• Non ci sono risultati.

Misurare e certificare piano e città

EVOLUZIONE DELL’URBANISTICA ATTUATIVA

5.8 Misurare e certificare piano e città

Gli strumenti di pianificazione sostenibile hanno la necessità di essere affiancati da strumenti di valutazione capaci di definire con precisione gli esiti finali di tali operazioni e il relativo stato dell’ambiente. Tali strumenti hanno l’obiettivo di certificare i risultati che possono essere raggiunti dai piani giustificando, in questo modo, i maggiori investimenti necessari alla loro realizzazione.

È possibile individuare due tipologie di misurazioni della sostenibilità. La prima fa riferimento ad indici di sostenibilità urbana relativi a specifiche componenti ambientali, la seconda a procedure di certificazione della sostenibilità relative a strumenti di piano o ad ambiti urbani. Queste procedure non hanno niente a che fare con le valutazioni di impatto formalizzate dalla normativa europea e nazionale (VAS e similari).

5.8.1 Indici sintetici di sostenibilità

Gli indici di sostenibilità ambientali sono valori sviluppati sulla base di criteri definiti, ciascuno dei quali si interessa di una specifica componente come il suolo, l’energia o l’acqua. Si tratta, quindi, di indicatori settoriali.

Un primo indice è l’ecological footprint (EF), che stima la quantità totale di risorse naturali e di servizi ecologici che una popolazione utilizza per vivere; tale stima viene effettuata misurando la superficie complessiva degli ecosistemi di terra e di acqua necessaria a fornire tutte le risorse utilizzate e ad assorbire tutte le emissioni prodotte. Ad essa si contrappone la biocapacità, ossia l’insieme dei servizi ecologici forniti dagli ecosistemi locali, stimata attraverso la quantificazione della superficie dei terreni ecologicamente produttivi che sono presenti all’interno della regione in esame. La differenza tra biocapacità e footprint definisce il surplus o il deficit ecologico di una regione (Wackernagel et al., 1996).

L’ecological footprint si misura in ettari globali pro capite. La media complessiva mondiale è circa 2,7 al 2007, con una biocapacità pari a 1,78 (GFN, 2010). Ciò significa che le risorse consumate sono superiori a quelle prodotte. Inoltre, questo valore medio nasconde al suo interno situazioni molto diversificate. Ad esempio, i paesi a basso reddito presentano un valore di EF pari ad 1,19, mentre quelli a maggior reddito raggiungono il valore di 6,09. L’ecological footprint dell’Italia, sempre secondo la stessa fonte, è pari a 4,99, mentre il valore di biocapacità è pari a 1,14, con un deficit ecologico pari a 3,85. Sempre per quanto riguarda il dato nazionale negli anni più recenti si osserva una certe tendenza alla riduzione del valore dell’EF (Figura 5.15) a fronte di un valore stazionario di biocapacità.

L’ecological footprint è applicato a grandi aree territoriali come nazioni o ragioni. Sono in corso approfondimenti per applicare questo indicatore anche ai centri urbani e ai quartieri interni ad essi.

Un secondo indicatore è l’impronta di carbonio (carbon footprint – CF), ossia la quantità totale di gas effetto serra (CHG) che l’unità territoriale produce. L’unità di base è la tonnellata di CO2. Il

valore varia moltissimo tra i diversi paesi; basti pensare che gli Stati Uniti hanno un valore di 17,02 tonnellate pro-capite annuo al 2011 (data.worldbank.org), mentre il Burundi ha un valore è di 0,02. In Italia il valore è 6,70. La media globale è di 1,19 tonnellate per persona all’anno.

Figura 5.15 Andamento dell’ecological footprint dell’Italia dal 1961 al 2011. Fonte: www.footprintnetwork.org. Accesso: 03/02/2016.

Esistono diversi studi che hanno misurato l’impronta di carbonio delle città e delle nazioni. Le misurazioni includono sia le emissioni dirette delle aree metropolitane che quelle che sono prodotte nelle aree metropolitane ma sono riversate al di fuori di essa. In generale questi studi evidenziano una impronta maggiore per le città che hanno un maggior numero di abitanti, reddito più elevato, una maggiore propensione all’uso dell’autoveicolo come mezzo privilegiato di mobilità e una densità abitativa più bassa.

La terza componente ambientale su cui sono in corso studi per costruire indicatori efficaci è l’acqua. L’impronta idrica (water footprint – WF) di una città è una misura di tutta l’acqua dolce utilizzata per produrre la totalità di beni e servizi consumati nella città. È un indicatore molto difficile da calcolare in quanto occorre includere nelle valutazioni il volume di acqua dolce consumata proveniente sia da acque superficiali che da acque sotterranee, il volume dell’acqua piovana che entra nei consumi e il volume di acqua dolce usata per diluire gli inquinanti creati dalla produzione di tutti i beni e i servizi per la città. Studi che hanno valutato l’impronta idrica di alcune città come Milano (Vanham et al., 2014) e Lijiang City in Cina (Zhao et al., 2011) hanno evidenziato valori in crescita che stanno sollecitando fortemente le riserve idriche a servizio di questi agglomerati urbani.

Gli indicatori che si sono presentati sono ancora in uno stato di sviluppo per cui sono presenti problemi di affidabilità da superare; basti pensare alla valutazione delle dispersioni che avvengono attraverso i confini urbani, alla qualità dei dati – troppo spesso imprecisi e raccolti in periodi temporali diversi o per scopi non direttamente connessi a queste misurazioni – e alla mancanza di comparabilità tra gli studi, argomento che si riconnette alla questione degli standard di qualità cui devono essere sottoposti i dati utilizzati ed i metodi impiegati per estrapolare i valori di sintesi.

Sebbene le tre unità di misura abbiano problemi di stima e di calibrazione esse costituiscono un buon punto di partenza e forniscono molti risultati interessanti. Ad esempio, esse mostrano che le città più grandi hanno una impronta di carbonio minore rispetto a quelle più piccole, mentre le città con una densità più alta hanno una impronta di carbonio più bassa. Dato che si sta andando verso un futuro sempre più caratterizzato dalle città tali andamenti potrebbero dare una qualche speranza ed offrire indicazioni nella direzione di una migliore pianificazione urbana. Ad esempio, è ipotizzabile che alcune forme urbane

incidano in misura minore sul valore dell’impronta di carbonio, in particolare quelle che prevedono una crescita urbana più compatta, un trasporto pubblico di massa ed un uso maggiore di energia prodotta da fonti rinnovabili e sostenibili.

Vi è quindi necessità di affinare queste misure e svilupparne di nuove in modo da creare indici di sostenibilità urbana standardizzati, comprensibili e comparabili. Con dati migliori e indici standardizzati le politiche possono essere valutate meglio, gli obiettivi fissati in modo più realistico e le istituzioni obbligate a tenerne conto. Analizzando queste misure, i pianificatori e i cittadini potranno verificare quanto i fattori di sostenibilità rendono vivibili le città. Un ulteriore passaggio potrebbe essere quello di utilizzare questi indicatori per costruire un indice complessivo di sostenibilità urbana da utilizzare come misuratore di stato e di evoluzione della compatibilità ambientale di una città.

5.8.2 Procedure esistenti di certificazione

Diverso è il caso delle procedure di certificazione ambientale. In questo caso si tratta di procedure strutturate che assegnano un valore finale di sostenibilità ambientale all’oggetto (edificio o ambito urbano) che si sta certificando sulla base di dati che appartengono a settori diversi.

Figura 5.16 Criteri, priorità e requisiti del LEED for Neighbourhood Development.

Sono attualmente in fase di sperimentazione ed utilizzo una serie di sistemi che possono essere applicati a livello di città e di quartiere (Cole, 2011). Tra i principali si prendono in considerazione

il LEED for Neighbourhood Development (LEED ND), proposto dall’US Green Building Council ed i sistemi CASBEE for Urban Development (CASBEE-UD) del 2006 e CASBEE-City del 2011, di origine giapponese.

LEED ND parte dalla considerazione che l’uso del suolo ed i modelli di pianificazione a livello di quartiere determinano una specifica realtà fisica e obbligano a comportamenti che hanno un impatto sulla funzionalità ambientale di un sito. Un quartiere pianificato per essere usato con l’automobile è diverso da uno pianificato per essere usato a piedi o con i mezzi pubblici. Inoltre l’impatto complessivo del primo è molto maggiore di quello del secondo. È possibile considerare questa affermazione come valida universalmente in quanto tutto il pianeta è interessato dagli impatti negativi che gli spazi urbanizzati riversano sugli altri spazi.

«Edifici ed infrastrutture attenti all’ambiente sono una componente importante di ogni quartiere verde, ed inoltre riducono le emissioni di gas effetto serra abbassando il consumo di energia. Gli edifici e le infrastrutture verdi hanno anche minori conseguenze negative sulle risorse idriche, sulla qualità dell’aria e sul consumo di risorse naturali» (LEED, 2013).

La sostenibilità di un quartiere certificato LEED ND è definita dal punteggio raggiunto. LEED 2009 for Neighborhood Development Certification Levels prevede un massimo di 100 punti base, suddivisi in tre categorie principali di indicatori:

í localizzazione intelligente e connessioni (max 27 punti); í modello e progetto di quartiere (max 44 punti); í infrastrutture ed edifici verdi (max 29 punti);

A questi si aggiungono 10 punti per altre due categorie di indicatori: í processi di innovazione e progettazione (max 6 punti); í priorità nelle politiche regionali (max 4 punti).

Il punteggio raggiunto associa l’intervento ad uno dei quattro livelli potenziali di sostenibilità previsti dal metodo: 1. Certified (40-49 punti); 2. Silver (50-59 punti); 3. Gold (60-79 punti); Platinum (uguale o maggiore di 80 punti).

Figura 5.17 Lo spazio chiuso ipotetico nel modello CASBEE-City e il diagramma dei valori dell’indice BEE.

Il secondo strumento di valutazione, il CASBEE-City (Comprehensive Assessment System for Built Environment Efficiency), ha l’obiettivo di valutare nel suo complesso una struttura urbana (CASBEE, 2012). Il suo obiettivo è supportare le amministrazioni locali e le altre parti interessate nella identificazione delle caratteristiche ambientali, sociali ed economiche di una città e a quantificare l’efficacia delle loro politiche urbane.

CASBEE-City è basata su una valutazione dell’efficienza ambientale e produce per un determinato spazio urbano, o regione urbana, una valutazione combinata di due indici complessi: 1) la qualità della vita – in termini ambientali, sociali ed economici – che si può considerare un indicatore interno alla città, e 2) il carico ambientale imposto dalla città su uno spazio più esteso posto all’esterno dei suoi confini.

L’indice BEE (Built Environment Efficiency) si ottiene come rapporto tra il punteggio raggiunto in termini di qualità urbana Q e quello raggiunto in termini di carico urbano L. Una città con un basso carico ambientale ed una elevata qualità della vita presenta un punteggio elevato in termini di BEE ed è considerata come una città sostenibile all’interno del modello CASBEE. Alcune considerazioni a margine. I due sistemi di certificazione, anche se assegnano come risultato un giudizio di qualità ambientale, utilizzano procedure molto diverse dalle normali valutazioni ambientali, come la Valutazione di Impatto Ambientale o la Valutazione Ambientale Strategica. A differenza di queste ultime, inoltre, essi non sono sistemi obbligatori per legge e si ricorre ad essi solo su base volontaria.

Tra di essi, inoltre, ci sono notevoli differenze. Intanto è diverso il livello territoriale cui sono rivolti i due strumenti. Infatti, mentre LEED analizza uno specifico quartiere certificando il livello di sostenibilità sulla base delle sue caratteristiche fisiche e tecnologiche, CASBEE costruisce un indice di livello urbano che mette in relazione la qualità con il carico, approfondendo in questo modo gli aspetti connessi alle relazioni che vengono a crearsi tra città e area circostante.

È evidente, inoltre, come il primo strumento sia molto legato alla realtà fisica e funzionale dell’ambito urbano da valutare, mentre il secondo è di tipo più generale, legato a dati di livello urbano e territoriale derivanti da una valutazione dello stato complessivo del sistema. Nessuno dei due strumenti, infine, sembra prendere in considerazione la fase di pianificazione e la sostenibilità dei piani urbanistici, ed è proprio su questa mancanza che si innesta la proposta metodologica che si presenta nelle sue linee metodologiche generali.

5.8.3 Una proposta di metodo

Nel paragrafo 5.8.1 si è visto che gli indicatori utilizzati per valutare la sostenibilità di un sistema urbano sono soprattutto indicatori di sintesi, quindi molto generali. L’impronta urbana o i livelli di emissione di gas effetto serra sono i principali esempi e sono utilizzati soprattutto per costruire classificazioni nazionali ed internazionali.

Questi indicatori non sono utili nel caso sia necessario classificare la sostenibilità di piani urbanistici.

Per definire una procedura di certificazione di questi strumenti è necessario per prima cosa individuare il livello di pianificazione che maggiormente può essere interessato da questa operazione. Per quanto detto si ritiene che i piani di livello locale, o attuativo, siano i più adatti per questo scopo. I piani locali, infatti, sono strumenti che trasformano le indicazioni contenute nel piano urbanistico generale in un disegno che ha ben definite caratteristiche tecniche. Essi sono il luogo dove è possibile testare il disegno urbano, creare, eventualmente, la forma futura del distretto urbano ed applicare una reale certificazione di sostenibilità.

In più, la procedura può essere utilizzata per valutare anche quartieri urbani già esistenti assegnando ad essi una etichetta di sostenibilità in relazione alle sue caratteristiche fisiche e funzionali (Mazzeo, 2014b). Questo perché un piano locale da realizzare o un quartiere urbano esistente sono formati dagli stessi elementi (edifici, verde, mobilità, servizi, …) con l’unica differenza che nel primo caso essi sono pianificati per una successiva realizzazione, mentre nel secondo essi sono una realtà fisica già esistente.

Figura 5.18 Sostenibilità come combinazione di vulnerabilità e resilienza.

Nella formulazione di questa struttura di certificazione è necessario avere sempre a mente che una città non è una macchina, ossia un sistema meccanico dove un input I è trasformato in un output O per mezzo di un lavoro.

Se si considera la certificazione di una macchina (un televisore, un frigorifero o una lavatrice) l’etichetta che ad essa si assegna deriva solo da considerazioni ordine tecnico. Una città è diversa. Essa è l’insieme di un sistema di elementi fisici e di elementi funzionali. Essa, inoltre, può essere usata in infiniti modi e il modo con il quale essa è utilizzata, quindi i comportamenti dei cittadini, cambia le sue prestazioni. Per questo motivo quando si etichetta una città come sostenibile, significa che si è considerata la presenza e l’influenza della variabile umana e ci si è confrontati con essa. A questo scopo le caratteristiche sociali di base presenti in una città possono essere di grande aiuto, per cui una situazione che tradizionalmente si basa su un elevato livello di controllo sociale facilita l’imposizione di norme comportamentali più restrittive, mentre un sistema di comportamenti tradizionalmente poco disciplinato lo ostacola.

Quella che si propone è una procedura aperta che può essere utilizzata (1) sui piani urbanistici locali o attuativi o (2) sui distretti urbani, ossia su parti riconoscibili della città (Galderisi et al., 2016).

La procedura proposta vuole arricchire gli strumenti di pianificazione con una procedura di certificazione che abbia lo scopo di misurare la sostenibilità urbana sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo, ponendola su una scala di misurazione definita. La sua formalizzazione si baserà su dati numerici, se possibile, ma anche su fattori qualitativi gestiti in modo oggettivo, da cui possa derivare un giudizio chiaro e condiviso.

La formulazione di questo sistema di valutazione deriva dalla identificazione di due categorie di indici che descrivono caratteri di vulnerabilità e resilienza e che fanno capo al più generale concetto di sostenibilità. La prima categoria si applica agli aspetti fisici e funzionali, la seconda alle caratteristiche di uso dello spazio urbano, a quelle economiche e a quelle connesse ai fattori comportamentali. Per le loro caratteristiche gli indicatori del primo tipo possono essere applicati sia al piano che agli ambiti urbani, mentre quelli del secondo tipo solo agli ambiti urbani. La prima categoria include volumi, aree, altezze, densità ed altri indici urbanistici, tipo di attività, indici di sostenibilità degli edifici, verde e superfici permeabili, origine e tipo di materiale, colore, produzione di energia, quantità di acqua riutilizzata, flessibilità degli spazi e loro adattabilità ai

cambiamenti, produzione di inquinanti fisici e non. La resilienza e la vulnerabilità connessi agli spazi e ai volumi sono ridefiniti in termini misurabili, con l’identificazione di indicatori che misurano la loro capacità di adattarsi sia alle situazioni di normalità che di criticità ambientale.

Figura 5.19 Tipi di indici e loro influenza sulla valutazione di piani attuativi e di ambiti urbani.

La seconda categoria comprende indicatori qualitativi connessi all’uso degli spazi urbani da parte dei cittadini e degli utenti. Essi derivano dalla conoscenza dell’uso della città, dal processo di realizzazione delle attività e dai cambiamenti nei comportamenti connessi con il fattore tempo, cambiamenti che possono essere letti in termini di persistenza o di mutazione (EEA, 2013). Per ciascuno di questi indicatori possono esser identificate soglie minime e massime, utilizzando valori derivanti da fonti di tipo normativo o di tipo scientifico (EPA-Malaga City Council, 2012) e caratterizzandoli in relazione all’uso sostenibile dello spazio.

Figura 5.20 Procedura per l’emissione dei giudizio in termini di livelli di sostenibilità.

Le due categorie di indicatori possono essere utilizzate in modo diverso in funzione del tipo di giudizio. Se si tratta di valutare piani si utilizza solo il set di indicatori fisici e funzionali, se si

tratta di analizzare aree urbane possono essere utilizzati anche quelli economici, sociali e comportamentali (Figura 5.19).

La caratterizzazione del livello di sostenibilità raggiunto si ottiene attraverso un processo che prevede diversi passaggi (Figura 5.20).

Una volta delineato l’oggetto dell’analisi (un piano attuativo o un quartiere urbano) e formalizzati i loro principali caratteri, si determina la lista degli indicatori suddividendoli nelle due classi (indicatori fisico/funzionali ed indicatori comportamentali). Per ciascuno di questi è necessario definire le soglie di variabilità minime e massime, associando ad esse la qualità (alta, media, bassa e/o altri gradi intermedi) in termini di sostenibilità. Questo passaggio è fondamentale per omogeneizzare la scala di sostenibilità. Si consideri, ad esempio, due indici come la densità di volume e l’impermeabilizzazione del suolo: mentre basse densità sono associabili con bassa sostenibilità, una bassa impermeabilizzazione è associabile con una alta sostenibilità.

Il passaggio dal dato (I) all’indice di sostenibilità (SI) può essere realizzato con la scelta di un metodo di standardizzazione che trasformi il dato misurato nella propria unità di misura in un dato convertito nell’unità di misura prescelta all’inizio della procedura. A questo punto si ottiene un sistema omogeneo di indicatori in una scala predefinita per cui è possibile caratterizzare il livello di sostenibilità del piano o dell’ambito urbano.

Figura 5.21 Certificazione di un piano locale o di un ambito urbano come combinazione di classi di indicatori.

L’operazione è portata avanti associando all’oggetto che si sta valutando un valore all’interno di un intervallo che può essere formato da un insieme di valori di default (ad esempio da A ad F) che vanno dalla neutralità ambientale (A, equivalente ad esempio ad un Z/NZN, o Zero / Near Zero Neighbourhood) alla più alta insostenibilità ambientale (F, equivalente alla peggiore classe di insostenibilità ambientale) (Figura 5.21).

La formalizzazione del metodo è basata su indicatori quantitativi e qualitativi da cui deriva una valutazione chiara e condivisa. La formulazione di questo sistema di valutazione è basata sulla definizione di classi di valori degli indicatori finalizzata alla identificazione del livello di sostenibilità che, a sua volta, è considerata come una combinazione dei criteri di vulnerabilità e di resilienza. Le classi di indicatori sono quelle riportate per esteso nelle Tabelle 5.4a e 5.4b. Il codice P indica l’uso della classe nella certificazione del piano, mentre il codice Q indica l’uso nella certificazione dell’ambito:

í A2 - forma urbana (P, Q); í A3 - verde urbano (P, Q); í A4 - edifici (P, Q); í B1 - energia e clima (P, Q); í C1 - rifiuti (Q); í C2 - qualità dell’aria (P, Q); í C3 - qualità dell’acqua (P, Q); í C4 - mobilità (P, Q); í D1 - economia locale (Q); í D2 - demografia e salute (Q); í D3 - comportamento degli utenti (Q).

Le classi da A1 a C4 si riferiscono ad aspetti fisici e funzionali e per la maggior parte sono di tipo quantitativo, quelle da D1 a D3 si riferiscono alle caratteristiche di uso dello spazio urbano e ai comportamenti antropici una volta che l’area è trasformata o nel caso di ambiti esistenti. Questi ultimi sono rappresentati da fattori di tipo sia quantitativo che qualitativo e sono più complessi da definire in quanto sono connessi al benessere sociale e all’uso che cittadini e utenti fanno dello spazio pubblico. Tali elementi sono connessi alla conoscenza delle modalità di uso delle strutture antropiche, ai processi di svolgimento delle attività che vi si svolgono e ai cambiamenti che nel tempo si verificano e che possono essere collegati a fattori di persistenza o di cambiamento nelle caratteristiche di uso della città (EEA, 2013).

Figura 5.22 Schematizzazione delle fasi relative all’uso degli indicatori nella procedura di valutazione.

Ogni classe è formata da un sistema di indicatori. Essi possono essere contraddistinti da dati qualitativi e quantitativi utilizzabili per determinare la sostenibilità del piano locale (P) o del quartiere (Q). Per ogni indicatore è definito un intervallo di qualità come combinazione di due valori limite: il primo è il valore minimo di qualità (MIN), il secondo è il valore massimo di qualità (MAX). Si definisce dato osservato (OBS) il valore effettivo del caso studio A (Figura 5.22). Il valore previsto o osservato rappresenta lo stato del piano o dell’ambito urbano relativamente a