snellire la struttura delle imprese, per questo sono stati licenziati molti lavoratori ed esternalizzate alcune parti della produzione. I lavoratori licenziati, essendo comunque altamente specializzati, hanno creato delle microimprese, che si occupano di produrre i beni che le grandi hanno avuto bisogno di esternalizzare. L’economia informale è nata quindi dal processo di aggiustamento del mercato.

L’elemento che accomuna queste impostazioni teoriche, è il considerare l’economia informale in relazione/opposizione al settore formale capitalista e statale; l’innovazione presentata dalla proposta di Razeto, è analizzare le iniziative – popolari e non informali- a partire dai soggetti che le integrano. Quali sono le possibilità che hanno davanti le persone emarginate, per potersi procurare i redditi sufficienti, se non altro, alla loro sopravvivenza?

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Razeto (2015c) individua cinque possibili azioni:

a) Associarsi ad altre persone nella medesima situazione, questo porta alla nascita delle organizzazioni di economia popolare (OEP)16.

b) Cercare sostegno nella famiglia, che unendo le capacità dei suoi membri riesce a superare le difficoltà di sussistenza.

c) Iniziare un’impresa individuale, mettendo a frutto le proprie conoscenze e idee. d) Richiedere assistenza allo stato, questa opzione è per coloro che sentono di non

disporre delle competenze, né del sostegno sufficiente all’interno del proprio nucleo familiare.

e) Entrare nell’illegalità, anch’essa è parte delle opzioni che si trovano davanti i settori popolari.

16 Le OEP hanno dieci caratteristiche distintive: “1. Si sviluppano nei settori popolari. 2. Sono esperienze associative, non di massa, ma personalizzate i cui membri si riconoscono nella loro individualità. 3. Sono forme di organizzazione nel senso tecnico della parola. Hanno obiettivi precisi, organizzano razionalmente le risorse, e i mezzi per raggiungerli, programmano attività definite nel tempo, stabiliscono procedure per l’adozione di decisioni. 4. Sono organizzazioni dal chiaro contenuto economico. [..] Le si può riconoscere come autentiche unità economiche, anche se estendono la loro attività verso altre dimensioni della vita sociale. 5. Non hanno carattere rivendicativo, cercano di risolvere i loro problemi attraverso l’aiuto reciproco. 6. Sono iniziative che implicano relazioni e valori solidale, nel senso che le persone instaurano legami di collaborazione, di cooperazione nel lavoro, di responsabilizzazione solidale. La solidarietà si costituisce come elemento essenziale della via delle organizzazioni, nel senso che il raggiungimento degli obiettivi dipende in gran parte dal senso di cooperazione, di fiducia e di senso di comunità che coloro che ne fanno parte riescono a instaurare. 7. Sono organizzazioni che vogliono essere partecipative, democratiche, autogestite e autonome. 8. Tendono a essere integrali, [..] combinano le loro attività economiche con altre di tipo sociale, educativo, di sviluppo personale e di gruppo, di solidarietà e spesso di azione politica e di partecipazione religiosa. 9. Sono iniziative in cui si vuole essere diversi e alternativi rispetto alle forme organizzative predominanti e apportare un cambiamento sociale nella prospettiva di una società migliore o più giusta. [..] l’intenzione di adottare da subito e su piccola scala i valori che si aspira a diffondere o instaurare a livello di società globale. 10. Sono organizzazioni che cercano di superare l’emarginazione e l’isolamento, collegandosi tra loro in modo orizzontale, dando vita a coordinamenti e reti che permettano loro di porsi obiettivi di maggiori dimensioni. Allo stesso modo, cercano attivamente la collaborazione delle istituzioni non governative che offrono servizi di formazione, assistenza tecnica e sostegno, o di istituzioni pubbliche e comunali quando esse si aprono a esperienze comunitarie” (Razeto 2003 pp. 33-35).

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Le possibilità sopradescritte sono la prima riga della tabella che segue: Figura 2 La struttura dell'Economia Popolare.

Livelli di sviluppo/

organizzazioni Associazioni Lavoro Famigliare Lavoro Individuale Assistenza Illegalità Sviluppo

Sussistenza Sopravvivenza

Fonte: Ibidem.

Nella prima colonna della tabella invece sono riportati i tre possibili risultati ottenibili da queste attività, partendo dal livello più basso troviamo la sopravvivenza. Essa caratterizza quelle esperienze che, con difficoltà riescono a mantenere in vita le persone coinvolte. Il secondo è la sussistenza: riunisce quelle che riescono a soddisfare le necessità primarie, ma nelle quali non si creano le condizioni di accumulazione, che garantiscano loro una crescita nel tempo. Infine, il livello dello sviluppo è raggiunto dalle iniziative che, oltre a soddisfare le necessità primarie, sono capaci di produrre dei guadagni eccedenti, grazie ai quali si può migliorare il processo produttivo e ampliare i mercati.

È possibile compilare le varie caselle della figura 2, con esperienze concrete di economia popolare. Dalla ricerca condotta da Marthe Nyssen a Santiago, si possono trarre alcuni esempi: i gruppi di acquisto sono esperienze associative (prima colonna) di sussistenza (ultima riga); o ancora i piccoli negozi -a gestione famigliare- sono forme di lavoro famigliare (seconda colonna) di sussistenza (seconda riga) (Nyssen 1994, 1997; Larraechea Nyssen 1994).

L’ultima osservazione riguarda il quadrato evidenziato in giallo, secondo Razeto solo le strutture associative e famigliari, capaci di sussistenza e sviluppo, entrano a pieno titolo all’interno dell’economia di solidarietà. Questo perché esse sono iniziative economiche che traggono ispirazione e sono fondate sulla solidarietà tra i membri che le compongono, oltre ad avere un certo grado di efficienza17, che permette loro di

17 Il tema dell’efficienza è centrale nella costruzione dell’economia “tradizionale”, secondo Razeto esso è ancora più decisivo nell’economia di solidarietà perché la mancata efficienza corrisponde ad un uso non ottimale dei fattori impiegati nel processo produttivo, e ne consegue ingiustizia. All’interno

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mantenersi nel tempo. L’autore definisce la parte dell’economia popolare che rientra nell’EdS: economia popolare della solidarietà.

Questa precisazione permette di sottolineare tre peculiarità della costruzione di Razeto: l’avversione al termine informale. La differenza sul piano teorico, tra la sua proposta di economia solidale e quella ad esempio di Laville (1998); secondo l’autore francese, essa coincide con il settore informale (caratterizzato da transazioni non monetarie e legami di reciprocità), mentre Razeto riconosce che solo una parte del settore popolare è economia solidale. Infine è possibile intravedere anche una “ differenza di pratiche” tra i due continenti. La ricostruzione di Guerra (2014) ha evidenziato che in Francia, la pratica dell’economia solidale è quella dei servizi di prossimità, e delle esperienze ibride, in cui interviene lo stato; in linea con le concezioni di stato sociale e di welfare. Nella costruzione di Razeto invece, la componente “assistenziale” non è considerata, proprio perché, come ha specificato ripercorrendo l’evoluzione del concetto di solidarietà, non è a questa accezione del termine che vuole fare riferimento, quanto piuttosto alle relazioni orizzontali tra pari.