• Non ci sono risultati.

Fattori che pregiudicano la relazione educativa

Nel documento LA RELAZIONE EDUCATIVA NELL’ESPERIENZA (pagine 184-192)

LA RELAZIONE EDUCATIVA TRA NORMATIVA UFFICIALE

TRA SFIDE E PROSPETTIVE EMERGENTI

1. Fattori che pregiudicano la relazione educativa

In questo paragrafo, analizzando la documentazione relativa al Capi-tolo generale VII (1913), si focalizzano le problematiche emergenti a li-vello di relazione educativa all’interno delle comunità delle FMA. Le stesse questioni ritornano nei Capitoli successivi e, dall’attenta lettura delle fonti, non è difficile individuare i ritardi nell’affrontarle, contem-poraneamente all’impegno determinato e costante da parte dei superiori e delle superiore, di offrire delle linee programmatiche per superare e risolvere esperienze conflittuali e pedagogicamente critiche.

1.1. L’inadeguata “direzione familiare” nelle comunità delle FMA

È possibile farsi un’idea della reale situazione delle comunità e dello stile di vita e di relazioni interpersonali nel primo decennio del Nove-cento dalla consultazione dei Verbali delle adunanze straordinarie che si tengono nell’agosto del 1912 a Nizza Monferrato in preparazione al Ca-pitolo generale VII alle quali partecipano le Ispettrici d’Europa accom-pagnate da una FMA del Consiglio ispettoriale. In tali assemblee si

evi-denziano problemi relativi alla mancanza di formazione delle educatrici in genere,4 e delle superiori locali in particolare. Queste ultime trascu-rano soprattutto l’ascolto “amorevole” delle suore sminuendo in tal mo-do la “direzione familiare” tipica delle case salesiane.5 Il problema in questione, se non tocca direttamente la relazione delle educatrici con le ragazze del collegio, ha tuttavia una sua ricaduta sulla formazione delle alunne. Infatti, per il compito di animazione e di guida delle FMA e del-le opere gestite dalla comunità, che compete alla superiora, questa deve avere una consistente formazione “relazionale”, pena il compromettere il suo rapporto con le consorelle e, di conseguenza, quello delle educa-trici con le ragazze perché mancherà ad esse la necessaria serenità per adempiere la missione che è loro affidata. Non solo: se ad una direttrice viene meno la confidenza delle suore, le sarà più difficile ottenerla dalle educande e quindi svolgere adeguatamente il suo ruolo di guida e di ac-compagnamento della loro crescita.

Inoltre, la «mancanza di cure delicate e materne delle direttrici verso le suore» è segnalata come una delle «cause della rilassatezza nella voca-zione e poi delle defezioni che talvolta si deplorano».6 Dalla mancanza di una buona comunicazione con la superiora la vita religiosa delle FMA

4 L’inadeguata formazione del personale è anche causata dall’impiego nelle case delle novizie del secondo anno ivi mandate per sopperire alla mancanza di educatri-ci; inoltre, il continuo aumento delle richieste di apertura di nuove case e la conse-guente necessità di animatrici rendono difficile una selezione ponderata, per cui al-cune FMA non sono preparate al ruolo che devono svolgere. Infine, non essendoci in alcune comunità un’adeguata distribuzione delle occupazioni, risulta impossibile per le FMA, sovraccariche di lavoro, essere fedeli all’orario compromettendo così, per certi aspetti, l’osservanza della regola e delle consuetudini religiose (cf Estratto dei Verbali delle Adunanze straordinarie tenutesi in Nizza Monferrato, Agosto 1912, in AGFMA 11-7 101, ms.).

5 Lo stile “familiare”, che si vive all’interno della comunità, deve anche informa-re la missione educativa. Nella circolainforma-re del 24 aprile 1916, madinforma-re Marina Coppa, esorta le direttrici e le maestre d’asilo ad impegnarsi a dare «al loro insegnamento quella forma famigliare, che le mette in grado di conoscere meglio i bambini. Tale forma è appunto quella che con tutti i mezzi: lavoro, gioco, vita all’aperto, passeg-giate e conversazioni, mira con efficacia e diletto all’educazione morale, sociale, in-tellettuale del bambino, come al suo sviluppo fisico, dando i migliori risultati» (COP

-PA Marina, LC del 24 aprile 1916, n° 17). Questo “stile” educativo è anche codifica-to, ad esempio, nei Regolamenti e Programmi per Giardini d’Infanzia del 1912, edi-zione che sostanzialmente ricalca quella precedente del 1885 (cf Regolamenti e Pro-grammi per gli Oratori festivi e per i giardini d’infanzia, Torino, Tip. Silvestrelli e Cappelletto 1912).

6 Estratto dei Verbali, in AGFMA 11-7 101.

Cap. I: La relazione educativa tra sfide e prospettive emergenti 185 subisce un arresto qualitativo così che anche l’affidabilità delle educatri-ci ne risulta compromessa. Il compito prineducatri-cipale delle direttrieducatri-ci invece dovrebbe essere quello di modellare la loro azione «sulla bontà, pazien-za, carità longanime del Ven.le Fondatore pe’ suoi figli; tenere regolar-mente le conferenze prescritte e dare comodità alle suore di parlarle spesso».7 Le osservazioni critiche di alcune FMA pervenute al Capitolo confermano il dato, come si legge nel Verbali dell’assemblea capitolare:

«Talora le direttrici non si mostrano veramente madri con le suore, ma le trattano quasi fossero persone salariate; le suore chiudono il cuore alla confi-denza e al figliale abbandono e si inaspriscono. Se invece le Superiore o Diret-trici si mostrassero affabili, benevole, santamente materne nel prevenire e se-condare i giusti bisogni delle loro dipendenti, queste sarebbero docili; confiden-ti; vivrebbero contente e liete e quando si ha il cuore contento ordinariamente si è anche buone».8

La qualità educativa delle FMA, e di conseguenza la loro miglior predisposizione a relazioni familiari con le ragazze, dipende anche dal modo con cui le superiore si relazionano nei loro confronti. Si nota inol-tre che, tra gli articoli delle Costituzioni che risultano più disattesi, vi è quello che esorta le suore a considerare le loro superiore come altrettan-te “madri affettuose” e le superiore ad essere “veramenaltrettan-te tali”.9 La com-missione precapitolare deplora che si abbiano “lagnanze” su questo ar-ticolo che costituisce la base delle relazioni comunitarie, ed esprime la preoccupazione che la perdita dello stile semplice e familiare nei rap-porti tra le religiose incida negativamente nei processi educativi.

Le Consigliere generali confermano i rilievi critici evidenziati. Madre Daghero, ad esempio, ribadisce che le suore devono essere libere di esprimersi con sincerità e che le superiore sono tenute ad accogliere le consorelle con stima e rispetto. Le ispettrici cerchino perciò «d’impri-mere la sincerità e la rettitudine nelle suore perché ormai s’infiltra l’idea

7 L. cit. Queste sottolineature acquistano ulteriore rilievo se si considerano nel contesto della diffusa ideologia fascista secondo cui l’autorità è prevalentemente im-positiva e rigida. La direttrice della comunità salesiana deve invece contrapporsi a questo modello sociale (cf TOMASI, Idealismo e fascismo nella scuola italiana, Firen-ze, La Nuova Italia 19722, 129).

8 Estratto dei Verbali, in AGFMA 11-7 103.

9 Cf Costituzioni (1906) 57. È interessante notare che l’inosservanza delle FMA è riferita ad uno dei pochi articoli che nelle Costituzioni del 1906 contengono un rife-rimento salesiano. Segno che gli elementi più carenti erano relativi all’applicazione del “sistema preventivo”.

che per entrare nelle grazie della superiora ci vogliano storie o moine».10 La mancanza di spontaneità, rettitudine e trasparenza nei rapporti è considerata preoccupante per le FMA in quanto nuoce all’autentica ap-plicazione del sistema educativo di don Bosco e di Maria Domenica Mazzarello, i quali si caratterizzavano per la paternità e la maternità che apre i cuori alla fiducia.11

Il Rettor Maggiore, don Paolo Albera, intervenendo nelle discussio-ni, da un lato sdrammatizza il problema esortando a non prendere alla lettera tutte le critiche che giungono al Capitolo; non è difficile, infatti, che siano talvolta effetto di risentimenti personali.12 Dall’altro, egli in-terpreta certi interventi forti ed esigenti da parte di alcune superiore come forme di insicurezza, di intransigenza, di presunta ricerca di per-fezione nei confronti della suora che intendono correggere. Non va di-menticato che il “rimedio” inopportuno, invece di guarire il male, lo inasprisce e così il cuore della suora si chiude pensando che la superiora manchi di stima e di fiducia verso di lei. Don Albera conclude esempli-ficando sul come “guadagnare” la fiducia delle consorelle:

«Linguaggio caritatevole, adunque sempre, così proprio alla Salesiana, cioè, proprio secondo gli insegnamenti di S. Francesco di Sales e di Don Bosco. Inol-tre fiducia nelle vosInol-tre Sorelle; fa tanto del bene la fiducia: era il gran mezzo col quale Don Bosco si guadagnava i cuori. Ma per questo occorre conservare pie-no dominio di tutti pie-noi stessi massime nelle contrarietà. […] Infine farsi amare;

farsi amare come si faceva amare Don Bosco anche dai più cattivelli. Esercitare l’autorità con quella dolcezza e amabilità che è effetto di pietà vera, che è frutto di buona educazione. Una persona delicata dirà la stessa cosa che dice un’altra, ma senza far pena, senza inasprire. Farsi amare; farsi amare più che farsi temere.

Vuoi farti temere? Diceva don Bosco, fatti amare! Potessimo anche ottenere meglio col timore, non dobbiamo usarlo. Lo comprendo; a volte le Superiore timide sono più vivaci, più risentite nel loro dire. Succede che non osano fare un’osservazione; ne conservano pena per molto tempo; finché poi viene il mo-mento in cui non ne possono più e dicono senza ritegno. No; vincere la timidi-tà, dare a suo tempo gli avvisi che van dati; ma a qualunque costo, dolcezza sempre, parlare sempre secondo lo spirito di don Bosco, secondo lo spirito di N.S. Gesù Cristo».13

10 Estratto dei Verbali, in AGFMA 11-7 105.

11 Nella prima parte di questo lavoro, dedicata ai Fondatori, si è presentato con abbondanza di documentazione lo stile di autorità ispirato al modello della paternità e maternità spirituale assunto da Giovanni Bosco e da Maria Domenica Mazzarello sia nelle relazioni con i giovani e le giovani, sia con i Salesiani e le FMA.

12 Cf Capitolo Generale VII, in AGFMA 11-7 122.

13 L. cit.

Cap. I: La relazione educativa tra sfide e prospettive emergenti 187 La capacità della superiora di entrare in relazione con le persone con amorevolezza, dimostrando cioè fiducia, accoglienza, comprensione, fa-vorisce la convergenza educativa nell’ambiente. Tale corrispondenza si fonda sulla stima reciproca assimilata quasi per osmosi dal clima relazio-nale che s’instaura tra la direttrice e le sue più dirette collaboratrici nel-l’animazione della comunità.

Al contrario, il modello educativo che accentua con rigidezza i ruoli distanzia le persone, provoca il formalismo e ha come naturale conse-guenza la perdita della fiducia reciproca. Tra superiore e suddite s’insi-nua il dubbio di non essere accolte e comprese e ne consegue una certa freddezza dei rapporti.

La “previsione” di possibili degenerazioni di questo comportamento trova conferma nei Capitoli generali successivi durante i quali si tratta di alcune esperienze caratteristiche della vita del collegio e della necessità che queste vengano improntate allo stile relazionale tipicamente salesia-no fatto di cordialità e di armonizzazione dei diversi ruoli.

1.2. La mancanza di qualità relazionali nelle direttrici dei convitti

Durante le adunanze capitolari la riflessione e la verifica vertono an-che sui pensionati per studenti di scuole pubblian-che e sui convitti per giovani operaie, istituzioni finalizzate alla formazione integrale delle gio-vani e al loro inserimento nella società industrializzata.14 Le FMA si

14 Ivi, in AGFMA 11-7 105 e cf LOPARCO, Le FMA nei convitti per operaie, in ID., Le figlie di Maria Ausiliatrice 545-588. Il processo d’industrializzazione che ri-chiedeva anche mano d’opera femminile spingeva ragazze appena adolescenti a spo-starsi dalle regioni di residenza verso le grandi fabbriche, venendosi così a trovare in situazioni a rischio. Spesso erano costrette a vivere in ambienti poco sicuri sia dal punto di vista della prevenzione degli infortuni, sia dal punto di vista morale. Inter-pellate dai bisogni di queste giovani, le FMA aprono il primo convitto per operaie nel 1897 presso Cannero sul lago Maggiore. Già nel 1889, esse avevano prestato l’as-sistenza sul lavoro alle giovani operaie addette alla Cartiera salesiana di Mathi. Il convitto di Cannero, affiancato ad una fabbrica di spazzole e pennelli, fu voluto dal-lo stesso principale Aristide Quattrini. Le FMA erano richieste di assistere le ragaz-ze quattordicenni. Direttrice del primo convitto fu suor Clelia Guglielminotti, figlia di un industriale biellese e quindi con una certa conoscenza del mondo del lavoro, oltre che competente educatrice. Le convittrici erano costrette a undici ore di lavoro giornaliero, con disciplina rigida e scarso salario. Il convitto si presentò loro come una “famiglia” nella quale trovare aiuto, comprensione e formazione religiosa. L’e-sperienza del convitto di Cannero si chiuse nel novembre del 1905, ma nel triennio

chiedono come far sì che tali opere non siano un “semplice albergo”, ma una “casa di educazione”.15 La commissione che sintetizza le rispo-ste al quesito mette in luce anzitutto la necessità che nei pensionati per studenti siano presenti FMA che possiedano competenza adeguata ed esperienza educativa. Esse, infatti, devono venire a contatto con pro-blemi non solo legati ad aspetti disciplinari, ma soprattutto inerenti alla maturazione psicologica delle giovani.

Dalla relazione, al contrario, si percepisce che un atteggiamento troppo diffidente e sospettoso da parte di alcune direttrici nei confronti delle convittrici provoca la chiusura delle giovani alla comunicazione educativa. I problemi sono di natura relazionale perché si raccolgono at-torno alla mentalità piuttosto chiusa, al tratto non sempre amorevole e ad interventi eccessivamente autoritari. Ciò compromette la relazione al punto che le ragazze si allontanano dalle suore ricorrendo a comporta-menti formali e diffidenti.16 Nelle risposte emerge il quadro ideale della direttrice, che deve essere:

«Saggia, di cuor grande, di mente illuminata, di tratto soave e materno e ca-rattere forte ad un tempo. A lei tutte le pensioniste sentano di poter ricorrere per un consiglio, uno schiarimento, una guida; sicure di non impressionarla

1898-1900 se ne aprì un altro a Fouquières nell’Artois, vicino al passo di Calais. In alcuni convitti, annessi a grandi stabilimenti di filatura e tessitura, con centinaia di convittrici, le suore ebbero anche il compito dell’assistenza sul lavoro (cf CAPETTI, Il cammino dell’Istituto nel corso di un secolo II, Roma, Istituto FMA 83-84.135). L’ac-cettazione di queste opere, la cui domanda andava sempre più aumentando, fu an-che incoraggiata dal Rettor Maggiore don Mian-chele Rua il quale scriveva a madre Daghero: «Da quanto mi dite mi convinco sempre più essere una missione che il Si-gnore si degna affidare alle Figlie di Maria Ausiliatrice l’assistenza a Case operaie.

Per quanto potete non rifiutate l’offerta» (Lettera di don Rua a madre Daghero, To-rino 21 luglio 1901, in AGFMA 412.1 01-1-06, ms. aut.).

15 Il quesito posto all’attenzione delle FMA è il seguente: «I pensionati per stu-denti ed i convitti per giovani operaie non sono, nel concetto e nel desiderio nostro, un semplice albergo, ma una casa di educazione; come fare, dunque, perché le une e le altre non abbiano a risentire danni dalla scuola e dall’opificio; e tutte abbiano ad essere santamente educate nella testa e nel cuore, nei buoni principii e nelle buone pratiche religiose, nell’operosità e nella pietà?» (Materie da trattarsi nel VII Capitolo Generale delle FMA Settembre 1913, in AGFMA 11-7 121, ms.). Membri della com-missione che si occupa di questo argomento sono suor Marchelli Giuseppina (presi-dente), suor Guglielminotti Clelia (relatrice), suor Piretta Alessina, suor Promis Maddalena, suor Turini Maria e suor Bonetti Pierina.

16 Cf Risposta all’ottavo quesito, in Materie da trattarsi nel VII Capitolo, in AGFMA 11-7 122.

Cap. I: La relazione educativa tra sfide e prospettive emergenti 189 mai, né importunarla, né stancarla; certe di averne profitto e giovamento per il loro spirito, per i loro studii, per i loro bisogni materiali».17

La direttrice del Convitto è a sua volta coadiuvata da altre educatrici, in particolare le assistenti: «Anch’esse sollecite e pronte al sacrificio, prudenti gioviali e dignitose; che, più coll’esempio che colla parola, sap-piano dare alle pensioniste ciò che queste dovranno poi trasmettere nel-le future alunne e che di tutto facciano Capo e Centro nella Direttri-ce».18 Solo in tal modo, costatano le capitolari, si otterranno risultati educativi, si avrà cioè «una gioventù franca, leale, semplice ed aperta, fra cui gettare il santo fermento della virtù e della pietà cristiana».19

Il tono alquanto pessimistico della relatrice amplifica forse le que-stioni pratiche legate all’organizzazione disciplinare e allo stile educativo dei convitti. Tuttavia, dall’analisi della fonte si deduce che il presuppo-sto perché i convitti non siano “semplici alberghi” ma vere “case di edu-cazione” è il clima relazionale sereno, familiare, spontaneo in modo da favorire la fiducia reciproca tra educatrici e giovani. Per garantire que-sto clima si richiedono anzitutto la comprensione e l’apertura nei con-fronti dei problemi di queste giovani.

La competenza dell’educatrice non dipende quindi dalla semplice

“buona condotta religiosa” e dall’osservanza di un regolamento, anzi, se questa cede all’intransigenza eccessiva, può risultare controproducente perché irrigidisce le relazioni e ostacola il dialogo tra l’educatrice e la gio-vane. In tal modo i rispettivi “mondi” culturali ed affettivi dei partner si distanziano sempre più impedendo quella sintonia che è il necessario hu-mus nel quale nascono e crescono relazioni reciprocamente arricchenti.20

La confidenza ottenuta diventa perciò la mediazione privilegiata per la trasmissione dei valori, finalità ultima dell’educazione. In particolare si ottiene di “impedire” la diffusione delle letture diseducative circolanti

17 L. cit.

18 L. cit.

19 L. cit.

20 Il rimando, anche se implicito, è ancora al “sistema preventivo” di don Bosco:

«Senza familiarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità. […] Chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto specialmen-te dai giovani. Questa confidenza metspecialmen-te una correnspecialmen-te elettrica fra i giovani ed i Su-periori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti»

(BOSCO, Due lettere in DBE 384-385).

nelle scuole pubbliche “paralizzandone gli effetti”.21 È da notare che l’orientamento educativo del tempo è antimodernista, rivolto alla difesa del patrimonio educativo ispirato alla fede cattolica e piuttosto chiuso ai cambiamenti e alle novità, visti principalmente come provenienti da una cultura anticlericale. Il bagaglio di esperienze maturate lungo i secoli, la ricca tradizione educativa delle Congregazioni rappresentano per i cri-stiani un patrimonio di santità e sapienza capace di rispondere in ogni tempo e luogo alle esigenze pratiche senza dover ricorrere alle teorie e ai metodi della pedagogia moderna spesso visti con sospetto.22

La capacità di empatia nei confronti del vissuto delle giovani è requi-sito ancor più necessario per le educatrici preposte ai convitti per le operaie. I problemi di queste giovani, infatti, causati dal rapporto con i datori di lavoro e dall’inserimento nel difficile ambiente della fabbrica, richiedono alle educatrici la capacità di sintonizzarsi con le loro esigenze formative. L’esperienza sollecita le FMA ad essere donne ricche di pa-zienza e di maternità, con una mente aperta per comprendere i proble-mi di queste giovani la cui esistenza è spesso particolarmente faticosa e difficile.23 Il richiamo alle qualità educative delle educatrici evidenzia la necessità da parte delle FMA di formarsi una personalità matura nella quale si armonizzino la pazienza, lo zelo, lo spirito religioso, con le mo-dalità comunicative. Nell’interazione con le giovani l’educatrice è tanto

21 Cf Risposta all’ottavo quesito, in Materie da trattarsi nel VII Capitolo, in AGFMA 11-7 122.

22 Cf CHIOSSO, Novecento pedagogico, La Scuola, Brescia 1997, 182.

23 Cf Risposta all’ottavo quesito, in Materie da trattarsi nel VII Capitolo, in AGFMA 11-7 122. Rispetto a questa finalità educativa tipica dei convitti per ope-raie, la relatrice aggiunge: «Non basta più il guadagnare due soldi per essere soddi-sfatti di sé e della propria condizione; ma si fa ogni di’ più necessario un corredo di cognizioni teoriche, che rafforzino la fede, nobilitino il sentimento, facilitino il lavo-ro, economizzino ed assicurino il guadagno, aumentino l’efficacia del proprio sforzo fisico, migliorino le condizioni del focolare domestico, e mirino a fare dell’Operaia un essere, non solo strumento delle ricchezze altrui, ma soggetto intellettivo che ri-sponda, in qualche modo, ai doni di cui fu dalla Provvidenza fornito, e tragga dalla fatiche del braccio, la nobile soddisfazione della mente e del cuore. Dare all’operaio l’educazione è carità; dargli istruzione è giustizia; dargli l’una e l’altra col lavoro

23 Cf Risposta all’ottavo quesito, in Materie da trattarsi nel VII Capitolo, in AGFMA 11-7 122. Rispetto a questa finalità educativa tipica dei convitti per ope-raie, la relatrice aggiunge: «Non basta più il guadagnare due soldi per essere soddi-sfatti di sé e della propria condizione; ma si fa ogni di’ più necessario un corredo di cognizioni teoriche, che rafforzino la fede, nobilitino il sentimento, facilitino il lavo-ro, economizzino ed assicurino il guadagno, aumentino l’efficacia del proprio sforzo fisico, migliorino le condizioni del focolare domestico, e mirino a fare dell’Operaia un essere, non solo strumento delle ricchezze altrui, ma soggetto intellettivo che ri-sponda, in qualche modo, ai doni di cui fu dalla Provvidenza fornito, e tragga dalla fatiche del braccio, la nobile soddisfazione della mente e del cuore. Dare all’operaio l’educazione è carità; dargli istruzione è giustizia; dargli l’una e l’altra col lavoro

Nel documento LA RELAZIONE EDUCATIVA NELL’ESPERIENZA (pagine 184-192)