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I fattori della crisi della Cassazione e la nomofilachia del terzo millennio

Nel documento Nomofilachia e ricorso in cassazione (pagine 93-103)

L’evoluzione e la prassi hanno “trasformato” (non abbandonato) l’origina- rio modello di Cassazione pura, quello descritto nelle pagine del Calamandrei, tanto da fare apparire ogni sua parola lontana e anacronistica. La formula adot- tata dal legislatore all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario ha perduto la rigidità del suo significato originario.

Intendendo, perciò, dare conto dello scopo che la Corte di cassazione at- tualmente va svolgendo o, almeno, di quello che, de iure condito, il Giudice di legittimità è chiamato a raggiungere secondo il disegno del legislatore dei nostri tempi (e non già sulla base di un fine solo ideale) occorre tenere presente che la realtà nella quale vive l’organo supremo è assai lontana da quella cui guardava il legislatore del 1941 e anche dalla prospettiva tenuta in mente dal Costituen- te, certamente influenzato dal maggiore studioso dell’istituto.

Molti i fattori di crisi della Corte61: da un lato, essi possono essere classifi-

cati quali fattori di natura organizzativa62, dall’altro come disfunzioni normati-

ve63che consentono (anzi giustificano) un troppo facile accesso in Cassazione.

L’enorme numero di impugnazioni troppo spesso distoglie il giudice di legitti- mità dalle funzioni che gli sono assegnate per legge: l’assenza di un vero e pro- prio filtro preventivo, come quello presente in altri ordinamenti europei64; la

disciplina vigente in tema di iscrizione dell’avvocato nell’albo speciale per il pa- trocinio davanti alla Corte di cassazione e alle giurisdizioni superiori65; la at-

dalla legge 28 maggio 1936, n. 1003, dal Regio decreto 9 luglio 1936, n. 1482, e dalla legge 24 feb- braio 1997, n. 27. Secondo tali norme, tutti gli avvocati, trascorsi dodici anni dall’iscrizione all’al- bo ordinario, previa dimostrazione di aver svolto continuativamente il patrocinio davanti alle Corti di appello ed ai Tribunali, maturano il diritto all’esercizio della professione davanti alla Corte di cassazione e a tutte le altre magistrature superiori.

È prevista, altresì, in via eccezionale, la possibilità per gli avvocati di essere iscritti nell’albo speciale, decorsi cinque anni dall’iscrizione nell’albo ordinario e previo superamento di un esa- me analiticamente regolato dalle leggi n. 1003 del 1936 e n. 1482 del 1936. Tale esame prevede prove scritte e orali.

Questa disciplina è stata, da ultimo (XV legislatura), oggetto di un disegno di legge di ini- ziativa dei senatori Buccico e Valentino, giacché il sistema di accesso al patrocinio davanti alle magistrature superiori è, attualmente, privo di qualsiasi controllo qualitativo e, d’altro canto, la verifica sulla effettività dello svolgimento della professione risponde a criteri e classificazioni burocratiche. Il sistema di accesso all’albo speciale in Italia è unico nel suo genere, laddove in altri Stati sono previste forme molto selettive. Su tali premesse, il disegno di legge citato quali- ficava “improcrastinabile” una modifica legislativa per la introduzione di un filtro al flusso di iscrizioni.

66Tutto ciò induce oggi a dubitare della stessa “unicità” dell’organo di legittimità: come, in-

fatti, affermato da MAZZARELLA, Analisi del giudizio civile di cassazione cit., 28 e 29 «la prima co-

sa che viene spontaneo di rilevare è che a più di mezzo secolo dall’unificazione (delle Corti re- gionali) il traguardo della unicità della Corte di cassazione è più apparente che reale. Scomparse le Corti regionali, l’attuale Corte di cassazione si struttura in molteplici sezioni (art. 66 ord. giud.). Quelle civili sono cinque, e forse sei se si accede alla tesi, tutt’altro che peregrina, secon- do la quale le sezioni unite più che il plenum della Cassazione ne rappresentano una sorta di se- zione scelta».

67MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1923, I, 65. 68Osserva CHIARLONI, Prime riflessioni su recenti proposte di riforma del procedimento in Cas-

sazione, in www.judicium.it, che «la corte non riesce più ad assicurare adeguatamente l’uniforme

interpretazione e applicazione sincronica del diritto oggettivo secondo l’indicazione contenuta nell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario. Aggiungendo disordine giurisprudenziale al disordine legislativo, essa presenta un panorama di pronunce contrastanti tra sezione e sezione, tra sezioni semplici e sezioni unite e spesso addirittura anche all’interno della medesima sezione, ivi com- prese le stesse sezioni unite, sul filo di ambiti di (quasi) contemporaneità, che nulla hanno a che

tuale struttura della Corte66rappresentano alcune delle cause della crisi della

Corte e dell’impossibilità per la stessa di dare attuazione alla nomofilachia. Tenendo conto della nuova realtà, deve ritenersi più che frequente il rischio – efficacemente prospettato da Mortara – che «il viaggiatore, il quale percorre il territorio dello Stato, passando da una provincia a un’altra trascinato dalla ra- pidità della locomotiva, possa trovarsi sottoposto da ora in ora a leggi diverse in grazia delle diverse interpretazioni date dai rispettivi tribunali ad un unico testo»67; non è necessario essere un viaggiatore, né percorrere lo Stato in loco-

motiva, ma è sufficiente passeggiare in Cassazione attraversando le diverse au- le di giustizia per rischiare, minuto dopo minuto, di ascoltare interpretazioni diverse di una medesima disposizione normativa68.

vedere con le esigenze di una maturazione consapevole e di una evoluzione naturale della giuri- sprudenza …». Tale affermazione riassume perfettamente la situazione, talvolta, “imbarazzante” nella quale si trova attualmente la Cassazione civile. Emblematico è il caso deciso da Cass., 30.4.2008, n. 10867: con avviso notificato il 15.7.1994 l’Ufficio I.V.A. di Potenza irrogava la san- zione pecuniaria di L. 96.718.000, pari al doppio delle somme non versate alle scadenze periodi- che relativamente all’anno 1990. Il contribuente deduceva di aver presentato istanza di defini- zione e dichiarazione integrativa per infrazioni che non avevano determinato maggiore imposta, ai sensi della legge 30.12.1991, n. 413, art. 52, comma 3, e di aver versato la somma di L. 2.000.000, pari a L. 500.000 per ogni anno precedente. L’Ufficio resisteva sostenendo che il con- tribuente avrebbe potuto avvalersi soltanto delle disposizioni di cui alla legge n. 413/1991, art. 62 bis, specificamente riguardante la sanatoria degli omessi versamenti. La commissione tributa- ria provinciale di Potenza accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo alla metà la sanzione ir- rogata. La Commissione tributaria regionale della Basilicata confermava la sentenza di primo grado. Con decisione del 10.10.2003 n. 14608, giudicando sul ricorso proposto dal contribuente la Corte lo rigettava affermando che la legge n. 413/1991, art. 52, comma 3 e art. 62 bis si riferi- scono a ipotesi diverse, il primo alla sanatoria di singole infrazioni di natura formale, il secondo al mancato versamento dell’imposta dichiarata, dovuta e non controversa. Nella specie doveva trovare applicazione l’art. 62 bis, che richiede la dimostrazione del versamento delle imposte non pagate e poiché il contribuente non aveva dimostrato di avere effettuato tale versamento non po- teva giovarsi della sanatoria delle sanzioni. Il contribuente depositava, però, altra copia dello stesso ricorso contro la stessa sentenza della commissione tributaria regionale. Giudicando su ta- le ricorso la Corte, lo accoglieva e cassava con rinvio la sentenza impugnata, affermando che dal provvedimento impugnato non emergevano elementi di fatto che consentissero di ritenere ap- plicabile alla fattispecie dedotta in giudizio il disposto della legge n. 413/1991, citato art. 62 bis, comma 1. Con ricorso del 27.1.2006 l’Agenzia delle Entrate chiedeva, quindi, la revocazione del- la seconda sentenza, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5, per contrasto con il giudicato formatosi a seguito della pronuncia di rigetto del ricorso. La sezione tributaria alla quale il ricorso veniva as- segnato, con ordinanza del 15.1.2007, rilevato il contrasto tra il tradizionale orientamento, se- condo cui non è consentita la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione per il motivo previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 5, e la sentenza n. 18234/2006, con la quale è stata affermata l’am- missibilità di detto mezzo di impugnazione nei confronti delle sentenze di cassazione che abbia- no anche deciso la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rimetteva il ricorso al Primo Pre- sidente per valutare l’opportunità di sottoporre alle sezioni unite la questione descritta. Con la sentenza n. 10867/2008, la Suprema Corte riteneva non proponibile l’impugnazione per revoca- zione ex art. 395 c.p.c., n. 5 nei confronti delle sentenze di legittimità, affermando nella specie, che «un contrasto con il giudicato formatosi a seguito del rigetto del ricorso, potrebbe insorgere solo in sede di giudizio di rinvio conseguente alla seconda sentenza di cassazione … e in tal caso opererebbero gli strumenti preventivi (eccezione di giudicato o impugnazione per revocazione) o successivi (prevalenza del secondo giudicato) che l’ordinamento prevede».

86 NOMOFILACHIA E RICORSO IN CASSAZIONE

Un rischio questo che il nostro sistema, il quale – ancora oggi e nonostante l’attuale formulazione dell’art. 374, comma 3, c.p.c. – esclude la forza vinco- lante del precedente, ha valutato ma non ha direttamente risolto.

Si tratta, perciò, di stabilire entro quali limiti la Cassazione possa svolgere oggi il proprio ruolo di garante della uniforme interpretazione della legge.

Il nuovo dibattito sullo scopo che deve raggiungere la Corte di cassazione ha condotto ad una nozione di nomofilachia solo ideale, che si sostanzia nell’aspirazione a decisioni prevedibili.

69TARUFFO, Il vertice ambiguo, cit., 160-161.

70In dottrina molte sono le voci espressioni di una concezione di nomofilachia intesa in sen-

so tendenziale e dialettico (vedi, tra gli altri, FRANCESCHELLI, Nomofilachia e Corte di cassazione,

in Giust. e Cost., 1986, 39 e ss.; SENESE, Funzioni di legittimità e ruolo di nomofilachia, in Foro it.,

1987, V, 256 e ss.). Secondo tale orientamento l’“esatta” interpretazione della legge è una nozio- ne che oggi ha perso qualsiasi significato. Sicché non rimarrebbe che l’uniformità della giuri- sprudenza da intendersi non più in assoluto (unica interpretazione perché esatta) ma in senso tendenziale e relativo. Contro il riportato orientamento si veda DENTI, A proposito di Corte di cas-

sazione e di nomofilachia, cit. 417 e ss.

71Sul punto vedi TARUFFO, La Corte di cassazione e la legge cit., 362, a giudizio del quale dal-

l’art. 65 può ricavarsi un’«idea di giustizia … formale (ch)e privilegia il valore della certezza uniforme dell’interpretazione della legge, di cui la Cassazione è il presidio e la garanzia finale. Es- sa rinvia peraltro necessariamente, e con questa sta e cade, ad una teoria dell’interpretazione, in quanto presuppone che interpretare la legge significhi identificare il significato “oggettivo” del- le norme e che compito del giudice sia per l’appunto di enucleare e “dichiarare” questo signifi- cato».

72Sul tema si veda COMOGLIO-CARNEVALE, Il ruolo della giurisprudenza e i metodi di unifor-

mazione del diritto in Italia, in Riv. dir. proc., 2004, 1037 e ss.

73GIACOBBE, La Corte di cassazione e l’evoluzione democratica dell’ordinamento: profili civili-

stici, cit., 92.

74Già la Relazione che accompagnava la bozza di disegno di legge sui provvedimenti urgen-

La dottrina dei nostri tempi, perciò, nell’indagare l’attuale portata della for- mula dell’art. 65 dell’ord. giud. ha rintracciato nella esatta osservanza e unifor- me interpretazione della legge uno scopo solo tendenziale: la versione della no- mofilachia in chiave formalistica in base alla quale la Corte assicura l’esatta os- servanza della legge «è insostenibile sul piano teorico generale: non esistendo a priori alcuna right answer interpretativa rispetto ad alcuna norma … non si può configurare la funzione della Cassazione come determinazione e scoperta di un “significato esatto” della norma che in realtà non esiste»69.

L’osservanza esatta della legge è, cioè, solo un valore irraggiungibile70, giac-

ché in assoluto non esiste un’unica esatta osservanza della legge, né una esclu- siva e giusta interpretazione del diritto71, che variano a seconda del variare di

numerosi fattori. L’interpretazione del diritto, inoltre, non può, di per sé, esse- re uniforme; piuttosto deve parlarsi, apportando dei correttivi alla lettera del- l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, di uniformità della giurisprudenza nel- l’interpretazione della legge.

Al riguardo, comunemente si parla della forza persuasiva del precedente72,

la quale «va valutata proprio alla luce dell’iter logico seguito dall’organo giudi- cante: ed essa sarà tanto più convincente quanto più avrà dato conto delle va- rie tendenze manifestate sul punto in dottrina e giurisprudenza»73.

ti per la riforma del giudizio di cassazione predisposta, nel 1988, dal Primo Presidente Brancac- cio e dal Procuratore Generale Sgroi esordiva con le seguenti parole: «La continua produzione legislativa, nei vari settori, con i connessi problemi interpretativi, comporta l’esigenza per le par- ti di ricorrere sempre più frequentemente alla Corte di cassazione, sollecitando l’esercizio del po- tere di nomofilachia, che l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario le assegna. Per lo svolgimento di questa funzione è però necessario che la risposta alla richiesta di certezza avvenga in tempi ra- gionevolemente brevi. La mole dell’arretrato – soprattutto nel settore della materia civile – con la sua tendenza ad un aumento costante nel tempo, malgrado il maggior numero di decisioni emesse di anno in anno, convince della necessità di alcuni interventi legislativi che, consentendo l’eliminazione o la sensibile riduzione di questo arretrato, riconduca a normalità la situazione pa- tologica creatasi nella fase terminale del processo civile, con la giacenza in Cassazione, sino a cin- que e più anni, di giudizi destinati a svolgersi e ad esaurirsi con tutta celerità. Soltanto eliminan- do o notevolmente riducendo l’attuale pendenza, la Corte di cassazione può essere in grado di far fronte con tempestività ai nuovi ricorsi e di svolgere con efficacia la sua funzione. A tale sco- po risponde il presente disegno di legge con il quale si tende a modificare l’attuale procedimen- to …». Sul punto si veda VACCARELLA, in VACCARELLA-CAPPONI-CECCHELLA, Il processo civile do-

po le riforme, Torino, 1992, 305. Con il progetto Vaccarella, vero antecedente della riforma at-

tuata con il d.lgs. n. 40/2006 (come ben sottolineato da DECRISTOFARO, L’edificazione della Cor-

te Suprema tra risolutezza e “timidezze” del legislatore delegato, cit., 1760-1761) la Commissione

si è posta come obiettivo, tra gli altri, quello di recuperare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione (visto che – come emerge dalla stessa relazione conclusiva della commissione – “do- minante è stata la preoccupazione di recuperare la dimensione nomofilattica della Corte Supre- ma, attualmente schiacciata da un carico di ricorsi eccessivo”). La novità più rilevante, in tal sen- so, era la previsione del “vincolo delle sezioni semplici al precedente delle sezioni unite, stabi- lendo che, ove la sezione semplice non intenda aderire al precedente, debba reinvestire le sezio- ni unite con ordinanza motivata” (cfr. punto 33 lett. d); disposizione che trovava la sua giustifi- cazione nell’intento di “eliminare l’ … automatismo, in virtù del quale basta che sia sollevata la più fondata o infondata delle questioni di giurisdizione, perché ne debbano essere investite le se- zioni unite”. Sul progetto di riforma TARZIA, Il giudizio di cassazione nelle proposte di riforma del

processo civile, in Riv. dir. proc., 2003, 201 e ss.; CHIARLONI, Prime riflessioni su recenti proposte

di riforma del procedimento in Cassazione, cit.; LUISO, Il vincolo delle Sezioni semplici al prece-

dente delle Sezioni unite (relazione al Convegno “Il giudizio di legittimità nelle prospettive della

riforma del codice di procedura civile”, Roma – Corte di cassazione, 29 novembre 2002), in

www.judicium.it e in Giur. it., 2003, 820; SASSANI, Corte Suprema e jus dicere, ivi, 822; TOMMA- SEO, La riforma del ricorso per Cassazione: quali i costi della nuova nomofilachia?, ivi, 826.

75Già nel 1965 si parlava di “crisi della Cassazione” e dei rimedi che impediscono alla Corte

di svolgere la funzione nomofilattica. Sul punto LIPARI, Le funzioni della Corte di cassazione, in

Giust. civ., 1965, IV, 87 e ss., in particolare (a p. 99), osserva che lo scopo per il quale la Cassa-

zione è stata pensata è ostacolato «… dalle questioni di procedura che sfuggono al criterio di ri- partizione per materia e che del resto oggi costituiscono il campo in cui più clamorosamente e pertinacemente si manifestano i contrasti di giurisprudenza». Sulla “crisi della Cassazione” e sul- le cause che l’hanno generata si veda LIEBMAN, La Corte di cassazione in Italia, in Riv. dir. proc.,

1965, 578.

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modo di concepire l’istituto, hanno tentato un ritorno alle origini, rimodellan- do la disciplina del procedimento per ripristinare in pieno la funzione nomofi- lattica della Corte75.

76Già TISCINI, Il ricorso straordinario cit., 600, auspicava prima dell’entrata in vigore del d.lgs.

n. 40/2006 l’accoglimento di una nuova nozione di nomofilachia, del tutto svincolata alla deci- sione del caso concreto: «occorre distinguere le funzioni insostituibili della Corte di cassazione, da quelle ad altri organi demandabili, collocando nella prima categoria la garanzia dell’uniforme interpretazione e applicazione del diritto (funzione oggettiva) e nella seconda la tutela del singo- lo (funzione soggettiva). È forse giunto il momento di prendere consapevolezza dell’attuale in- capacità della Corte di gestire contestualmente entrambe e perciò dell’opportunità di separarle, conservando solo quella che non altri possono svolgere».

77Come affermato da DECRISTOFARO, L’edificazione della Corte Suprema tra risolutezza e “ti-

midezze” del legislatore delegato cit., 1763, con riguardo alla bozza di decreto delegato, «l’im-

pressione … è quella di un atteggiamento oscillante della Commissione ministeriale, che dimo- stra talora risolutezza nel muoversi al limite della potestà delegata, onde raggiungere gli obietti- vi perseguiti, ed altre volte non ha l’audacia di realizzare sino in fondo e con coerenza, nei mar- gini di discrezionalità pur consentiti, alcune scelte indispensabili per l’efficiente riuscita dell’in- tervento normativo».

78Avvertiva SGROI, op. cit., 5 che «se il sindacato sul vizio di motivazione si traduce nel con-

trollo analitico di ogni passaggio dell’ordito argomentativo tessuto dal giudice di merito, si corre il rischio di sconfinare in un inammissibile apprezzamento del fatto. Se, viceversa, si circoscrive tale sindacato entro i limiti di una risposta secca e pressoché apodittica al quesito circa l’esisten- za o l’inesistenza del vizio di motivazione si sfiora l’inutilità del rimedio». Il c.d. “motivo omni-

bus” d’impugnazione, introdotto con il n. 5 dell’art. 360 dal legislatore del 1950, rappresenta, in-

fatti, “una vera e propria base di lancio codificata per quel tipo di domanda … prevalentemente

procedimentali, fino ad arrivare – in alcuni casi – a sconsacrare l’idea in base al- la quale la Cassazione, attraverso la decisione del caso concreto, raggiunge il fi- ne al quale è deputata per legge76. In altri termini, l’ampliamento delle ipotesi

in cui l’interesse collettivo all’esatta interpretazione della legge non passa attra- verso la risoluzione di una singola controversia e, quindi, non coincide con quello dei privati ad ottenere la giustizia del caso concreto, non allontana la no- mofilachia dal suo significato originario, ma tende ad attuarla alla luce dei pro- blemi che hanno prodotto la trasformazione della Cassazione in giudice di ter- za istanza.

Il coraggio di optare con maggiore nettezza in questa direzione è, però, mancato: espressioni delle timide77scelte legislative sono quelle disposizioni

che aumentano il carico di lavoro della Corte e che, rispetto alla nozione di no- mofilachia enucleata, si pongono in contrasto, giacché prediligono solo un aspetto della Corte tralasciando l’altro. Si pensi all’art. 360, ultimo comma, c.p.c., che “allarga” il c.d. ricorso straordinario avverso le sentenze ed i prov- vedimenti diversi dalla sentenza anche al vizio motivazionale, cavallo di Troia attraverso il quale trovano ingresso in Cassazione ricorsi che tendono ad una nuova analisi del merito e che difficilmente costituiscono l’occasione per la Corte di attuare l’esatta osservanza della legge o l’uniforme interpretazione del diritto78; o a quegli istituti che svincolano la enunciazione del principio di di-

diretta a realizzare, pur in sede di legittimità, lo ius litigatoris nelle sue più profonde e specifiche implicazioni inerenti alla quaestio facti”. Così MALTESE, op. cit., 7. Sulla vicenda legislativa che

condusse alla introduzione del vizio di motivazione, Ibidem, 12 e ss.

79La tutela dello ius litigatoris nell’ottica delle parti rappresenta l’unico scopo cui si mira at-

traverso la proposizione dell’impugnazione. Ciò è dovuto al modo in cui, per lungo tempo, la Corte ha in concreto interpretato il suo ruolo, privilegiando il controllo di legittimità sulla sin- gola decisione e non su quello della elaborazione della migliore interpretazione delle norme. L’esempio migliore di questo atteggiamento della Corte è rappresentato da quanto è avvenuto in sede della nota interpretazione estensiva e “sostanzialistica” dell’art. 111, oggi comma 7, Cost.:

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ritto rispetto al caso concreto (art. 363 c.p.c.). In questa prospettiva antitetica

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