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Il procedimento in Cassazione

Nel documento Nomofilachia e ricorso in cassazione (pagine 50-56)

Nel binomio Corte di cassazione – giudizio di cassazione, il secondo termi- ne deve essere considerato, sulla scia degli studi di Calamandrei, come stru- mentale al primo. La nozione di strumentalità non implica necessariamente quella, diversa, di “secondarietà”: ciò non vuol dire, cioè, assegnare minore im- portanza alle regole che governano il procedimento rispetto a quelle riguar- danti l’organo giudicante; l’impostazione riferita tende, in sostanza, a far sì che lo studio e l’analisi del giudizio di cassazione tenga conto dello scopo e del fine ultimo cui mira la disciplina del procedimento.

Del resto la stessa nozione di procedimento – che, in via del tutto generale, può essere definito come la concatenazione di una serie di atti umani che si coordinano e si susseguono nel tempo, diretti ad uno scopo determinato – sug- gerisce la necessità, nell’analisi delle disposizioni ad esso relative, di non tra- scurare il fine cui i singoli atti del giudizio mirano; un fine che, per quanto con- cerne il giudizio di cassazione, è duplice: accanto allo scopo di qualunque pro- cedimento, cioè di giungere all’atto finale della sequenza per realizzare l’inte- resse dei privati alla risoluzione della controversia, il procedimento di cassazio- ne mira altresì, attraverso la risoluzione del caso concreto, all’emanazione di un provvedimento finale che possa attuare l’art. 65 ord. giud. citato92.

A tal punto, occorre soffermarsi sui caratteri generali del procedimento. Una puntualizzazione preliminare è d’obbligo: comunemente si parla di procedimento in Cassazione senza, però, tener conto che il giudizio che si svol- ge innanzi al supremo Collegio non è unico e, soprattutto, non presenta le me- desime caratteristiche; la Cassazione può pronunciare a sezioni unite o a sezio- ni semplici, il relativo procedimento può svolgersi in Camera di consiglio o pre- vedere la necessità dell’udienza pubblica; la Corte può essere adita sulla base

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dell’art. 111 Cost., attraverso cioè il c.d. ricorso straordinario in Cassazione contro quei provvedimenti non altrimenti impugnabili, attraverso la proposi- zione del regolamento di competenza (ad istanza di parte o di ufficio ex art. 45 c.p.c. e art. 59 legge n. 69/2009), in forza dell’art. 360 c.p.c., su istanza del pro- curatore generale, il quale può proporre ricorso per sollecitare la sentenza nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c., o attraverso il regolamento di giuri- sdizione o per risolvere i conflitti di cui discorre l’art. 362 c.p.c.; ancora, all’in- terno del complesso istituto del ricorso ordinario in Cassazione, occorre distin- guere i vari motivi di ricorso giacché la Cassazione e le parti non sempre hanno gli stessi poteri.

Tutto ciò impone una precisazione terminologica: l’espressione “procedi- mento” di cassazione denota, in via generale, il giudizio che si svolge innanzi al Supremo Collegio; al suo interno, esso si suddivide in una serie di subprocedi- menti che comportano una diversa estensione dei poteri della Corte e delle at- tività di cui sono onerate le parti.

Limitando il discorso al solo ricorso ordinario in Cassazione disciplinato da- gli artt. 360 e ss. c.p.c., il procedimento può essere convenzionalmente distinto al suo interno in tre diversi momenti: la fase propulsiva e preparatoria, la “trat- tazione” e la decisione della controversia. In relazione a queste tre fasi del giu- dizio le parti, da un lato, ed il giudice, dall’altro, non hanno sempre lo stesso ruolo e gli stessi poteri.

La prima fase del giudizio vede come uniche protagoniste le parti, in parti- colare il ricorrente e l’intimato, le quali sono onerate per legge di numerose at- tività: l’uno deve notificare e ritualmente depositare il ricorso ed i documenti relativi all’ammissibilità dello stesso, osservando scrupolosamente le prescri- zioni normative contenutistiche e formali. L’intimato, a sua volta, se intende as- sumere una posizione attiva nell’ambito del giudizio, deve uniformare la pro- pria attività a quella prescritta, in via generale, dagli artt. 370 e ss. c.p.c.

L’ulteriore corso del procedimento di cassazione, la fase che abbiamo – for- se impropriamente – definito di trattazione, conosce diverse variabili: il ricorso potrebbe, infatti, essere assegnato alle sezioni semplici, oppure potrebbe pre- sentare i requisiti previsti dall’art. 374 c.p.c. e quindi essere attribuito alle se- zioni unite; l’udienza potrebbe svolgersi in Camera di consiglio o secondo le modalità stabilite dall’art. 379 c.p.c. In tale frammento del procedimento, alle parti è assegnato un ruolo del tutto marginale: ricorrente e resistente, al pari del pubblico ministero, possono depositare memorie scritte e prendere parte alla discussione, se prevista. Il giudice relatore, invece, svolge un ruolo non trascu- rabile: egli, se il procedimento seguito è quello descritto dall’art. 380 bis c.p.c., ha il compito di predisporre la relazione con la concisa esposizione dello svol- gimento del processo e dei motivi in fatto e diritto in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio; se, al contrario, il giudizio

93Frequenti sono le pronunce della Corte in tema di interruzione del giudizio, volte ad af-

fermare l’irrilevanza degli eventi di cui agli artt. 299 e ss. c.p.c. verificatisi dopo la notificazione ed il deposito del ricorso in Cassazione; ciò sulla base di un duplice ordine di considerazioni: a) da un lato, perché il giudizio di cassazione si caratterizza per l’impulso d’ufficio; b) dall’altro, in quanto le norme sull’interruzione sono insuscettibili di applicazione analogica nel giudizio di le- gittimità (cfr. tra le più recenti Cass., sez. III, 1.12.2003, n. 18300, in Rep. Foro it., 2003, voce

Cass. civ., n. 286; Id., sez. lav., 28.3.2003, n. 4767, ivi, 2003, voce cit., n. 285; Id., sez. III,

21.11.2002, n. 16405; Id., sez. II, 18.4.2002, n. 5626, in Rep. Foro it., 2002, voce cit., n. 284; Id., sez. III, 11.6.1999, n. 5755, ivi, 1999, voce cit., n. 292; Id., sez. III, 1.12.1998, n. 12198, ivi, 1998, voce cit., n. 282; Id., S.U., 14.10.1992, n. 11195, ivi, 1992, voce cit., n. 85). La Corte, però, sez. I, con ordinanza interlocutoria del 10.7. 2004, n. 12813, in Guida al dir., 2004, 62 e ss. – recepen- do gli auspici di parte minoritaria della dottrina (cfr. CIACCIACAVALLARI, Prospettive di interru-

zione nel procedimento in Cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, 188 e ss.; da ultimo, CALI- FANO, L’interruzione del processo civile, Napoli, 2004, 238 e ss.) – ha posto in discussione l’orien-

tamento riportato, sottoponendo la questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, nel convincimento che “è certo che nel giudizio di cassazione le difese sono affidate essenzialmente – per ciò che concerne la parte ricorrente – al ricorso; ma ciò, a parere del collegio non esclude l’eventualità di altre attività difensive che potrebbero essere compiute unicamente con il ministero del difensore, né, di per sé, appare giustificare la conclu- sione che affida alla partecipazione del difensore all’ “udienza orale di discussione un rilievo del tutto secondario e marginale”. Detta pronuncia (sulla quale si veda CALIFANO, Giusto processo ci-

vile, giudizio in Cassazione ed interruzione del processo, in L’era di antigone. L’arcipelago dei di- ritti fondamentali alla sfida della critica a cura di G. Limone (Quaderni del Dipartimento di

Scienze Giuridiche della Seconda Università degli Studi di Napoli), Milano, 2006, 179 e ss.) rap- presenta un segnale verso un “cambio di rotta” della Corte e può essere qualificata come l’inizio di un nuovo orientamento volto ad affermare la rilevanza degli eventi interruttivi nel giudizio di cassazione. Nonostante la Corte con una sentenza successiva (Cass., sez. III, 8.6.2004, n. 10824, in Rep. Foro it., 2004, voce Cass. civ., n. 152), abbia nuovamente affermato che “nel giudizio di cassazione, in caso di morte del difensore del ricorrente, presso cui sia stato eletto domicilio in Roma, senza che la parte abbia provveduto alla sua sostituzione (nella specie, la notizia del de- cesso era stata acquisita dall’ufficiale giudiziario recatosi a notificare l’avviso di fissazione dell’udienza), la cancelleria non è tenuta ad alcun adempimento, atteso che il procedimento di cassazione, essendo dominato dall’impulso di ufficio, non è suscettibile di interruzione per il ve- rificarsi di uno degli eventi di cui agli artt. 299, 300 e 301 c.p.c., e che la morte del difensore si pone come un rischio che fa carico alla parte” (in senso conforme, con riferimento ad una fatti- specie concernente la morte del ricorrente, si è espressa Cass., 8.7.2004, n. 12581, in Gius, 2004,

prosegue secondo le modalità di cui all’art. 379 c.p.c., il relatore riferisce oral- mente i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedi- mento impugnato e i motivi del ricorso e controricorso.

L’ultima fase del procedimento è quella della decisione, ove la parola passa alla Corte: a norma dell’art. 380 c.p.c., infatti, “la Corte, dopo la discussione del- la causa, delibera, nella stessa seduta, la sentenza in Camera di consiglio”. Si giunge così alla decisione.

Per quanto concerne, più da vicino, i caratteri generali del procedimento, frequente in giurisprudenza93è l’affermazione secondo la quale il giudizio di

4155; con riguardo alla estinzione della società ricorrente, Id., sez. III, 14.12.2004, n. 23294, in

Guida al dir., 2005, 77) e pur se la Consulta, con la sentenza n. 109 del 18.3.2005, abbia dichia-

rato la questione inammissibile, un nuovo orientamento sembra farsi strada: la Corte a sezioni unite, con la sentenza 13.1.2006, n. 477, in Foro it., 2006, I, 2685 con nota di RENZI, Il difficile

cammino dell’interruzione del processo nel giudizio di cassazione, ha affermato che “nel giudizio

di cassazione, in caso di morte dell’unico difensore di una parte, avvenuta dopo il deposito del ricorso e prima dell’udienza di discussione, ed attestata dalla relata di notifica dell’avviso di udienza, è necessario rinviare a nuovo ruolo la causa dandone comunicazione alla parte perso- nalmente; fermo restando che ove la parte, una volta ricevuta tale comunicazione, rimanga iner- te e non provveda alla nomina di un nuovo difensore, vengono meno i presupposti per reiterare gli adempimenti prescritti dall’art. 377, 2° comma, c.p.c.”. Di recente, la questione è stata rimes- sa nuovamente alle sezioni unite della Corte (Cass., ord. 17.12.2010, n. 25590), giacché nell’ipo- tesi caratterizzata dal contestuale decesso della parte e del suo difensore (coincidendo le due fi- gure nella stessa persona) e dall’infruttuoso tentativo di notifica agli eredi, occorre garantire il di- ritto all’assistenza tecnica e professionale del ricorrente – spettante, nello svolgimento di qual- siasi processo, in posizione paritetica alla controparte (art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2) ed esplicantesi, per il giudizio di cassazione, successivamente alla proposizione del ricorso o del controricorso nelle attività processuali previste dagli artt. 378 e 379 cod. proc. civ., nonché nella facoltà di replica per iscritto alle conclusioni del P.G. La peculiarità della fattispecie rendeva inapplicabile alla stessa il principio affermato dalla Corte a Sezioni Unite (S.U. n. 477/2006, con- fermata da S.U. n. 1206/2006 e da costante giurisprudenza conforme).

94MAZZARELLA, Analisi del giudizio civile di cassazione, II ed., Padova, 1994, 112.

95Occorre anche tenere presente quanto stabilisce l’art. 134 disp. att. c.p.c. nell’ipotesi di de-

posito del ricorso e del controricorso a mezzo della posta.

96Confermano l’importanza delle parti nel compimento di attività successive al deposito de-

gli atti introduttivi i dubbi sull’applicabilità della disciplina dell’interruzione nel giudizio di cas- sazione (v. sub nota 93).

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Cassazione è dominato dall’impulso d’ufficio, nel senso, cioè, che le attività delle parti, notificati e depositati gli atti introduttivi, non sono necessarie ai fi- ni dell’ulteriore corso del procedimento.

A ben vedere, però, ciò non comporta, sempre e comunque, un «affievoli- mento della importanza della parte (e quindi del contraddittorio formale)»94,

come sostiene una parte della dottrina. Anche nell’ambito del procedimento in Cassazione, vi sono numerose attività, successive alla proposizione del ricorso, al suo deposito e alla “risposta” dell’intimato, che si perfezionano solo ad istan- za di parte: si pensi alla produzione di documenti concernenti la nullità della sentenza impugnata e all’ammissibilità del ricorso e del controricorso95; all’at-

to di integrazione del contraddittorio di cui all’art. 371 bis c.p.c.; al deposito del fascicolo di parte; alla rinnovazione della notificazione; alla facoltà di ri- nuncia al ricorso. Tutte attività, queste, non surrogabili dalla Corte ed il cui mancato compimento conduce, in molti casi, ad una pronuncia di inammissi- bilità o improcedibilità96.

colosamente” ampio, come sinonimo, cioè, di mancanza, svilimento o seconda- rietà delle attività svolte dalle parti rispetto a quelle che la Cassazione deve compiere; “impulso di ufficio” vuol dire unicamente, lo ripetiamo, che il giudi- zio di cassazione, una volta messo in moto ad opera delle parti, è in grado di giungere al termine, senza la necessaria ed ulteriore partecipazione delle parti in causa.

Conseguenza diretta del carattere prettamente ufficioso del procedimento – peraltro coerente con il fine cui esso mira – è che non trovano posto nel giudi- zio di cassazione una serie di istituti, propri delle fasi di merito, che presup- pongono l’impulso di parte, quali la contumacia o l’estinzione per inattività.

Le origini e la natura della Corte, da un lato, e i caratteri del procedimento, dall’altro, inducono a ritenere che il giudizio di cassazione presenta delle pecu- liarità che lo distinguono profondamente dal procedimento dettato dalla legge per gli altri mezzi di impugnazione e, più in generale, per le fasi di merito e che lo rendono tipico. Partendo da tale ottica, può certamente parlarsi di “specia- lità” – seppure in senso atecnica – del procedimento e delle norme che lo go- vernano.

1In tal senso si veda TARUFFO, La Corte di cassazione e la legge, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 350, laddove afferma che l’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario “rappresenta uno dei luoghi comuni più noti del nostro ordinamento (processuale e giudiziario). Non sembra tuttavia – come spesso accade per i luoghi comuni – che il suo significato sia veramente chiaro; in particolare – e lo conferma in modo evidente il dibattito in corso – non poche confusioni sor- gono quando si cerca di definire il significato di nozioni come «nomofilachia» e «uniformità del- la giurisprudenza» guardando all’effettività della funzione che la Corte svolge per un verso, e per altro verso a come tale funzione possa collocarsi nel contesto dell’ordinamento attuale, percorso da problemi della natura più diversa che non esistevano, o non venivano adeguatamente perce- piti, nel momento in cui la norma fu scritta”.

LA NOMOFILACHIA

SOMMARIO: 1. La nomofilachia: considerazioni introduttive. – 2. L’art. 65 dell’ordina-

mento giudiziario e le norme sul procedimento. – 3. L’evoluzione storica della nomofila- chia e l’influenza del pensiero di Calamandrei. – 4. La nomofilachia e la Costituzione: artt. 3 e 111 Cost. – 5. I lavori della Commissione per la Costituzione e dell’Assemblea costituente. – 6. L’oggetto della garanzia costituzionale del ricorso per cassazione: la no- zione di sentenza e l’assimilazione in un’unica proposizione di due diverse garanzie (il ri- corso per cassazione contro le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale). – 7. La nomofilachia e l’art. 111, comma 8, Cost.: la giurisdizione amministrativa e contabile. – 8. Le conseguenze del riconoscimento costituzionale della nomofilachia ai sensi degli artt. 3 e 111, comma 7, Cost. – 9. La nomofilachia tra ius litigatoris e ius constitutionis. – 10. I fattori della crisi della Cassazione e la nomofilachia del terzo millennio. – 11. La Cassazione “ideale” e il modello europeo. – 12. La nomofilachia, le scelte di politica le- gislativa, l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità.

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