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La relazione educativa nel “sistema preventivo” di don Bosco La recente pubblicazione di Pietro Stella su don Bosco, ipotizza che

Nel documento LA RELAZIONE EDUCATIVA NELL’ESPERIENZA (pagine 50-60)

LA RELAZIONE EDUCATIVA NELL’ESPERIENZA E NELLE FONTI SCRITTE

NELL’ESPERIENZA DI GIOVANNI BOSCO

1. La relazione educativa nel “sistema preventivo” di don Bosco La recente pubblicazione di Pietro Stella su don Bosco, ipotizza che

l’educatore piemontese sia il “più italiano dei santi”, intendendo indica-re con tale affermazione la sua capacità di inserirsi nella Torino ottocen-tesca e, pur nei difficili rapporti tra Stato e Chiesa, l’aver saputo prepa-rare migliaia di giovani ad essere cittadini onesti e responsabili nel mon-do del lavoro. Con la fondazione di istituzioni quali gli oratori, i collegi, le scuole professionali, don Bosco riuscì, infatti, ad integrare in una so-cietà travagliata dalla modernità la gioventù meno abbiente, offrendole quelle opportunità che i sistemi scolastici per molto tempo non avevano saputo garantire.1 Don Bosco è perciò noto per il metodo da lui adotta-to nell’educazione della gioventù. Se il “sistema preventivo” in senso stretto, viene identificato con l’opuscolo scritto da lui nel 1877,2 tuttavia

1 Cf STELLA, Don Bosco, Bologna, Il Mulino 2001, 9-53.

2 Cf BOSCO, Il Sistema Preventivo nell’educazione della gioventù, in BRAIDO (a

con esso si vuole indicare la globalità della sua esperienza educativa.

Un’esperienza basata su una naturale predisposizione ad essere educa-tore, che egli realizzò nel corso degli anni attraverso una solida forma-zione teologico-pastorale e pedagogica e un prolungato contatto coi gio-vani. La finalità dell’intervento educativo che guida tale “sistema” o

“stile” è la maturazione integrale della persona attraverso la scoperta, lo sviluppo e l’espansione delle potenzialità presenti nell’educando, nel pieno rispetto dei suoi ritmi di crescita e all’interno di un ambiente ricco di valori e di proposte coinvolgenti e accessibili. Condizioni metodolo-giche fondamentali per il raggiungimento di tale finalità sono la creazio-ne di un ambiente educativo edificato sul paradigma della famiglia e co-stituito, in diversi modi, dall’apporto di tutti; il rispetto delle differenze dei destinatari con i loro livelli di educabilità ed infine, i tre principi ba-silari della ragione, religione e amorevolezza. Questi ultimi, in un certo senso costituiscono le coordinate portanti del metodo perché indicano non soltanto criteri metodologici quanto una “visione” integrale di uo-mo dotato di ragione, volontà, apertura a Dio, affettività, dimensioni da rispettare, integrare e orientare verso la maturità.

Il metodo di don Bosco si configura come una pedagogia della pre-senza, cioè un sistema educativo che realizza la finalità dell’educazione integrale attraverso una complessa rete di relazioni tra educatori, giova-ni e ambiente socioculturale. Su questa intrinseca caratteristica relazio-nale del metodo, come si è visto, vertono i contributi anche recenti di numerosi autori.3

Don Bosco, del resto, sottolinea tale realtà nel suo opuscolo “Il Si-stema Preventivo nell’educazione della gioventù”:

«Due sono i sistemi in ogni tempo usati nella educazione della gioventù:

Preventivo e Repressivo. Il sistema Repressivo consiste nel far conoscere la leg-ge ai sudditi, poscia sorvegliare per conoscerne i trasgressori ed infligleg-gere, ove sia d’uopo, il meritato castigo. In questo sistema le parole e l’aspetto del Supe-riore debbono sempre essere severe, e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni famigliarità coi dipendenti. Il Direttore per accrescere valore alla

cura di), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Roma, LAS 19973, 258-266 (d’ora in poi si abbrevierà DBE).

3 Cf FONTANA, Relazione, segreto di ogni educazione, Torino (Leumann), LDC 2000 e cf note 21-23 della parte introduttiva. È ancora Stella ad evidenziare come l’oratorio di don Bosco, aperto alla libera spontanea adesione di gruppi giovanili, postula un rapporto educativo che faccia leva sulla capacità di reciproca attrattiva tra adulti e giovani (cf STELLA, Don Bosco 55).

Cap. I: La relazione educativa nell’esperienza di G. Bosco 51 sua autorità dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più solo quando si tratta di punire o di minacciare. […] Diverso, e direi, opposto è il sistema Pre-ventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Isti-tuto e poi sorvegliare in guisa che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’oc-chio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, ser-vano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze».4

Da queste affermazioni sembra lecito dedurre che i due sistemi cativi altro non sono che due modi diversi di intessere la relazione edu-cativa. In entrambi i metodi, infatti, la finalità è simile e cioè quella di ottenere dagli allievi l’osservanza delle regole richieste dall’istituzione, regole che garantiscono il raggiungimento della formazione umana e cri-stiana del giovane. I sistemi divergono però a livello metodologico in quanto, nel primo, gli educatori raggiungono la finalità mediante la se-verità e le minacce di punizione e castigo. Nel secondo, al contrario, di-rettori ed assistenti si qualificano per la loro presenza costante in mezzo ai giovani. Questa si esprime con i tratti di una paternità ricca di amore, capace di declinare il comportamento secondo il bisogno del ragazzo e perciò con modalità amorevoli e differenziate. In tal modo gli educatori possono guidare, incoraggiare e, quando è il caso, correggere. L’ammo-nimento stesso non avvilisce il ragazzo perché in esso «vi è sempre un avviso amichevole e preventivo che lo ragiona, e per lo più riesce a gua-dagnare il cuore, cosicché l’allievo conosce la necessità del castigo e quasi lo desidera».5

I risultati dei due sistemi, apparentemente convergenti, in realtà rag-giungono finalità opposte. Col sistema repressivo s’impediscono disor-dini disciplinari, ma non si giunge a trasformare i giovani, anzi, si rischia di suscitare in essi l’amarezza per i castighi subiti, mentre il preventivo ha il vantaggio di creare una speciale sintonia tra educando ed educato-re, per cui quest’ultimo può rivolgersi all’alunno «col linguaggio del

4 BOSCO, Il Sistema Preventivo, in DBE 259-266. Termini come “reprimere”,

“repressione”, “prevenire”, “prevenzione” non sono certamente nuovi nell’Ottocen-to. In tale secolo, infatti, e per diverse ragioni, ci si occupa di prevenzione in campo politico, sociale, religioso ed ecclesiale. Nascono invece in questo periodo le formule

“sistema preventivo” e “sistema repressivo”, “educazione preventiva” e “educazione repressiva”. Tali espressioni sembrano sorgere in Francia ed in genere in modo po-lemico e contrapposto per cui vengono associati a contesti differenti: il sistema re-pressivo alla politica scolastica, quello preventivo all’educazione familiare e col-legiale (cf BRAIDO, Prevenire non reprimere 71-91).

5 BOSCO, Il Sistema Preventivo, in DBE 259-260.

cuore sia in tempo di educazione, sia dopo di essa. L’educatore, guada-gnato il cuore del suo protetto, potrà esercitare sopra di lui un grande impero, avvisarlo, consigliarlo ed anche correggerlo».6 Il “sistema pre-ventivo” si caratterizza perciò per la qualità pedagogica del rapporto che l’educatore instaura con il giovane e nell’ambiente.

Bisogna aggiungere che don Bosco scrive nel 1877 quando ormai la sua esperienza educativa è collaudata e tradotta in programmi e percorsi vitali dai suoi diretti collaboratori, i Salesiani, e conosciuta in Italia e al-l’estero. L’opuscolo citato, quindi, anche se non contiene tutti gli aspetti dell’esperienza educativa del santo, ce ne offre gli elementi fondanti e costituisce perciò un utile paradigma per rinvenire le linee metodologi-che da lui adottate sia agli inizi della sua attività educativa sia nello svi-luppo successivo della stessa.

Il fattore relazionale, a mio avviso, si trova tra gli aspetti fondamenta-li e specifici del “sistema preventivo”, in quanto caratterizza la stessa personalità di don Bosco, il suo temperamento, la sua mentalità, il suo modo di essere e di agire.7 “Uomo di cuore”, come lo descrivono gli stu-diosi, egli si presenta con una ricca personalità dotata di «affettività in-tensissima, fortemente interiorizzata, sempre controllata; e tuttavia, se-condo i canoni della sua stessa pedagogia, espressa, comunicata, perciò visibile, percepibile».8 La sua spiccata attitudine alla relazione, presente

6 L. cit. Il termine “impero”, va collocato all’interno della dinamica relazionale del “sistema preventivo” basato sulla ragione e sulla libera risposta del ragazzo al-l’intervento dell’adulto, e sull’amorevolezza che crea un feeling positivo tra i due permettendo in tal modo all’adulto di esercitare una cordiale influenza sul giovane in ordine ai valori proposti.

7 Questo appare soprattutto dalle Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, scritto autobiografico che si configura come intenzionale proposta, da parte di don Bosco, di un programma ideale, di un “modello” in parte realizzato, ma sempre per-fezionabile di “assistenza educativa” giovanile pluridimensionale. Tutta l’esperienza educativa si sintetizza nella presenza benefica di don Bosco in mezzo ai suoi giovani in un’istituzione chiamata “oratorio” verso cui essi sono attratti grazie alle proposte in essa contenute. Attraverso la spontanea partecipazione dell’educatore alla vita giovanile si crea l’elemento connettivo del rapporto educativo. L’educatore assume iniziative e responsabilità, i giovani rispondono con spontanea affezione che li porta a condividere nell’obbedienza i valori proposti e comunicati (cf BOSCO, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione e note a cura di Antonio Da Silva Ferreira, Roma, LAS 1991,146; cf anche BRAIDO, Memorie del fu-turo, in Ricerche Storiche Salesiane 11 [1992] 1, 97-127).

8 BRAIDO, Prevenire non reprimere 182; cf anche STELLA, Don Bosco nella storia II 37-38.

Cap. I: La relazione educativa nell’esperienza di G. Bosco 53 in lui sin dall’infanzia,9 è educata e valorizzata dalla saggia opera della madre, Margherita Occhiena.10 Tale attitudine si sviluppa e si dilata in seguito nel contatto con i giovani e nella maturazione dell’ideale di dedi-care tutta la vita alla loro educazione mediante la valorizzazione dell’a-micizia e della condivisione di esperienze e di valori:

«Temperamento realisticamente aperto alle situazioni storiche, “mente as-sorbente” per eccellenza, don Bosco si è sempre mostrato particolarmente sen-sibile alle vibrazioni psicologiche di quanti incontrava e con quanti conviveva.

[…] Gli argomenti e i “segnali” sono molti; ma domina su tutti il contatto quo-tidiano, intensamente personalizzato con i suoi ragazzi: nel cortile, in ufficio, nei discorsini serali, nella confessione, nelle lettere, nelle diverse iniziative di scrit-tore, organizzascrit-tore, dirigente».11

Questa intrinseca capacità relazionale tipica della personalità di Gio-vanni Bosco è anche uno degli elementi più segnalati dai contemporanei i quali la fanno emergere nella presentazione della sua opera. Nel 1849, pochi anni dopo l’insediamento dell’Oratorio nella zona di Valdocco, Lorenzo Gastaldi,12 che fu in seguito Arcivescovo di Torino, così lo de-scrive:

9 Nelle Memorie don Bosco annota: «Ero ancora piccolino assai e studiava già il carattere dei compagni miei. E fissando taluno in faccia per lo più ne scorgeva i pro-getti che quello aveva in cuore. Per questo in mezzo a’ miei coetanei era molto ama-to e molama-to temuama-to. Ognuno mi voleva per giudice o per amico» (BOSCO, Memorie 38).

10 Margherita Occhiena fu donna di grande equilibrio e buon senso, con una fe-de incrollabile e vero talento educativo. Sapeva essere esigente, ma nello stesso tem-po comprensiva, equilibrando dolcezza e fermezza e stabilendo con i figli un rap-porto basato sulla sincerità, sulla schiettezza e sulla fiducia profonda, componenti indispensabili per la formazione di una sana personalità. Il bene autentico che Gio-vanni percepisce da parte di sua madre lo apre alla confidenza e gli permette la for-mazione della fiducia di base, condizione indispensabile per costruire sane relazioni con se stessi e con gli altri (cf STICKLER Gertrud, Dalla perdita del padre a un proget-to di paternità. Studio sull’evoluzione psicologica della personalità di don Bosco, in Ri-vista di Scienze dell’Educazione 25 [1987] 3, 337-375).

11 BRAIDO, Prevenire non reprimere 156-157.

12 Lorenzo Gastaldi (1815-1883), religioso appartenente all’Istituto della Carità fondato da Antonio Rosmini, dal 1851 al 1862 trascorse dieci anni di attività intensa come missionario in Inghilterra; fu studioso, scrittore e predicatore. Visse un’esi-stenza estremamente attiva, inserita nelle vicende e nelle problematiche di carattere culturale, politico e religioso dell’Ottocento italiano. Negli anni 1848-1849 parteci-pò alle vicende del Risorgimento italiano, dalle colonne del “Conciliatore Torinese”.

Nel 1867 venne preconizzato vescovo di Saluzzo, anche per la mediazione di don

«Che fece adunque il nuovo discepolo di Filippo Neri? Consigliatosi col suo zelo, armatosi d’una pazienza a tutte prove, vestitosi di tutta la dolcezza e umil-tà, che ben conosceva richiedersi all’alta sua impresa, diedesi a girare ne’ dì fe-stivi pei dintorni di Torino, e quanti vedesse crocchi di giovani intenti a’ trastul-li, avvicinartrastul-li, pregandoli che l’ammettessero a parte di loro giuochi, poscia do-po essersi affratellato alquanto con essi, invitarli a continuare il gioco in un luo-go che egli teneva a ciò assai più atto a sollazzarsi, che quello non fosse. Egli è facile il pensare con quanti scherni sarà stato assai delle volte ricevuto il suo in-vito, e quante ripulse avrà dovuto soffrire: ma la sua costanza e la sua dolcezza a poco a poco trionfarono in un modo prodigioso».13

Più avanti il Gastaldi sottolinea come sia «una meraviglia il vedere l’affetto e la riconoscenza tenerissima che quei fanciulli nutrono in cuo-re verso il loro benefattocuo-re, il signor don Bosco. Nessun padcuo-re riceve più carezze dai suoi figliuoli, tutti gli sono a’ panni, tutti vogliono par-largli, tutti baciargli la mano».14

Il pedagogista e scrittore, Casimiro Danna,15 sintetizza l’esperienza oratoriana dell’educatore piemontese evidenziando in particolare le qualità relazionali che egli ha potuto osservare da vicino:

«Quando sa o incontra alcuno più dalla squallidezza immiserito, non lo per-de più d’occhio, lo conduce a sua casa, lo ristora, lo sveste per-de’ luridi, gl’indossa nuovi abiti, gli dà vitto mane e sera, finché trovatogli padrone e lavoro sa di procacciarli un onorato sostentamento per l’avvenire, e può accudirne con maggior sicurezza l’educazione della mente e del cuore».16

Lo stesso don Bosco, qualche anno dopo, nel 1854, descrive il suo oratorio come una “radunanza” della gioventù attorno alla sua persona Bosco, ed in seguito fu arcivescovo di Torino dal 1871 alla morte. La sua preoccu-pazione fondamentale fu la formazione del clero che perseguì soprattutto indicendo ben cinque sinodi diocesani. Figura episcopale emblematica e singolare, seppe con-frontarsi con le varie correnti culturali del tempo reagendo in modo critico e alle volte intransigente (cf TUNINETTI Giuseppe, Lorenzo Gastaldi [1815-1883], Casale Monferrato, Piemme 1983-1988, 2 vol.).

13 GASTALDI Lorenzo, L’Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, in Il Conci-liatore Torinese 2 (1849) 42, in DBE 52.

14 Ivi 53.

15 Casimiro Danna (1806-1884) fu autore di testi scolastici di lingua e letteratura italiana e anche studioso di pedagogia. Nel 1845 gli fu assegnata la cattedra di me-todica presso l’Università di Torino; nel 1847 riprese quella di Istituzioni di belle let-tere, che costituiva il suo principale interesse mentre veniva nominato alla cattedra di pedagogia G.A. Rayneri.

16 DANNA, Cronichetta, in Giornale della Società d’Istruzione e d’Educazione 1 (1849) 58, in DBE 58-60.

Cap. I: La relazione educativa nell’esperienza di G. Bosco 55 e a quella di altri sacerdoti collaboratori, con lo scopo di offrire la ri-creazione, la formazione religiosa, la scuola e la catechesi.17 La sua espe-rienza educativa si può pertanto condensare nella sua intensa condivi-sione di vita con i giovani, nella partecipazione ai loro interessi e nella risposta alle loro esigenze di cultura, di lavoro, di formazione, di prepa-razione alla vita adulta. Don Bosco non utilizza particolari tecniche di coinvolgimento, ma da educatore è presente in mezzo ai giovani, prega, gioca, insegna, corregge come egli stesso scrive:

«Io mi serviva di quella smodata ricreazione per insinuare a’ miei allievi pensieri di religione e di frequenza ai santi Sacramenti. Agli uni con una parola nell’orecchio raccomandava maggior ubbidienza, maggior puntualità nei doveri del proprio stato; ad altri di frequentare il catechismo, di venirsi a confessare e simili. […] Usciti di chiesa mettevami in mezzo di loro, li accompagnava mentre essi cantavano o schiamazzavano. […] Una scena singolare era la partenza dal-l’Oratorio. Usciti di chiesa ciascuno dava le mille volte la buona sera senza pun-to staccarsi dall’assemblea dei compagni».18

In quei primi anni all’oratorio si viveva una vita singolare non priva di difficoltà, ma da parte dei giovani piena di gratificazioni. Mancava tutto, soprattutto lo spazio necessario. I giovani dormivano a piccoli gruppi nelle camere. Quando faceva bello, i pasti si consumavano fuori, nel cortile, altrimenti si trovava posto sui gradini della scala e nei pressi della cucina. Margherita Bosco, che tutti chiamavano mamma Margheri-ta, preparava la polenta e la minestra, suo figlio l’aiutava attorno al for-nello e faceva la distribuzione mentre l’utilizzo del dialetto dava un tono familiare all’ambiente.19

L’incontro tra don Bosco e i suoi giovani risulta dunque il perno at-torno al quale ruota tutto il suo metodo estremamente “personalizzato”.

Protagonisti dell’esperienza oratoriana sono il giovane e l’educatore in-tesi sia come singoli che come comunità, entrambi coinvolti, con ruoli diversi, nel processo educativo che si attua all’interno di una città attra-versata da problemi e tensioni inquietanti.

Per quanto riguarda il giovane, don Bosco è convinto della sua origi-naria disponibilità all’intervento educativo:

17 Cf BOSCO, Introduzione al Piano di Regolamento per l’Oratorio maschile di S.

Francesco di Sales in Torino nella regione Valdocco, in DBE110.

18 ID., Memorie dell’Oratorio 139-141.

19 Cf WIRTH, Da don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (1815-2000), Roma, LAS 2000, 69-70 e STELLA, Don Bosco nella storia I 103-119.

«Tolta la trascuratezza dei genitori, l’ozio, lo scontro de’ tristi compagni, cui vanno specialmente soggetti ne’ giorni festivi, riesce facilissima cosa l’insinuare ne’ teneri loro cuori i principii di ordine, di buon costume, di rispetto, di reli-gione; perché se accade talvolta che già siano guasti in quella età, il sono piutto-sto per inconsideratezza, che per malizia costumata».20

Egli, se da un lato accorda totale fiducia al giovane, dall’altro ben co-nosce i limiti inscritti nella natura umana ed anche i livelli di educabilità che derivano dalle differenze individuali o dalle esperienze familiari. Egli perciò distingue le indoli in «buone, ordinarie, difficili, cattive»21 e pre-dispone per ciascuna categoria interventi personalizzati e promozionali.22

L’educatore si qualifica come “mano benefica”, che si prende cura dei giovani, li coltiva, li guida alla virtù, li allontana dal vizio.23 Egli è

«un individuo consacrato al bene de’ suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fi-ne, che è la civile, morale, scientifica educazione de’ suoi allievi».24 Deve essere ripieno di carità e di pazienza, ricco di benevolenza e di saggezza pedagogica per cui tutto il suo impegno sta nel “farsi amare piuttosto che farsi temere”, dimostrando, attraverso l’amore, che le sue parole e i suoi interventi sono orientati al bene dei giovani.25 Tale compito

richie-20 BOSCO,Introduzione al Piano di Regolamento, in DBE108-109.

21 ID., Gli Articoli generali del Regolamento per le case, in ivi 282.

22 Afferma in proposito don Bosco: «È nostro stretto dovere di studiare i mezzi che valgano a conciliare questi caratteri diversi per far del bene a tutti senza che gli uni siano di nocumento agli altri. A coloro che hanno sortito dalla natura un caratte-re, un’indole buona basta la sorveglianza generale spiegando le regole disciplinari e raccomandandone l’osservanza. La categoria dei più è di coloro che hanno carattere ed indole ordinaria, alquanto volubile e proclive all’indifferenza; costoro hanno bi-sogno di brevi ma frequenti raccomandazioni, avvisi e consigli. Bisogna incoraggiarli al lavoro, anche con piccoli premi e dimostrando d’avere grande fiducia in loro sen-za trascurarne la sorvegliansen-za. Ma gli sforzi e le sollecitudini devono essere in modo speciale rivolte alla terza categoria che è quella dei discepoli difficili ed anche disco-li. […] Ogni superiore si adoperi per conoscerli, s’informi della loro passata maniera di vivere, si mostri loro amico, li lasci parlare molto, ma egli parli poco ed i suoi di-scorsi siano brevi esempi, massime, episodi e simili. Ma non si perdano mai di vista senza dar a divedere che si ha diffidenza di loro» (l. cit).

23 Cf ID., Introduzione al Piano di Regolamento, in DBE 108.

24 ID.,Il Sistema Preventivo, in ivi 264.

25 Il tema ricorre con frequenza negli scritti di don Bosco a partire da quelli dei primi tempi fino a giungere a quelli della maturità, e in particolare alla Lettera da

25 Il tema ricorre con frequenza negli scritti di don Bosco a partire da quelli dei primi tempi fino a giungere a quelli della maturità, e in particolare alla Lettera da

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