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Fattori economici e processi di trasformazione urbana

CITTÀ INTELLIGENTE ED ENERGIA

3.6 Fattori economici e processi di trasformazione urbana

Una constatazione di non secondaria importanza è quella per la quale il vero motore che provoca i cambiamenti nella città è il perseguimento dell’utilità in termini economici.

Molti esempi sembrano andare nella direzione di questa affermazione.

Alla fine degli anni Settanta Londra era una città in piena crisi (Thornley, 1992); l’inversione di tendenza e la rinascita della città si è avuta nel momento in cui è cambiato il modo di intendere i compiti dello Stato, ossia nel momento in cui le politiche liberiste hanno imposto una rifondazione della Gran Bretagna su basi nuove rispetto a quelle del welfare di marca laburista. Proprio queste nuove politiche hanno posto le basi della rinascita della città favorendo l’attrazione di imponenti quantità di capitali che si sono trasformati in investimenti, in creazione di posti di lavoro e in riqualificazione di interi settori urbani. Nel frattempo, il London Stock Exchange diveniva il principale mercato azionario al mondo e favoriva l’ascesa della città al ruolo di piazza primaria degli scambi finanziari internazionali.

Ovviamente tali processi hanno accentuato le differenze di reddito tra gli abitanti della città accrescendo la ricchezza di una percentuale ristretta di popolazione abbiente a scapito della maggioranza dei londinesi, ma ciò non può offuscare la conquista del ruolo di città globale, quale essa è divenuta negli ultimi anni.

Come altre città cinesi della costa orientale, Shanghai si è trasformata negli ultimi anni in uno dei centri propulsivi dello sviluppo economico cinese.

Tale sviluppo, basato su una liberalizzazione spinta e su un rigido controllo politico, ha fortemente inciso sulla forma e sulla dimensione metropolitana della città. È nelle città cinesi, fino agli anni Ottanta addormentate dalla costrizione ideologica del potere comunista, che lo stesso potere ha posto le basi per le radicali trasformazioni economiche che hanno interessato il paese.

Anche in questo caso non mancano risvolti negativi. Uno su tutti, la crescita esplosiva della città, favorita dal processo di inurbamento accelerato che sta gonfiando a dismisura tutte le megalopoli cinesi, con i conseguenti fenomeni negativi, quali congestione e inquinamento delle aree urbane (Mazzeo, 2010).

Da questi esempi viene fuori che la valutazione delle azioni di trasformazione urbana deve obbligatoriamente fare i conti con i fattori economici che le rendono realizzabili.

L’azione delle attività economiche è stata considerata da Von Thünen in poi come fattore primario di localizzazione e sviluppo dei centri urbani (Grotewold, 1959). Estendendo il ragionamento si può affermare che i fattori economici sono la causa principale dell’espansione dei fenomeni urbani e la loro forza è tale da essere preponderante rispetto a gran parte delle azioni regolative, comprese quelle messe in campo dalla pianificazione.

Le città moderne sono plasmate dai fattori economici che le trasformano fino a stravolgere, in moltissimi casi, la loro struttura e la loro forma. Struttura e forma sono rimaste immutate solo laddove le forze economiche erano deboli; e spesso queste città sono città morte o destinate a tale fine.

Gli scenari più recenti vedono la green economy e la smart economy come settori in pieno sviluppo (UNEP, 2011; EEA, 2013), per cui è ipotizzabile che nel prossimo futuro questi settori possano pesare sempre di più sul totale dei fattori economici, diventando essi stessi fattori guida capaci di plasmare ed adattare forma e funzioni dalla città.

Come accennato, queste considerazioni mettono in secondo piano il ruolo della pianificazione e richiedono una revisione delle sue finalità e dei suoi strumenti.

La pianificazione ha spesso considerato la sua attività come preponderante, se non addirittura in competizione, rispetto ai processi di produzione della ricchezza. Molti teorici della pianificazione hanno pensato la materia come attività autonoma tendente a creare una struttura urbana “ordinata e felice”.

Gli utopisti alla Owen hanno cercato di disegnare strutture urbane in cui fossero presenti contemporaneamente produzione, abitazione e servizi. Visti gli scarsi risultati ottenuti e lo stato delle città a seguito della rivoluzione industriale, gli utopisti hanno lasciato il posto da un lato ai pianificatori legati al potere costituito, dall’altro ai pianificatori “militanti” per i quali l’azione del pianificare rappresentava una delle tante declinazioni dell’azione politica.

La situazione attuale è ben definita in alcune analisi sociologiche. Nel saggio La condizione postmoderna (1981), Jean-François Lyotard ha analizzato la questione dei miti affermando che le rivoluzioni avvenute nel XVIII secolo hanno provocato un completo stravolgimento dei valori mitici sui quali era basata fino a quel momento l’esistenza delle società. «La modernità del XVIII secolo ha fatto sparire i miti d’origine (…) e li ha sostituiti con i miti del futuro (…) miti universalistici, che evocano l’avvenire dell’umanità» (Augé, 2005, sp). La pianificazione rientrava in toto nel novero delle discipline intrise del mito di un futuro migliore per le città.

Il passaggio dal moderno al post-moderno è il momento nel quale questi miti universalistici vengono messi in crisi provocando la caduta delle illusioni fondate sui progressi dell’umanità. Ed oggi che l’utopia è caduta anche la pianificazione è nuda di fronte ad una realtà su cui pesa esplicitamente l’influenza dei fattori economici.

Al vuoto lasciato dal mito della società egualitaria si è cercato di rispondere in modi diversi: sostenibilità, partecipazione, innovazione tecnologia, rigenerazione urbana, … sono tutti filoni nei quali la pianificazione ha cercato di sviluppare la sua azione in assenza di un pensiero riconosciuto ed originale.

Per citare Baumann (2013), è come se anche la pianificazione fosse entrata in un periodo fluido di interregno, in cui le vecchie norme (di qualunque tipo) non funzionano più ed in cui le nuove

regole non sono state ancora inventate perché sono in atto cambiamenti senza punti di riferimento. Ciò equivale ad uno stato di crisi che «consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere», come scriveva Gramsci (1975, Q. 3, § 34). Inoltre, «in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati»: uno stato di crisi pieno di pericoli ma anche pieno di nuove sfide per la città, per i suoi gestori e per i suoi pianificatori.